La notte di Kreuzberg, anima turca di Berlino

Görlitzer Bahnhof - Foto: Magnus Manske

di Giovanni Agnoloni – pubblicato originariamente su Postpopuli 

Piove, a Kreuzberg. Sono appena uscito dalla stazione della metro di Moritzplatz, dopo una serie di cambi e di percorsi avventurosi nell’avanzatissima metropolitana di Berlino. C’è un chiosco che vende hot dog e roba simile. Mi riparo sotto la tettoia, e un tipo mi offre una patatina fritta. Dico di no, mi scanso e mi rituffo sotto, per sbucare dall’altra parte della piazza.


Mi hanno detto che Oranienstraβe è piena di pub e locali, l’arteria centrale di questo quartiere alternativo, dove si concentra la comunità turca della capitale tedesca. Quando sono uscito dall’ostello era ancora bel tempo. Poi si è rannuvolato tutt’insieme ed è venuto giù il diluvio. Capricci del clima nordico. Mi infilo nel primo bar che trovo. Saluto in inglese e chiedo se hanno qualcosa in contrario a che aspetti che spiova sotto la tenda. I gestori non capiscono, ma sorridono. In TV c’è Udinese-Arsenal, ritorno del preliminare di Champions League. I friulani stanno per essere eliminati. Passerà, la pioggia, mi dico. E invece no.

Accanto a me, un uomo che sembra un boss col mal di pancia fa e riceve telefonate in continuazione. Alla fine salto fuori facendo lo slalom tra le gocce e sfruttando la striscia di venti centimetri protetta dalle grondaie. Passo accanto a vari localetti, tutti dall’aria vuota e avvilita, e arrivato a Oranienplatz sono già zuppo.


Ma ecco che arriva un autobus. Salto su e chiedo all’autista dov’è diretto. Dice “al Check Point Charlie”, il famosissimo posto di blocco all’ingresso del settore americano, nella Berlino postbellica. Quando arriviamo, me lo ritrovo davanti che mi sembra un balocco. Piccolo, insignificante rispetto alla storia enorme che rappresenta. Rientro nella metro come un topo. Non è serata.

Tempo due giorni e ci riprovo. Sono stato di nuovo in Moritzplatz, alla presentazione di un libro di un amico, lo scrittore cubano Amir ValleAlla fine, dopo un’ora di gradevolissima conversazione, erano le dieci passate. Esco e mi inoltro lungo Oranienstraße, oggi bella asciutta.

Oranienstraße Berlin - Foto: De-okin

C’è gente dappertutto, dentro i locali e riversata sui marciapiedi. È un sabato, si capisce. È tutto un pullulare di sguardi, lingue e colori. Bionde svettanti che non mi si filano di pezza, punkettone slacciate ma simpatiche, con la cresta rosa che svetta, ragazzoni teutonici che fanno i bodyguard alle suddette. Capisco al volo che le possibilità di imbrocco non sono eccelse, ma amo mimetizzarmi nella folla, quindi mi introduco in un bar con le sedie di paglia, aspetto cinque minuti prima che il barman mi consideri e ordino una birra. Mi siedo a un tavolino a prudente distanza da due tipe interessanti. Prima occhieggiano, poi finiscono i loro drink e se ne vanno. Appunto.

È il momento di rilanciarsi. Sono nel cuore della Berlino più trasgressiva, dove la vita notturna pulsa fuori da qualsiasi schema. Riesco con la birra in mano e decido di farmi tutta la strada, respirando e osservando. Ci sono bar di tutti i tipi, dai più classici pub inglesi a bettole danzanti e semi-scantinati per feste alcoliche di gente superpressata. Provo ad affacciarmi in una di queste, ma ho ancora la bottiglia in mano, e in ogni caso non ci entrerebbe neppure uno spillo.


Proseguo fino alla stazione della metro di Görlitzer Bahnhof , e a quel punto getto la birra in un bidone della spazzatura e proseguo in Wiener Straβe, mezza buia ma ancora frequentata. Degli amici mi hanno detto che qui vicino c’è un posto per gente metal. Sarà che sono amico di Chiara Daino, ma sono incuriosito. Il “Wild at Heart” ha un esterno pieno di omaccioni barbuti e belle figliole più o meno rivestite di pelle, inavvicinabili, se non si vuole rimediare due manate. Però sembrano pacifici. Si fanno i fatti loro. Pago l’ingresso, entro e m’intrufolo tra la gente.

Altra birrozza, mentre nello stanzone in fondo è in corso un concerto di un gruppo di tipi alla Harley-Davidson, che suonano pezzi più folk che metal. Ritorna la sensazione di fluttuare in una comunità a sé stante, che non mi respinge, certo, ma ancora non mi permette di amalgamarmi. Berlino è così, penso. Tedesca, ma insieme melting pot. Nuova frontiera, ma anche città tradizionale, dove magari ci si carica di tatuaggi, ma si fa conoscenza poco per volta. Resto nel pub una mezz’ora buona. Poi di nuovo fuori, a respirare l’aria della Capitale del Muro a ventidue anni dal Muro.

Tornando verso la stazione della metro, mi rendo conto di essere un’anima vagante ma invisibile. Volevo essere così, quando ho deciso di venire qui. Volevo perdermi per queste strade, fiutarne gli odori e contemplarne i recessi oscuri. Per questo amo Kreuzberg. Per le sue zaffate di fritto che escono dalle rosticcerie turche. Per gli androni sudici che s’intravedono dai portoni crepati. Per la sua gente folle e dinoccolata.

Senza Kreuzberg, ancora per un po’ quartiere hippie a buon prezzo, non ci sarebbero il Sony Center di Potsdamer Platz e le viuzze posh di Prenzlauer Berg. Berlino è questo patchwork caleidoscopico, ma il segreto della sua alchimia è nel caos dei suoi marciapiedi notturni, nei riflessi involontari delle figure dei suoi murales, che colorano l’aria delle loro forme e dei loro composti schiamazzi.

Mentre aspetto la metro, mi ritrovo – stavolta non apposta – seduto accanto a una bionda niente male. Ho in mano una bottiglia d’acqua. Lei, una birra. Ci guardiamo un attimo e facciamo cin-cin.

Prost, Berlin. 

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