Mura trasparenti: la poesia dal carcere fa riflettere i milanesi

Prima affissione in grande formato: MURA TRASPARENTI - viaVico - 29.10.2015

di Alberto Figliolia

Undici passi

Conto undici passi
arrivo al muro
conto undici passi
mi volto
ritorno al muro

ci sono muri avanti
li trovo sulla destra
sulla sinistra
dietro di me
poi alzo lo sguardo
oggi il cielo è grigio
come le mura che mi circondano
ieri era migliore
cammino…
undici passi

G.D.M.

Questa poesia costella di sé (e di fecondi se) vie e piazze milanesi. Chi trascorre ora o passerà nei prossimi giorni per le vie (o viali) Castelbarco, Bocconi, Inganni, Umbria, Monza, Pindaro, Fortis, Gran Sasso, Morgagni, Corsica, Argonne, Cassala, Caterina da Forlì, Molise, Cimarosa, oppure nei corsi Lodi e Plebiscito o nelle piazze Sire Raul, Susa, Emilia, Napoli e Brescia, s’imbatte(rà) nei versi di G.D.M.


Già suona strano fra i messaggi commerciali di rango più o meno nobile o leggero delle poesie su manifesto, espressioni profonde dell’anima, riflesso del pensiero più fine e dei sentimenti più universali ed empatici. Se poi queste poesie nascono all’interno di un carcere, frutto della creatività e della sensibilità delle persone detenute, difficile, se non impossibile, non rimanere colpiti dall’evento o iniziativa che dir si voglia.

Prima affissione in grande formato: MURA TRASPARENTI - viaVico - 29.10.2015

Prima affissione in grande formato: MURA TRASPARENTI - viaVico - 29.10.2015

Undici passi di G.D.M. è una poesia di grande sapienza formale, ben costruita e tuttavia dall’empito massimamente sincero. Son versi che invitano a fermarsi, a meditare sulle situazioni esistenziali, sul travaglio e le difficoltà che si sgranano nel rosario dei giorni, sul mondo che ci circonda e sui mondi che ci popolano dentro; invitano a ragionare sui muri che costringono, dividono, disgiungono – nel concreto e metaforicamente, in primis le barriere del pregiudizio… –, sull’invisibilità e sulla non partecipazione, ciò che esclude ancora troppo vaste fette di popolazione (compresa quella carceraria).

Il fatto è che la poesia che ci ha fornito l’incipit è una di quelle prescelte facenti parte del progetto Mura trasparenti, ideato da Carlo Lazzati nell’ambito della multiforme attività del Laboratorio di Lettura e scrittura creativa della Casa di reclusione di Milano Opera che, grazie alla meravigliosa “ostinazione” della fondatrice Silvana Ceruti, da oltre vent’anni esplica il proprio agire all’interno di tale carcere. Questa campagna di affissioni si avvale peraltro del patrocinio del Comune di Milano, la cui Sottocommissione Carceri con grande entusiasmo e indubbia apertura culturale e ideale ha sposato il progetto.

MURA TRASPARENTI - via Bocconi fronte n.17 - Foto Margherita Lazzati - 6.1.2016

“Tempo fa percorrevo via Gian Battista Vico, una delle quattro strade che delimitano il perfetto quadrilatero del Carcere di San Vittore – è l’ideatore Carlo Lazzati a scrivere –. Camminando, sfilava al mio fianco un muro che a me sembrava altissimo (in realtà era “solo”, più o meno, di 6 metri). Su quel muro qualche scritta minacciosa e aggressiva e altre strisce di vernice grigia che, suppongo, coprissero altre precedenti scritte dal tono – è sempre una supposizione – altrettanto inutilmente minaccioso. A cosa serve scrivere sulle mura di un carcere che il carcere è inutile? C’è chi pensa, ma temo che non siano molti, che è vero: il carcere, così com’è, non serve a nulla. Ma c’è chi pensa invece che le mura di quel carcere sarebbe molto meglio fossero alte 9 o 12 metri. Pensando a quelle mura (troppo alte o troppo basse che siano) ho capito che in realtà sono soltanto il monumento alla paura. Gilbert Chesterton sosteneva: “Non abbattere mai una palizzata prima di conoscere la ragione per cui fu eretta”. Personalmente sono assolutamente d’accordo con il principio e con il metodo: farsi domande è sempre e comunque utile. Considerando i muri in genere, specie quelli eretti negli ultimi tempi, ad abbatterli non si è mai sbagliato. Ciò nonostante, abbattere le mura di un carcere è una proposta velleitaria. Possiamo comunque fare qualche cosa di importante in questo senso. Non tocchiamo le mura delle carceri, perché non si può fare altrimenti (ma soprattutto non eleviamole ulteriormente) e proviamo a cambiarne il significato. Tentiamo di convertire mattoni e cemento in materia trasparente. Di fare in modo che chi passa dal marciapiede dove camminavo quella sera possa vedere attraverso le stesse mura cosa e chi c’è dall’altra parte. Allora vedrà che ci sono persone, pensieri e parole. Soprattutto parole. Magnifiche e sorprendenti, scritte di pugno da persone che da anni, magari da decenni, vivono là dentro. Dunque facciamo uscire almeno i loro pensieri, le loro parole. Quale rischio corriamo? Usiamo quelle mura non come una separazione, ma come un supporto. Come uno schermo sul quale mostrare ciò che loro là dentro pensano; che poi è quello che scrivono e quello che oggi sono. Chi da lì passa forse leggerà e magari qualcuno, leggendo, si convincerà che il ravvedimento resta una percorso difficile ma possibile, malgrado queste carceri. Sulle mura del Carcere di San Vittore si possono installare degli impianti come quelli che vengono utilizzati per i poster pubblicitari. Questi impianti serviranno per affiggere testi, poesie e componimenti scritti dalle persone detenute e stampati in grande formato”.

MURA TRASPARENTI - XXII marzo/piazza Emilia - Foto Margherita Lazzati - 6.1.2016

Orbene se le poesie non state affisse sulle mura di San Vittore, carcere fondamentalmente nel centro della città, a ogni modo il progetto si è evoluto in maniera più che consona e brillante. Si è scelto, insomma, l’intera scena urbana, il che è pure meno ghettizzante.

Il formato dei manifesti su muri o su adeguati sostegni che recano i versi delle persone detenute può essere orizzontale, 4 x 1,40 m, oppure verticale, 70 x 140 cm. Le composizioni che poco tempo fa hanno inaugurato la cascata poetica hanno trovato spazio sui muri di via Gian Battista Vico, nei pressi di San Vittore, una vicinanza dai forti connotati simbolici. Eccole:

Né sole né aria

In quelle celle
ho visto il volto
della gente, spento;

in quello spazio
levigato ho visto
tanti passi morti.

Vi parlo delle tante
notti insonni,

di quando le ombre
riempiono i muri
e la luna mette
nelle mani il buio.

Vi parlo della pioggia
lontana e del vento
che mi sfiora;
ricordo i giorni
della mia vita
strana.

P.C.

Nel silenzio

Nel silenzio di questo momento
cerco lo sfavillare di una candela
che dà movenze alle ombre.
Così, per non sentirmi solo
verso cera calda sui miei pensieri
e li metto in un calco
per farli apparire;
poi con fiocchi d’oro li custodisco
dentro carta colorata.
Metto le mani fuori dalle sbarre
e sposto il cielo in orizzontale;
con le stelle costruisco ninnoli d’oro,
con la luna un puntale.
Così, per non sentirmi solo
scarto i fiocchi d’oro
e libero i miei pensieri
incollandovi sopra un paio d’ali.

G.C.

Sbattere un uomo in carcere, lasciarlo solo, in preda alla paura e alla disperazione, interrogarlo solamente quando la sua memoria è smarrita per l’agitazione, non è forse come attirare un viaggiatore in una caverna di ladri e assassinarlo?”, scriveva il gran Voltaire, filosofo dei lumi. Vien da pensare, per contrasto, al potere maestoso e rigenerante della poesia, non a caso uno dei generi più praticati nelle letture carcerarie.

MURA TRASPARENTI - via Cimarosa fronte n.15 - Foto Margherita Lazzati - 6.1.2016

Per tornare ai manifesti poetici Cambiare il carcere per cambiare noi è lo “slogan” che ne è posto a corredo, dichiarazione d’intenti per un indefesso impegno civile. Perché il carcere non sia più inferno, uno degli inferni in terra, ma un luogo di recupero, dove ogni uomo possa ricostruire, nel rispetto dei valori che fanno tale un consorzio umano, la propria esistenza in funzione sociale. Si percepisce, peraltro, nettamente da parte istituzionale questa rinnovata sensibilità e, se la strada è ancora lunga, appare nondimeno tracciata. E nel cammino che tutti ci attende le parole poetiche – spiragli di luce – delle persone detenute costituiscono un messaggio di speranza offrendo un ulteriore e vitale slancio per andare avanti verso (non è ironico) “magnifiche sorti e progressive”, itinerario condiviso di giusta umanità. Undici passi… undici passi…

Articolo: © EcoSistema – www.ecosistema-magazine.it

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