Mostra a Berlino: “Barbara Klemm. Fotografie 1968 - 2013” - Intervista alla grande fotografa tedesca

Foto © Emilio Esbardo

di Emilio Esbardo

Dal suo archivio fotografico si ricostruisce facilmente il diario pubblico della Germania degli ultimi 40 anni (…) è come un libro che racconta le trasformazioni della politica, del modo di vivere e della società tedesca

– Parte del discorso di Durs Grünbein in occasione della consegna del Premio Max-Beckmann-Preises a Barbara Klemm nel 2010.

La mostra dedicata alla grande fotografa Barbara Klemm è una delle più complete e belle che abbia visitato a Berlino. È ospitata nelle sale dell’edificio Martin-Gropius-Bau, distante circa 5 minuti a piedi da Potsdamer Platz, e dura fino al 9 marzo 2014.


Il visitatore ha la possibilità di osservare 300 foto che racchiudono cinque decenni della storia della Germania e non solo.

Leonid Breschnew, Willy Brandt, Bonn, 1973 - Foto © Barbara Klemm

Barbara Klemm ha viaggiato in tutto il mondo, ha testimoniato gli eventi politici più importanti e la vita quotidiana delle persone.

Al centro delle sue tematiche vi sono musicisti famosi quali Mick Jagger; scrittori celebri come il premio Nobel Herta Müller; artisti che hanno segnato la contemporaneità tedesca, da citare sono Neo Rauch, Gerhard Richter; politici del calibro di Michail Gorbatschow e gente comune.

Barbara Klemm ha viaggiato un po’ dappertutto. È stata in Iran, in India, in Cina, in Giappone, negli Stati Uniti, nel Sud America. Importanti sono le immagini che documentano i Paesi oltre la cortina di ferro. L’altra Germania, quella socialista, l’ha visitata spesso, coglieva al volo l’occasione di andare ad ogni evento dove c’era la possibilità di lasciarsi accreditare: cosa molto rara tra i suoi colleghi di lavoro.


Il percorso dell’esposizione inizia dalle rivolte studentesche del 1968.

L’immagine simbolo, la prima che appare in gigantografia all’entrata, è quella che mostra Leonid Breschnew e Willy Brandt a Bonn nel 1973, durante delle difficili trattative. Barbara Klemm è riuscita con il suo scatto ad immortalare l’atmosfera di tensione che si respirava al momento. I due politici non sono riusciti a mascherare le loro emozioni, che trasparivano dai loro volti, mentre discutevano. Accanto a loro i traduttori e i fotografi.

Calcutta, India, 1982 - Foto © Barbara Klemm

La sua foto, intitolata “Leonid Breschnew, Willy Brandt, Bonn 1973”, ha fatto il giro del mondo ed è il migliore esempio di ciò che Cartier Bresson definiva “cogliere il momento decisivo”.

Da Bresson, Barbara Klemm ha appreso anche a scattare foto, la cui composizione dell’immagine avesse una perfetta forma geometrica.

La caratteristica principale di Barbara Klemm, non è di raccontare una storia attraverso la sequenza di più fotografie. Già una sola foto, per lei, deve essere un racconto in sé, deve comunicare una situazione, un evento, un personaggio in modo singolare, dettagliato ed esauriente.

Barbara Klemm è nata il 1939 a Münster. Ha studiato fotografia a Karlsruhe ed ha lavorato per il prestigioso quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung dal 1959 al 2004. La strada verso il riconoscimento è stata lunga ed ardua, soprattutto per una donna ma la fotografa non ha mai mollato, ha affrontato tutte le difficoltà e si è imposta, “divenendo un’istituzione” del settore.

A coltivare il suo talento ci hanno pensato i suoi genitori, i quali incuranti dei brutti voti a scuola, a 14 anni l’hanno ritirata. Klemm ha preso lezioni scolastiche dalla madre, che l’ha incoraggiata nella sua carriera fotografica. Nel 1955, suo padre, di professione artista, l’ha fatta assumere come apprendista dal fotografo Jule Bauer.

Andy Warhol, Francoforte, 1981 - Foto © Barbara Klemm

Il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung, conosciuto anche come FAZ, le ha aperto le porte ad ogni evento e le ha dato la tranquillità economica necessaria per svolgere al meglio il suo lavoro.

Purtroppo, non sempre, alla stampa è permesso di assistere ad eventi importanti ed in queste occasioni Barbara Klemm si è dovuta arrangiare da sola. Nella maggior parte dei casi è riuscita ad intrufolarsi, grazie sia al caso sia alla sua cocciutaggine. Come ad esempio durante le difficili trattative nel 1970 a Warschau, dove era presente, tra gli altri, il Ministro degli esteri tedesco Walter Scheel. Naturalmente la fotografa avrebbe voluto scattare alcune immagini del suo Ministro. Ecco come racconta l’episodio:

Il portavoce stampa mi ha detto, che ci sarebbe stata solo una cena e che la stampa non era invitata. Ma io mi sarei potuta appostare davanti all’hotel. Naturalmente ho pensato che non ne sarebbe venuto fuori niente, soprattutto perché non avevo nessun flash con me e non lo avrei neanche voluto utilizzare. Era novembre ed era una giornata umida. Ho indossato una gonna, ho messo a tracollo la mia borsa con le macchine fotografiche e ho attraversato la sala dell’hotel che era piena di agenti di sicurezza. Poi ho visto una porta aperta, dove vi erano uomini in abiti da sera insieme a Walter Scheel, il quale quando mi ha visto, mi ha domandato: “E lei cosa fa qui?”. Io ho risposto: “voglio fotografare”. Lui ha detto: “allora rimanga qui”.

(Dal comunicato Stampa sulla mostra: Barbara Klemm. Fotografien 1968 – 2013, pagina 22)


Oggi molti suoi scatti sono divenuti delle icone a livello internazionale. Le sue foto sono state esposte in numerose mostre in patria e all’estero. Ha ricevuto numerosi, prestigiosi riconoscimenti: nel 1989 il “Dr.-Erich-Salomon-Preis” (Erich Salomon è stato il primo grande fotoreporter della Germania), nel 2010 il “Max Beckmann Preis der Stadt Frankfurt am Main” e nel 2012 il “Leica Hall of Fame Award”. Nel 2011 è divenuta membro dell’ordine “Pour le Mérite”.

Barbara Klemm mi ha gentilmente concesso un’intervista.

Barbara Klemm mentre introduce la sua mostra al Martin-Gropius-Bau ai corrispondenti esteri in Germania - Foto © Emilio Esbardo

Molte volte sono delle coincidenze che ci fanno diventare quello che siamo…

Sì, in effetti sono state delle grandi coincidenze, che mi hanno portato a lavorare per il Frankfurter Allegemeine Zeitung e che io, osservando le foto del mio grande e stupendo collega Wolfgang Haut, ho capito di voler intraprendere la carriera del fotogiornalismo. Che sarei arrivata dove sono ora, non l’avrei mai creduto.

Ci sono foto sue che hanno influenzato il corso degli eventi? Crede che la fotografia possa cambiare il mondo?

Purtroppo, credo, che bisogna affermare che non si può cambiare il mondo. Alcune volte con le immagini si possono raggiungere dei risultati. Penso alla fotografia della bambina che corre nuda, fuggendo alle fiamme, per le strade del Vietnam. Questa fotografia, pubblicata sulle prime pagine di tutto il mondo, ha risvegliato la coscienza degli americani sul conflitto bellico, accelerando il processo della fine della guerra. C’è una mia foto che ho scattato ai componenti del partito dei neonazisti NPD nel 1969, che ha suscitato, attraverso la stampa, reazioni in tutta Europa e sensibilizzato l’opinione pubblica, che ha associato l’immagine al terzo Reich. Grazie a questo fatto alle elezioni, il partito NPD non è riuscito a raggiungere il 5% di voti necessari per entrare nel Parlamento tedesco. Il ministro degli esteri di allora Walter Scheel mi ha detto che ho raggiunto più risultati io con questa foto che non gli altri partiti stessi contrari all’NPD.

Secondo lei è cambiato il fotogiornalismo?

Il fotogiornalismo è diventato molto più difficile. I politici attuali si sono abituati alle videocamere e alle macchine fotografiche. Essi non mostrano più le loro vere emozioni bensì inscenano tutto.

Continua sempre a fotografare in analogico o è passata al digitale?

Non ho mai fotografato in digitale, perché le fotografie vengono troppo perfette e dunque sono fredde. Inoltre con il digitale ci si potrebbe distrarre molto guardando le foto appena scattate e si potrebbe perdere il momento decisivo.

Utilizza il flash?

Quasi mai.

Ha ritoccato qualche volta le sue foto?

Sì.

Non pensa che gli obiettivi luminosi siano troppo pesanti?

Sì, sono pesanti ed ingombranti. Io utilizzo con la mia Leica obiettivi luminosi, perché è più facile lavorare con la luce naturale, soprattutto di notte e lo trovo una cosa positiva.

Quando una singola immagine riesce a raccontare, a documentare un evento, si può forse affermare, che essa possa essere definita come un’opera d’arte?

Sì, io direi che qualche volta la fotografia diventa arte. Come ha affermato Jean-Christophe Ammann, il direttore del Museo d’arte moderna di Francoforte, un documento non contiene mai un’immagine, ma l’immagine contiene spesso un documento. Quando una foto contiene la struttura, la composizione necessaria per raccontare una storia, un episodio, allora forse si può parlare di arte.

Guardando una foto è possibile riconoscere se è stata scattata da un uomo o da una donna?

No, secondo il mio parere non è possibile.

Può citarmi due fotografi, che secondo lei hanno fortemente influenzato e modificato la fotografia?

La prima risposta è Erich Salomon: il modello da seguire. Anche lui come me ha utilizzato raramente il flash ed ha sempre tentato di essere presente dove non era desiderato. Io ho creduto costantemente, che se lui ci è riuscito, avrei potuto provarci anch’io. Altro fotografo importante, da citare, è Stefan Moses, che ha documentato la Repubblica Federale in una maniera differente da come l’ho fatto io.

È mai stata in Italia? Ha fotografato anche lì persone importanti?

Sono stata spesso in Italia, il più delle volte in vacanza e naturalmente ho fotografato. Nell’edificio del Martin-Gropius-Bau vi sono foto di italiani ad esempio Umberto Eco. Ho documentato la campagna elettorale di Silvio Berlusconi, ma queste foto non sono presenti alla mostra.

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