“La notte poco prima della foresta” - Intervista ad Antonio Latella

Antonio Latella, una delle più importanti figure teatrali italiane del momento, ha inscenato con successo, dal 13 al 16 ottobre, a Berlino Die Nacht kurz vor den Wäldern (“La notte poco prima della foresta”) di Bernard-Marie Koltès. La drammaturgia è di Catherine Schumann, i costumi di Graziella Pepe, le musiche di Franco Visioli, le luci di Simone De Angelis, i movimenti di Francesco Manetti e assistente alla regia è Daniele Fior.
 La rappresentazione è inserita nel prestigioso festival di teatro e danza spielzeit’europa, dove vengono inscenate importanti produzioni in ambito europeo.

La prima edizione del spielzeit’europa ha avuto luogo nel 2004/2005 da un’idea di Markus Luchsinger e come ha affermato Joachim Sartorious: “Dietro l’idea di un linguaggio teatrale europeo si nasconde la voglia di un lavoro culturale cooperativo europeo”. Berlino è una città che Latella conosce molto bene, visto che vi si era trasferito nel 2004.

Durante lo spettacolo - © Brunella Giolivo

Attualmente Antonio vive e lavora tra la capitale tedesca e l’Italia. Nel 2010/2011 ha curato la Direzione artistica del Nuovo Teatro Nuovo di Napoli. Latella è nato il 1967 a Castellammare di Stabia ed ha studiato recitazione presso il Teatro Stabile di Torino e la Bottega Teatrale di Firenze fondata da Vittorio Gassman. Ma è come regista che si è imposto ad un pubblico nazionale ed europeo. Si è dedicato soprattutto alle opere teatrali di Shakespeare, tra cui Romeo e Giulietta, Macbeth Amleto e le sue rappresentazioni sono state presentate in festival internazionali come quelli di Barcellona, Venezia, Parigi, Vienna, Lugano. Ha ricevuto inoltre numerosi riconoscimenti quali il Premio UBU, il Premio Vittorio Gassman, il Premio Girulà.

L’attore Clemens Schick - © Robert Brecko

La notte poco prima della foresta è in realtà un monologo di una persona senza nome, interpretato da un eccezionale Clemens Schick. Il personaggio, in una notte piovosa alla ricerca di una stanza, descrive la “solitudine del diverso, dello straniero, di colui che cerca l’attimo che rende gli uomini uguali” e che con “una pioggia di parole” forti e coinvolgenti va alla ricerca dell’ “attimo che fa saltare in area tutte le differenze sociali, culturali, linguistiche e religiose”.


L’interpretazione di Clemens Schick è stata più che perfetta e si capisce anche il perché sia considerato dalla critica uno dei più importanti attori tedeschi che spazia senza problemi dal teatro alla televisione, alla cinematografia (ha racitato tra l’altro nel film Agente 007 – Casino Royale di Martin Campbell e nel Il nemico alle porte di Jean-Jacques Annaud). In occasione della rappresentazione La notte poco prima della foresta, Antonio Latella ci ha concesso un’intervista, che si è concentrata sulla sua vita e sul suo teatro.

Antonio, perché hai deciso di portare in scena La notte poco prima della foresta di Bernard-Marie Koltès?

Perché avevo bisogno di quella pioggia di parole, per ritrovarmi e ritrovare un senso nell’inizio delle cose, ma soprattutto negli incontri con gli altri e quindi con se stessi.

 

Qual è la differenza tra il teatro italiano e il teatro tedesco?

I soldi e quindi il ruolo che la Cultura ha in un paese, questa è la prima differenza. Il teatro tedesco è e sarà sempre il teatro della grande drammaturgia, questa è la seconda differenza; poi tante altre, ma queste due condizionano molto.


 

Tra le varie forme d’arte tu hai scelto il teatro, perché?


Perché il teatro è la casa che ospita tutte le forme d’arte.

 

Cos’ha questa forma d’arte in più delle altre?

Il fatto che uno spettacolo non resta, quando è finito non lo si può più vedere e in questo c’è un senso di assoluto.


 

Perché hai deciso di creare una compagnia che si chiama Stabile/Mobile?

Fin da piccolo sono stato in movimento essendo figlio di una famiglia di Emigranti del Sud Italia. Forse per questo motivo all’età di 44 anni ho deciso di creare una compagnia che si chiama Stabile/Mobile, dove la mobilità è la base di un pensiero stabile di ricerca.

 

Che tipo di teatro fa Antonio Latella?

Spero di non fare un tipo di teatro, me lo do come compito ogni giorno, riuscire a fare “Teatro” e non perdermi nei tanti linguaggi del teatro stesso. Questo pensiero mi dà la forza di non fermarmi mai, né davanti ai successi, né davanti agli insuccessi (tanti!).

 

Secondo te, qual è il compito del teatro, dell’arte?

Io credo che l’arte, la cultura, ha il dovere continuo di porci tante domande, la prima è la più importante: CONTINUARE A CHIEDERSI, COMUNQUE E SEMPRE, PERCHÉ SIAMO QUI. Anche se non troveremo una risposta. Questo non cambierà il mondo ma ci aiuterà a non fermarlo.

 

Quali sono i momenti principali e le persone che hanno segnato la tua vita artistica e umana?


Forse la cosa più importante è quella di essere stato un attore, prima di diventare un regista; questo è stato formativo per tutta la mia ricerca registica. Gli incontri o gli scontri più formativi sono stati quelli con gli autori.

 

Di solito le persone vedono negli uomini di successo una vita fatta solo di soddisfazioni. Io credo che non sia così, dietro ogni successo si cela anche una vita di gavetta, di privazioni, dove molto spesso si tocca il fondo. Hai qualcosa da raccontare a proposito?

Cos’è un uomo di successo? Io non credo, anzi non lo sono. So solo che nel mio lavoro ho trovato il senso del mio stare nel mondo, ed è per questo che il lavoro prende ogni ora del mio tempo.

 

Tu conosci molto bene Berlino, quali sono le tue impressioni sulla città? Qual è la tua percezione della città?

Uno spazio straordinario per la mente, per riordinare le emozioni e ritrovare il senso dello stare in silenzio e quindi di riconoscere l’importanza delle parole. Questa per me è Berlino, una pagina bianca, piena di mille sfumature del bianco e noi siamo piccole gocce d’inchiostro che tracciano percorsi di parole.


 

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Occuparmi della compagnia Stabile/Mobile che è appena nata; è così piccola che sta imparando a camminare e le sue parole sono ancora versi incomprensibili, ma bellissimi.

di Emilio Esbardo

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