Venerdì 15 marzo presso l’Istituto Italiano di Cultura a Berlino si è tenuta la conferenza stampa di Franco Battiato, prima del suo concerto del 2 aprile presso la Kammermusiksaal della Philarmonie.
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Qui interpreterà i brani del suo recente, bellissimo album Apriti Sesamo e canzoni scelte dal suo intero, vasto repertorio.
Con lui era presente l’attore Johannes Brandrup, che reciterà il ruolo principale nel nuovo film Händel di Battiato. A moderare l’evento è stato Francesco Ferracin, sceneggiatore dei suoi film.
È stata una piacevole chiacchierata quella con Battiato, grazie alla quale si è potuto apprendere qualcosa in più sui suoi nuovi lavori.
Alla domanda di una giornalista, perché il titolo “Apriti Sesamo”, l’artista siciliano ha risposto:
“Apriti Sesamo” fa parte di quell’agglomerato di parole magiche, che possono funzionare nella tradizione meditativa. La preghiera ha un ruolo determinante, è qualcosa di magico che realmente apre delle porte che normalmente sono chiuse.
Poi il discorso è caduto sul film riguardante Georg Friedrich Händel. “Il film ha una sceneggiatura dettagliatissima, molto bella ed interessante”, ha detto l’attore Johannes Brandrup, in un ottimo italiano.
“Ho scelto Johannes Brandrup per la parte di Händel”, ha aggiunto Franco Battiato, “perché volevo un attore tedesco, che parlasse italiano, inglese e che sapesse suonare il piano. Odio gli attori che fanno semplicemente finta di suonare muovendo le mani”.
“Sto preparando questo progetto da moltissimo tempo, facendo ricerche approfondite e serie”, ha aggiunto, “ho scelto di realizzare un film su Händel, perché mi piace raccontare le eccellenze. Händel è stato un grandissimo compositore, che ha saputo riconoscere il proprio talento e l’ha coltivato. Disprezzo gli esseri subdoli che hanno bisogno di copiare dagli altri perché è gente mediocre”.
Dopo la conferenza stampa Franco Battiato, musicista, cantautore, regista e pittore (con lo pseudonimo di Süphan Barzani), una delle figure europee più versatili e poliedriche contemporanee, ha risposto gentilmente alle nostre domande.
(…) Andavamo a suonare nelle sale della Lombardia, e c’era
un’atmosfera eccezionale, la domenica, di pomeriggio, in quelle
Balere, si divertivano a ballare, operai e cameriere.
Era passata un’altra settimana. (Da “Quand’ero giovane” – Album: Apriti Sesamo)
Cosa ricorda del suo trasferimento a Milano?
Il mio arrivo a Milano, quando avevo 19 anni, è stato una cosa sorprendente. Ho dimenticato la Sicilia, completamente per anni, e poi la terra me l’ha fatta pagare. E devo dire che pur non avendo soldi, la Milano degli anni ’60 era straordinaria. Sono arrivato lì in inverno, nel periodo natalizio, e vedevo tutte queste luci, gli addobbi, che dalle nostre parti non c’erano. Questa ricchezza di movimento, di gente che comprava i regali. Era una specie di Natale alla Dickens.
Agli inizi della sua carriera, con Gregorio Alicata, vi siete esibiti, interpretando canzoni di protesta, davanti alle scuole, quando uscivano gli studenti. Perché?
Era una cosa un po’ commerciale, più che vera. Erano canzoni di protesta, perché allora Dylan aveva insegnato la strada a tutti noi.
L’anno scorso Joan La Barbara, ad una conferenza stampa, ha raccontato così il suo primo incontro con John Cage:
“Sebbene avessi già visto John Cage in precedenti occasioni, il mio primo ‘incontro’ con lui è stato nel 1972 ad una selvaggia, cacofonica rappresentazione di HPSCHD alla Philarmonie di Berlino. Ho trovato questo evento così inquietante che sono andato da lui e gli ho detto: ‘Noi abbiamo già abbastanza caos nel mondo. Perché ne vuole creare ancora di più’? I suoi ammiratori, che stavano ai suoi piedi, trattennero il respiro”.
Un suo commento?
(Battiato ride) Questa è veramente divertente. John Cage va preso nella sua totalità, non nel singolo caso. È stato un uomo importante per il nostro tempo. Io ho visto un suo spettacolo a Milano, negli anni ’70, ed è stato deplorevole perché c’era un pubblico veramente insopportabile, che gli ha tirato dell’acqua in testa e lui è rimasto impassibile, alla maniera zen. Non è stata una scena bella da vedere.
Recentemente ho visto un video, dove lei affermava “come puoi essere ateo?”. La mia domanda è: “come si fa a credere in un Dio dopo eventi come l’olocausto?”
L’uomo è un essere libero. Abbiamo il libero arbitrio e quindi non c’entra Dio, c’entriamo noi. Siamo noi la causa di questo inferno.
Quanto sono importanti per lei il silenzio e la solitudine?
Determinanti. Sono così determinanti, che rendono la vita interessante.
In un’intervista, ho chiesto a Max Gazzè : “Cosa ti ha colpito di più di Franco Battiato, di questo grande artista?” – e lui ha risposto: “La cosa che mi colpisce di più è che non finisce mai di stupirmi”. Corrisponde alla realtà?
(Battiato ride) Simpatico Max! È una battuta molto buona. Sì corrisponde. Lucio Dalla diceva di noi due: “tu ti fai inseguire, io inseguo il pubblico”.
Che cosa le dà, invece, più fastidio di lei stesso?
Quando non ho il dominio delle mie forze. Quando qualcosa di animalesco m’impedisce di essere più alto di come sono. Non in senso fisico.
Ha qualche aneddoto, qualche storia singolare da raccontare sui due grandi artisti Nico e Lou Reed, con i quali è stato in concerto?
Sì. Era l’inizio della tournée francese. Non suonavamo insieme, io aprivo i concerti. Arrivati a Metz, nel nord della Francia, ho preso possesso della mia camera d’albergo, ed ero al ristorante a mangiare, quando arriva Nico, alta, aspetto da vichinga, con gli occhiali scuri. Si siede e dice: “Have you Mr. Powder?”. Io ho chiesto di cosa si trattasse. Lei si alza gli occhiali. Aveva due puntini neri e tutto l’orlo bianco e fa il gesto di sniffare. Mi aveva preso per un Pusher (spacciatore). Io dico no. Lei si è alzata e se n’è andata. Poi non ci siamo più parlati fin quando non siamo arrivati a Parigi. Un mio amico è venuto a trovarmi nel mio camerino, che condividevo con Nico. Lei stava a circa 3 metri da noi, truccandosi. Lui mi chiede: “Secondo te quanti anni ha lei?”. Io ero giovane e un po’ scemo e dico: “mah secondo me avrà 50 anni”. E lei in italiano risponde: “veramente qualcuno di meno”. Non mi aveva mai parlato in italiano, io sono rimasto senza parole, ho fatto finta di non sentire. Lei sempre guardandomi, mi fa: “ho vissuto due anni a Roma”.
La sua musica è molto evocativa, si percepisce un flusso d’immagini e di emozioni. Quali sono le immagini che vede e cosa sente mentre suona?
Generalmente quando mi esibisco, penso a cantare bene e a trasmettere dei valori, se posso. Invece quando compongo, ho delle ispirazioni, che non appartengono a me, ma sono degli aiuti.
Cosa la porta a comporre un pezzo musicale?
Il fatto che sono un musicista. Il fatto che sono nato così. Quando avevo tre anni, chiedevo di suonare.
Io sono un ammiratore di Joseph Conrad, uno scrittore, che era ossessionatamente alla ricerca della forma d’arte completa, ossia di un’arte che comprendesse tutte le altre arti. E ha creduto di trovarla nella musica. Crede che oggi sia ancora così?
Sì. Sempre di più.
Qual è il suo concetto d’Europa. Abbiamo bisogno d’Europa?
Io credo che l’Europa potrebbe essere una soluzione, se veramente lavorassimo insieme per come dovrebbe essere.
Cosa ne pensa del fenomeno Grillo e del fatto che venga contestato, perché si esprime contro l’Europa?
Non credo che sia giusta l’idea di uscire dall’Europa, dall’euro. Però Grillo sta rappresentando un aspetto rivoluzionario della politica.
Cosa le ha trasmesso Karlheinz Stockhausen?
Stockhausen, mi ha spinto, e gli sarò grato tutta la vita, di studiare la notazione. Quando ho incontrato Stockhausen la prima volta, avevo già realizzato tre-quattro dischi, ma non conoscevo la notazione tradizionale. Mi sono messo a studiare grazie a lui, che ha insistito, dicendomi: “vedrai che quando avrai sessanta anni non puoi fare più musica pop”. Oggi, continuo a far musica pop, ma fortunatamente ho imparato un mestiere, che non avevo nelle mani.
Che impressione le ha fatto Alexanderplatz durante la Berlino divisa dal Muro?
Mi ha fatto una grande impressione. Era straordinaria l’atmosfera di silenzio e la tristezza di qualche berlinese, che camminava in questa piazza completamente spoglia, senza niente. Non c’erano all’epoca i manifesti, non li usavano nella Berlino est.
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