Berlino, città della musica?

Foto: Emilio Esbardo

di Paolo Tacchini

Da anni sono un musicista dilettante. Nello specifico un trombettista dilettante, che per gli appassionati di silenzio, militare e non, si disputa col batterista dilettante il comando della classifica di vicini indesiderabili.


Prima ero un musicista negato, ma poi ho smesso di sforzarmi e c’è stato il lieve miglioramento. Sono un asso degli assoli quando sono assolutamente solo, anche se i vicini non lo ammettono, a meno che non stiano solo esercitando la nota pratica silenzio assenso,… non saprei, la vita condominiale aumenta gloriosamente il numero dei nostri vicini, più che un campeggio, quasi come una spiaggia, eppure ci rende tutti più separati e sospettosi. Spiamo la differenziata degli altri. Così vicini così lontani. 

Comunque la cosa più rilevante di un musicista dilettante o negato è che ama visceralmente la musica, abbastanza da voler andare oltre l’ascolto, oltre il ballo, oltre la doccia e il karaoke… allunga decisamente le mani sulla musica. Che poi questo amore possa essere stonato, fuori tempo, sfiatato o non ricambiato non può stupire, non è mica sempre solo cieco, l’amore.

Durante un concerto a Berlino - Foto: Emilio Esbardo

Ma invariabile effetto di questo amore è che il musicista dilettante conosce un sacco di musicisti. Il musicista bravo di solito si esercita troppo per conoscere altra gente, fin quando diventa musicista professionista, a quel punto conosce solo musicisti, persone con cui possa tranquillamente dimenticare la grammatica natia e parlare in chiavi, oppure conosce gente che lo avvicina dopo i concerti, ma scopre ogni volta che sono appunto musicisti principianti, aspiranti, dilettanti o creditori.

Io a riprova del mio decennale dilettantismo ho sempre conosciuto molti musicisti, ovunque abbia vissuto. Ma quando arrivai a Berlino, oltre cinque anni fa, conobbi in un mese più musicisti che nel resto della mia vita. La città della musica!

L’arte in genere, constatavo brindando, era presente ovunque, promiscua, interattiva, digitale, inaspettata, povera, provocante, museale e istituzionale. E quanto spazio, spazio fisico e visivo, le idee respirano con gli occhi, quante prospettive, non solo per la fotografia e per la street art, che la maggior parte delle metropoli non hanno più, fittamente cresciute attorno al proprio traffico senza un muro armato e una guerra fredda che le congelasse.

Dappertutto nell’aria quel fermento necessario a convincere l’inquieto di essere arrivato nel posto giusto, soprattutto se ha deciso di inquietare i propri genitori intestardendosi in quell’infantilismo che loro chiameranno arte solo nell’ipotesi marziana che lo arricchisca.

In questo allegro rinascimento la musica mi sembrava la regina. Musicisti negati, dilettanti, tecnicisti, solipsisti, bravi, bravissimi, sorprendenti, geniali. Berlino trasuda musica. Jazz, Punk, Rock, Elettronica e Techno, trasuda talento e sperimentazione, ma persino Albano e Romina hanno ancora chance in questa specie di macchina del tempo che è la Berlino del terzo millennio.

Foto: Emilio Esbardo

Pure ubriaco di entusiasmo vidi allora come vedo oggi che questo magico subbuglio artistico era un effetto molto ovvio della poco ovvia situazione di Berlino, che pur essendo assurta a cuore economico di un’Europa sempre più austera e bancaria ancora permette un costo della vita abbordabile anche per chi ama sognare. Ecce l’humus dell’ennesima Bohème, lì dove meno te la potevi aspettare, sotto le gonne della governante europea, mangi a 3 euro, trovi una tetto a 300, ed ecco per strada i nuovi Coltrane, i nuovi Cobain.

Ciò non tanto grazie alle buone tradizioni socialdemocratiche, che spesso come in Svezia possono persino aumentare il costo della vita, quanto piuttosto a fatti storici: innanzitutto lo svuotamento della città dopo la caduta del muro, per l’istinto di fuga che si radica tanto da funzionare anche quando non serve più (con conseguente caduta dei prezzi immobiliari).

Poi la ben modulata integrazione delle due Germanie che proprio qui ha provato la sua tenuta, riallineando sostanzialmente un’economia debolissima ad una forte, in maniera curiosamente più simpatica di quanto ha poi fatto con le deboli economie integrate in Europa. Si aggiunga infine che Londra, Parigi, New York sono inaffrontabili da decenni, Barcellona non ha più lavoro, le varie bohème una dopo l’altra sono state recuperate da una puntuale gentrification, ed è facile concludere che la più ovvia risposta alla principale domanda esistenziale del ventunesimo secolo, tanto ben formulata dal perplesso Jovanotti, dov’è la festa?, è diventata  Berlino.

Questo ha provocato un lieve smottamento morale in coloro che a Berlino erano venuti perché non era Londra, Barcellona o Goa, ma è un disappunto naturale, se chiunque sia a Berlino da più di 6 mesi inizia ad atteggiarsi a guida spirituale se non a monumento vivente, rispetto a quelli che arrivano “solo ora”, coloro che ancora dormono su un divano e non sanno dire anmeldung ma solo e sempre entschuldige, come fossero raffreddati.

Facile a Berlino sentirsi un absolute Berliner, almeno quanto Kennedy…

Forse era così, poi le cose sono cambiate, o forse ero io alterato dall’entusiasmo tipico degli absolute beginners. Comunque sia ora la mia visione è più matura, più complessiva, più sobria, mi sono sorpreso a guardare con velata compassione quelli che non hanno vissuto la Berlino anche solo di 5 anni fa. Sotto questa mia umana tendenza a monumentalizzarmi tuttavia rifletto ancora. Come i mimi, che ti chiedi sempre a cosa stiano pensando. Io penso alla musica a Berlino.

La vita degli artisti a Berlino merita attenzione perché forse rappresenta qualcosa di più grande, una specie di amore ai tempi del colera, o meglio l’arte e la sua urbanità ai tempi del tablet.

In realtà non è facile la vita per gli artisti in una città piena di artisti. Una città non davvero ricca, in effetti la più indebitata di un paese in cui le politiche a specifica tutela dell’arte sono più deboli di quelle francesi od olandesi per esempio, (qui devi già essere un artista che fattura buona parte del proprio incasso con l’arte per accedere ad alcuni vantaggi come lo sconto sulla famigerata cassa sanitaria) anche se certo non paragonabili con quelle italiane, estinte.

Ma i musicisti più degli altri, per quel piccolo particolare di dipendere dai live, almeno nella prima fase della loro carriera (difficile immaginare altre vie, senza soldi), e per l’altro particolare, che la musica ha bisogno di volume, alto volume raccomandava McCartney, sono probabilmente quelli più vicini a sentirsi gabbati, come da un paese dei Balocchi con troppe controindicazioni nascoste.

I generi di musica che proliferano davvero a Berlino, ad accostarsi meglio, non sono proprio quelli accennati ma più precisamente Swing, che veste bene un po’ tutte le nuance da eterno revival anni 20, 30, 40, 50, 60, 70 e 80, che la giocosa Zeitmachine Berlinese sfoggia, e Technohouse dance, cioè dj.

Per i primi si sono persino riaperte le balere, che in effetti sembrano più moderne delle balere nei biergarten che ancor spopolano in Germania. Mentre per i dj ovviamente non mancano posti, venue, location, disco, club, bar, consolle ed etichette.

Ma cosa per coloro che cercano a Berlino una propria dimensione punk, grunge o rock? Cosa per chi spera di trovare stralci di quello spirito Iggy Bowie che le guide spacciano come scorrazzasse ancora per Neukölln? 

Certo esistono locali per chi sa attrarre 2-300 persone o più, ma tutti gli altri locali, tanti, che cercano di fare musica dal vivo, soffrono limiti strutturali che li persuadono presto a smettere coi live o ad escludere strumenti elettrici e batteria. C’è un revival di nenie celtiche che fatica ad esaltarmi, nonostante le mie origini irlandesi. 

Berlino è una città tutto sommato tranquilla. Ho vissuto a Palermo, Roma, Bangkok. Ma a Berlino si sentono più sirene. Diciamo che la Polizia sa che farsi sentire e vedere ha un suo effetto moltiplicatore. Mi viene in mente una battuta del noto filosofo tedesco Magnus Enzensberger: speriamo che non vengano i ladri o dovremo aver a che fare con la polizia. Battute a parte, la polizia di Berlino è la più gentile che si possa trovare; per lo meno la prima volta.

Se devono tornare una seconda volta iniziano a sembrare un po’ più francesi. La terza volta poi ci sentiamo a casa, perfetta polizia bergamasca, ti parla come tu non potessi capire. Comunque non credo ci sia bisogno di intervistare un poliziotto per sapere che la loro principale attività sia quella di presentarsi in case e locali dopo le 22 perché i vicini non si sono sentiti invitati alla festa e quindi chiedono di spegnere la musica. Ho vissuto la scena una trentina di volte e questo solo perché come effetto della mia graduale monumentalizzazione la sera sono più casalingo di ciò che vorrei.

Pochi locali a Berlino, contro l’orda di musicisti che sbarca, si possono permettere di fare la musica che gli pare fino all’ora che gli pare. Nei mercati c’è la fila di musicisti incagniti perché quello precedente sta sforando di 4 minuti. Molti musicisti sono i primi a smettere di credere alla tanto in voga filosofia del karma, della bella energia, spostami e fammi suonare. Non basta etichettare il fenomeno come il solito egoismo dell’artista o la competitività dell’homus americanus che impregna tutti noi. La situazione dell’eventuale nuovo Jim Morrison che potrebbe proprio ora stare cercando, dopo che la polizia l’ha scacciato dalla metro, dal Mitte e dal Muro, un locale con un normale palco e un mixer dove fare una jam session o un concerto che non parta alle 8 pm quando tutti sono ancora spaparanzati a Gorlitzer o a cena e non debba finire alle 10,  anche non per oggi ma per le prossime settimane, e non lo trova, sta diventando un ostacolo strutturale della città, a modo suo una barriera architettonica sottostimata di una Berlino che si crede per altro molto art friendly.

Non possiamo per questo prendercela con la polizia che fa il suo dovere di rispondere alle chiamate in tempo utile, a differenza del 99% dei call center. Né possiamo prendercela coi vicini, così vicini così lontani da nostri gusti, c’è chi lavora la mattina, Iggy!

Il motto della nuova Germania, Toleranz und Respect, deve ancora trovare soluzioni per convivere con la musica viva, mentre quella in cuffia (che però di solito è già stata digerita da un circuito musicale) le va giù che è un piacere. 

Così anche il musicista per strada, scampato a vicini e polizia, magari un poeta dalla voce scheggiata insanguinato dal tramonto sotto la cornice magnifica degli archi di Oberbaum Brücke, si vede passare davanti gente irraggiungibilmente incuffiata, che twitta, posta o selfa…, allora si volta e guarda la facciata della Universal, ringrazia, impacchetta e va a chiedere nei ristoranti se vogliono un cameriere.

Certo sarà naif credere che in un mondo dove una singola trebbiatrice fa il lavoro di mille uomini i musicisti possano pretendere, non certo di evitare la gavetta, ma di farla con in mano uno strumento anziché dei piatti sporchi. Non si intende fare alcun classismo tra mestieri, a ognuno la propria arte, e quella dei buoni camerieri è altrettanto danneggiata dallo svogliato, sfruttato, sottopagato servizio dell’orda di musicisti senza palco.

A molti amici ho consigliato, da buon italiano che ha per gli altri una serie infinita di consigli, di fare i furbi, smettere di frequentare altri musicisti e iniziare a seguire qualche dj, come una remora, stargli attaccato ovunque vada, clonargli la lista amici di fb. Anche la gente, se vede che hai accanto un dj, ti prende più sul serio.

Soluzioni più dignitose e intelligenti della mia speriamo che nascano da questa città così piena di iniziative, start up, new apps, whatsup,… magari la lobby dei produttori di isolanti, composta da noti amanti del hardrock, sentendosi troppo isolata, farà grandi sconti ai locali che vogliano isolare uno spazio per concerti.

Nel frattempo guardiamo la fisionomia di Berlino che cambia in fretta e la scena musicale che ne soffre più di quanto si possa sentire, perché se si fa sentire i vicini chiamano la polizia.

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