Omaggio all’Altare di Pergamo

Giovedì 26 maggio si è tenuta a Berlino, all’Istituto Italiano di Cultura, l’inaugurazione della mostra di Salvatore Amelio “Omaggio all’Altare di Pergamo”, patrocinata, tra l’altro, dal club Unesco e dalla Provincia di Ferrara.

Amelio, di origini calabresi, è nato a Zagarise in provincia di Catanzaro nel 1948. A 15 anni si è trasferito a Cento in provincia di Ferrara, dove si è affermato come artista e docente.

Alla manifestazione erano presenti Pietro Raimondo, sindaco di Zagarise, Ugo De Nunzio, presidente del Club Unesco di Ferrara, il Professor Graziano Campanini e l’assessore della provincia di Ferrara Carlotta Gaiani, che ha dichiarato: “L’altare di Pergamo è tra i monumenti antichi che più stupiscono per magnificenza e forza narrativa.

Salvatore Amelio - Foto: Emilio Esbardo

Del mito della lotta tra gli immortali dei e gli immortali giganti che il suo grande fregio ci tramanda, Salvatore Amelio ci restituisce con questa mostra una narrazione moderna che conserva tutta la forza espressiva dell’originale. Che la prima edizione della mostra si tenga qui a Berlino è un successo per l’artista e per quanti hanno voluto sostenere quest’avvenimento, che è anche l’occasione per far conoscere all’estero la città di Cento e la nostra provincia di Ferrara”.

Presso l'Istituto Italiano di Cultura - Foto: Emilio Esbardo

L’opera di Amelio è composta da 10 sculture in bronzo, da 73 tavole realizzate a tecnica mista tempera e pastello e da 6 dipinti che danno la visione d’insieme dell’intero lavoro. La mostra si protrarrà fino al 7 luglio. La serata si è conclusa tra gli applausi generali e con un ricco buffet nelle sale dell’Istituto di Cultura.

INTERVISTA ALL’AUTORE

Prof. Salvatore Amelio potrebbe raccontarci qualcosa di lei e della sua vita?

Io sono partito a 15 anni da Zagarise, un piccolo paese nella provincia di Catanzaro, e mi sono trasferito a Cento in provincia di Ferrara per studiare arte, poiché a quell’epoca, siamo nel lontano 1962, in Calabria non esisteva una scuola d’arte. In Emilia mi sono sposato e ho trovato lavoro come docente di Storia dell’Arte, però la mia terra è la Calabria con cui ho un legame fortissimo e dove spesso e volentieri mi reco. In questa iniziativa di Berlino sono presenti il sindaco e il prete del mio paese calabrese.

Quanta Calabria c’è nelle sue opere?

Ce n’è tantissima perché in tutta la mia opera si sente il sapore classico, il mondo antico, la Magna Grecia. Si percepisce nella luce, nel colore, nelle forme. Questa è la Calabria. Non è la regione che noi spesso purtroppo vediamo sui giornali, presentata in modo sbagliato. La Calabria è fatta di tante cose belle, di un bel paesaggio, di gente straordinaria che ha creato e crea la Calabria futura. Ma è fatta anche di un passato illustre che dobbiamo rimettere in luce, che dobbiamo divulgare.

Mostra di Salvatore Amelio - Foto: Emilio Esbardo

 

Se lei dovesse definire la sua arte?

È un’arte fantastica però con radici nel passato, sul filone surreale ma non tanto surreale, sul filone metafisico, perché Ferrara fu la culla della Metafisica, e molto sull’ideale della libertà. Nelle mie forme emerge spesso il gabbiano Jonathan di Richard Wagner, che esprime la libertà di pensiero e di idee che deve avere un artista. 

I surrealisti Bunuel e Dalì l’hanno influenzata?

Si certo, soprattutto, Dalì. A 20 anni sono andato in Spagna e l’ho incontrato, è stato la mia passione per tanto tempo, me ne ero innamorato. Il fatto di averlo conosciuto ha segnato un po’ tutta la mia vita.

Mi può raccontare un aneddoto su Dalì?

Quando l’ho incontrato, lui era seduto su un grande seggiolone e io, invece, su una sedia piccola piccola. Lo guardavo dal basso in alto. Ponevo una domanda e lui rispondeva, non alla prima bensì alla seconda, in un mezzo spagnolo-francese, quasi fosse un gioco. Ad un certo punto mi ha mollato ed è andato via.

È cambiata molto Berlino dalla prima volta che l’ha visitata?

Sì. Sono venuto qui per la prima volta nel 2007, appositamente per vedere l’Altare di Pergamo. Mi è subito piaciuta, come ambientazione, come spazio, come tutto. Sono tornato una seconda e una terza volta e qualcosa è cambiato sicuramente. Vedo una Berlino produttiva, in continua attività. Una Berlino che lavora: nel 2007 quando sono stato al Museo di Pergamo c’era un bellissimo piazzale davanti. Ho fatto una foto. Adesso ho visto tutto disfatto. Lo stanno rifacendo, hanno altre idee: giustissimo. Questa è la produzione continua di Berlino.

Perché l’Altare di Pergamo?

Perché tutte le volte che spiego l’ellenismo provo un’emozione fortissima. Stamattina ho visitato di nuovo l’Altare di Pergamo e mi sono commosso a vedere questi giganti, queste divinità, queste lotte. Non ho rappresentato il Fregio di Telefo che sta più in alto perchè è molto più pacato, più cadenzato, più classico. Ho rappresentato la Gigantomachia, che è piena di pathos, ritmo, tensione, contrasti. Molto vicino al mio modo di pensare. Questo contrasto di luce. E non finisco qui. Andrò ancora avanti ad analizzarlo.

Chi a livello umano ed artistico l’ha influenzata nel suo percorso di vita?

A livello umano ho avuto sicuramente una bellissima esperienza a Ferrara incontrando Don Franco Patrono, un sacerdote, deceduto, che dirigeva l’Istituto di Cultura “Casa Cimi”, un uomo straordinario. Parlava in modo molto profondo, molto acculturato di temi svariatissimi: culturali, filosofici, artistici. E poi a tavola raccontava le barzellette. Da lui ho preso molto. A livello artistico non c’è stato nessuno. Io sono un lupo solitario. Fa parte del mio modo di pensare. Non perché non voglio rapportarmi con gli altri. Ho le mie idee.

Secondo lei il modo di fare arte in Italia è differente da quello europeo?


Secondo me, l’arte italiana avendo una storia e un passato straordinario deve andare avanti per la propria strada, senza scimmiottare le correnti europee. Un esempio: noi fino all’ottocento siamo stati esponenti di punta dell’arte mondiale. Poi con l’impressionismo ci spostiamo in Francia. Con l’espressionismo in Germania. Con la Pop Art negli Stati Uniti. Tranne nel caso del futurismo e della metafisica italiana, noi abbiamo solo scimmiottato l’Europa e ci siamo dimenticati delle nostre radici, del nostro passato che è importantissimo e che tutti ci invidiano, che dovremmo continuamente tenere presente.

Magari rivisitare il nostro passato?

Certamente io non posso girare con il mulo, giro con la macchina. Stiamo attenti però. Io continuo a dipingere con i pennelli, utilizzo la tecnica tradizionale, uso il bronzo, uso materiale classico però con un concetto moderno. La mia forma è classica.

Secondo lei l’arte potrebbe cambiare il mondo?


Sicuramente. L’arte vola in alto. È superiore a qualsiasi altra cosa. L’arte non ha barriere. Non ha ostacoli. Non ha colori politici. L’arte deve essere libera. Il pensiero deve essere libero. Il mio logo è il gabbiano Jonathan, perché vola in alto, fa vedere a tutti che si può volare in alto, anche se non si è dei falchi, delle aquile. L’arte deve essere libera culturalmente e intellettualmente.

testo e foto di Emilio Esbardo

Share Button