Intervista con il diplomatico tedesco Jürgen Bubendey

Jürgen Bubendey - Foto: Emilio Esbardo

di Emilio Esbardo

Marco Monteverde, figlio del Presidente dell’Associazione DIF (L’Associazione per l’amicizia tedesco-italiana), con il supporto dell’ex Console Generale tedesco di Milano e quello di Paola Nardini, Console onorario della Germania nel Veneto, sta realizzando un ufficio legale a Berlino “con lo scopo di sostenere i rapporti tra le due nazioni, creando le infrastrutture legali per gli sviluppi bilaterali”.


Ho colto l’occasione per intervistare Jürgen Bubendey, grazie al quale mi sono fatto un’idea della comunità dei tedeschi in Italia e nel mondo e dei rapporti bilaterali tra i nostri due Paesi. Inoltre l’accento è caduto su Berlino.

Riassumendo a grandi tappe la sua biografia: Jürgen Bubendey è nato a Bielefeld nel 1948. Ha una lunga carriera diplomatica alle spalle. Dopo aver terminato gli studi universitari, dal 1972 al 1975 è stato uditore giudiziario ad Aquisgrana, Colonia, Bonn e presso il Parlamento tedesco. Dal 1976 fino al 1983 ha lavorato presso il Ministero Federale del Lavoro. Dal 1992 al 1996 è stato attivo presso il Consolato Generale Tedesco di New York. Il 20 luglio 2009 ha assunto l’incarico di Console Generale di Milano. Attualmente collabora con l’importante studio legale e tributario CBA. 

Dott. Bubendey, lei è stato Console Generale a Milano. Dal suo punto di vista, qual è il maggiore aspetto caratteristico della città?

È una città architettonicamente moderna, quindi, dal punto di vista tedesco, è una città italiana non molto tipica. Se considero la Milano odierna, preparata per l’EXPO, assomiglia tanto, ad esempio, al centro di Francoforte e non tanto alle belle città rinascimentali, che conoscono i tedeschi. In precedenza ho abitato per quattro anni a Roma e a Napoli. Ho visitato molto il sud. A Milano, dunque, non mi sono sentito tanto in Italia, ma piuttosto in Europa centrale. Quando giravo per la città, molte volte le persone mi chiedevano indicazioni stradali, scambiandomi per un autoctono: questo non è mai successo né a Roma, né a Napoli.

Secondo lei, vi sono dei punti in comune tra Milano e Berlino?

Vi sono delle cose in comune. Berlino sta diventando più importante economicamente, sta ritornando alla sua importanza economica prima della divisione della Germania. Milano è il cuore economico dell’Italia. Lavorando ora con uno degli studi legali italiani più importanti, la CBA, con sede a Milano, vedo che loro ragionano in modo molto simile.

Jürgen Bubendey - Foto: Emilio Esbardo

Prevalentemente quanti tedeschi risiedono a Milano e di cosa si occupano?

Il mio riferimento è il mio ex-distretto ufficiale cioè il Nord Italia inclusa la Toscana. Crediamo, dalle richieste di passaporto, ad esempio, che i tedeschi siano intorno a 60.000. Non lo sappiamo, però, con precisione, perché non sono obbligati a registrarsi presso di noi e comunque non lo fanno tutti. Approssimativamente direi che a Milano ce ne siano 5000.

Lei ha una lunga esperienza a livello internazionale. Cosa ci può dire della comunità dei tedeschi sparsa nel mondo?

Molti tedeschi, soprattutto la mia generazione e quelle successive, tendono molto ad amalgamarsi nel Paese dove si trovano. A New York, ad esempio, ci sono quartieri etnici di tutte le nazioni, ma non vi è quello dei tedeschi, che si mescolano tra gli abitanti, evitando di isolarsi in una comunità. I tedeschi in Italia vi sono per motivi differenti. Vi sono donne che si sono sposate lì e vi rimangono per sempre: spesso non si autodefiniscono tedesche. A Milano o a Brescia, ad esempio, un mondo totalmente diverso, ci sono tanti che vi abitano per quattro-cinque anni, perché il mercato italiano è importante per le ditte tedesche. È al quinto-sesto posto al livello globale. Questa tipologia di tedeschi considerano il loro soggiorno una bella esperienza dal punto di vista privato e poi ritornano in patria. Ad Ischia o al Lago di Garda, i tedeschi o meglio le tedesche sono numerose ed hanno le strutture, che di solito mancano, tipo panificio tedesco oppure caffè tedesco: tutto molto all’antica, una Germania che non esiste più, che c’era però negli anni ’50-’60-’70, quando loro sono emigrate. Non è dunque un’emigrazione così compatta, come ad esempio, quella italiana in Germania o in Belgio, dove si può affermare che sono tutti del Sud o quasi ed emigrati soprattutto negli anni ’50 e ’60, allora come operai ed oggi ad esempio come ristoratori. 

Secondo lei, come sono i rapporti diplomatici italo-tedeschi?

Sul piano ufficiale sono molto buoni. L’opinione pubblica tedesca mi sembra anche positiva nei confronti di Renzi.

L’Europa sta vivendo un momento molto difficile. Se lei ne avesse il potere, cosa intraprenderebbe immediatamente per migliorare la situazione?

La situazione è difficile ma non tra i nostri Paesi. Penso che L’Europa sia una cosa complessa. Non vedo alternative. Abbiamo tanti Paesi non siamo uno Stato, siamo una costruzione complicata. Dunque tutte le procedure, con cui si arriva alle decisioni, sono molto complicate. È inevitabile, siamo in un periodo transitorio. Tutti parlano male dei politici ma debbo dire, almeno quelli nostri stanno facendo bene il loro lavoro; sicuramente la maggioranza dei politici europei lo fa con grande professionalità.

Qual è la sua opinione dell’Associazione per l’amicizia tedesco italiana (DIF) e il suo ruolo all’interno di essa?

Se non la considerassi molto positiva, non sarei socio perché non vengo costretto. Sono pensionato, con ancora qualche compito volontario in Italia, dove collaboro con un importante studio legale, la CBA. Io sono membro perché m’interesso dell’Italia, alla quale sono molto legato e dove ho vissuto per 12 anni. La DIF se non ci fosse, bisognerebbe inventarla, per la numerosa presenza d’italiani in Germania. È la rappresentanza della società civile degli italiani in Germania. I nostri rapporti sono  importanti. Gli italiani come persone e i tedeschi come persone sono complementari. Possiamo imparare tanto uno dall’altro: la società italiana da quella tedesca e viceversa. Nel suo piccolo a Berlino la DIF organizza questo insieme e in un modo più specifico mette l’accento sui rapporti economici, che è il mio campo. Marco Monteverde, figlio del Presidente dell’Associazione DIF, con il mio supporto e quello di Paola Nardini, console onorario della Germania nel Veneto, sta organizzando un ufficio legale, con l’intento di sostenere i rapporti tra le due nazioni, creando le infrastrutture legali per gli sviluppi bilaterali. Paola Nardini, il nostro console onorario per il Veneto e anche nel presidio della DIF, è una persona molto importante in tal senso perché è inserita benissimo in tutti e due gli ambienti. L’ho conosciuta quando sono stato console generale in Italia. Lei funge da arbitro per le ditte tedesche, evitando così il tribunale, quando vi sono problemi contrattuali con un partner italiano.

Quando lei si trova all’estero cosa le manca della Germania?

Quello che mi manca, quando sto fuori, è Berlino con questa vita molto ibrida, effervescente, interessante. Mi manca la multiculturalità della capitale tedesca, il motivo per cui – non sono berlinese – mi sono trasferito qui. Per ultimo vorrei aggiungere: voi italiani in Germania e noi tedeschi in Italia abbiamo una cosa in comune. Siamo camminatori tra due mondi: a voi quando siete qui, vi manca l’Italia e in Italia vi manca la Germania. Lo stesso capita a noi tedeschi: quando ci si abitua ad una identità biculturale, non la si può più scrollare di dosso.

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