Intervista allo scrittore Giuseppe Culicchia

Giuseppe Culicchia - foto: Emilio Esbardo

di Emanuele Bellintani

Lo scrittore Giuseppe Culicchia, ospite dell’Istituto Italiano di Cultura di Berlino, ha partecipato ad un evento letterario sulla sua narrativa, inframmezzato dalla lettura in italiano ed in tedesco della sua opera prima, “Tutti giù per terra”, uscito l’anno scorso in una versione “remix”, esattamente vent’anni dopo la pubblicazione originale. Dopo l’incontro, Culicchia ci ha concesso una breve intervista.


Scrittore, giornalista e traduttore, Culicchia ha ripercorso gli inizi della sua carriera davanti al pubblico dell’IIC, proprio a partire dalla genesi di “Tutti giù per terra” e da una manciata di racconti scritti all’estero durante una fase particolare della vita dell’autore all’epoca impiegato come bibliotecario. In quell’opera esordiva la figura di Walter Verra, il primo “precario della narrativa”: si fotografava la realtà di una generazione che con ironico distacco rifiutava il posto fisso, il mondo operaio e soprattutto il carrierismo senza la percezione che quel mondo industriale era prossimo alla scomparsa. Culicchia spiega che nonostante diverse ristampe, anni dopo il contesto storico e sociale lo stimolò a riprendere quel testo e ad “adattarlo” ai tempi. “Tutti giù per terra remix” è uscito proprio nel ventennale della prima pubblicazione e descrive un giovane Walter Verra degli anni Duemila che vive le insicurezze e la precarietà a livello generazionale e che, per questo, cova dentro una rabbia latente contro questo sistema. Parlando di Torino e di Berlino, lo scrittore ha evidenziato alcune profonde connessioni culturali tra le due città ed ha ricordato il suo primo viaggio nel 1996, quando la città era ancora piena di “vuoti” e portava con sé tutti i segni del Novecento.

In “Tutti giù per terra”, il Walter Verra originale guarda la realtà con uno sguardo distaccato, quasi cinico: il Walter Verra “Remix” che visione ha del mondo?

Walter del 1994 più che il cinismo, usa l’ironia (e l’autoironia) per guardare il mondo che lo circonda e quella è la sua unica arma di difesa; cerca di non prendersi troppo sul serio e di non prendere sul serio la realtà. Il Walter di oggi è più arrabbiato, perché avverte che gli è stato rubato il futuro e si ritrova a dover vivere una vita in un momento storico in cui non è mai stato così difficile per un ragazzo di vent’anni riuscire a pensare che fare della sua vita. Questo provoca in lui una “giusta rabbia” perché un paese che tiene al suo futuro, dovrebbe pensare ai giovani, all’educazione e quindi al lavoro; questo invece non viene fatto e sconteremo i danni per molto tempo nonostante oggi ancora non ce ne rendiamo pienamente conto.

Che rapporto hai con la trasposizione cinematografica di “tutti giù per terra”?

All’epoca quando uscì fu da un lato un piccolo shock perché naturalmente io mi ero immaginato il libro in un modo e legittimamente il regista se l’era immaginato a modo suo: tanto per cominciare aveva dato facce ai miei personaggi e poi una sorpresa piacevole, ovvero l’intuizione realizzare una colonna sonora con le band indipendenti della scena italiana degli anni Novanta che aiutava a rendere il ritmo sincopato del libro, caratterizzato da capitolo e paragrafi molto brevi (mi ero ispirato al primo disco dei Ramones). Davide Ferrario è riuscito a tradurre tutto questo in immagini.

Si parla molto della gentrificazione di Berlino che sta trasformando i quartieri della città: come vedi questo fenomeno in rapporto a città come Torino e ai suoi mutamenti?

L’imborghesimento di quartieri un tempo popolari delle città europee è un fenomeno che riguarda tante altre città europee come Londra e Parigi; luoghi che un tempo appartenevano alla classe operaia ad un certo punto vengono stravolti. Ricordo bene la Berlino degli anni Novanta, ma non perché avevo vent’anni in meno, ma perché aveva molto più fascino. Purtroppo anche i “vuoti” avevano ragione d’essere: Potsdamer Platz, ad esempio, era molto meglio vuota che così come l’hanno riempita. Mi ricordo Kastanienallee tutta nera e scrostata, mentre ora è piena di locali trendy e negozietti. Per non parlare poi della Neue Schonhauser Allee dove sembrava che i russi se ne fossero andati poco prima e invece ora è il paradiso del consumismo. È vero anche che le città non possono essere il museo di sé stesse e quindi il cambiamento a noi può non piacere, ma fa parte della loro vita. Noi viviamo il tempo della “gentrification” e chissà quale sarà il cambiamento di Berlino tra trent’anni: questa è una città in continuo rinnovamento, che è uscita da tragedia immani; i nuovi ricchi si stancheranno -si annoiano in fretta- e se ne andranno.

Con la crisi di valori attuale che ruolo hanno o dovrebbero avere gli intellettuali?

Io non sono un intellettuale e quindi non ti so rispondere: penso però che se una volta Jean-Paul Sartre prendeva posizione contro la guerra d’Algeria e scriveva un articolo su Liberatiòn questo aveva una certa risonanza e poteva smuovere le coscienze; poteva far riflettere e avere conseguenze pratiche. Oggi il ruolo dell’intellettuale è ormai marginale perché questo mondo vive in funzione dell’economia ed ha più peso quello che dice il banchiere rispetto a quanto dice lo scrittore. Questa è la realtà di oggi: il denaro ha vinto su tutti i fronti, ma è una vittoria di Pirro perché è un sistema destinato ad implodere. Non serve citare Marx perché prima o poi si dovrà fare il conto con il fatto che questa Terra non sopporta questo stile di vita.

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