di Alberto Figliolia
Tre spighe di grano raccolse Giovanna
dalla nera terra: sapevano di aspro
fumo, di risa di bambini sapevano
e di latte materno e di sudore d’uomo.
Sotto le spighe che dolci ondeggiavano
ai venti dell’Est cenere…
cenere di grida spente negli alti camini…
cenere che si confondeva con la neve,
come il giorno con le tenebre…
cenere di popoli e lingue…
cenere di canti di fanciulle in fiore,
che si facevano la treccia
e nelle fonti si specchiavano,
nel desiderio dell’amore a venire…
cenere di famiglie…
cenere di villaggi colorati
sui tetti dei quali, fra nubi e stelle,
volavano animali fantastici
e ataviche parole
e i sogni degli sposi…
cenere dispersa nella nebbia dell’inverno,
fino a boschi remoti, irriconoscibili ombre…
cenere di cartoline e immaginarie geografie…
Tre spighe di grano raccolse Giovanna
dalla nera terra: sapevano di aspro
fumo, di risa di bambini sapevano
e di latte materno e di sudore d’uomo.
Nelle spighe era tutto il sole del ricordo…
e le spighe viaggiarono a ritroso:
dai vagoni piombati alla nostalgia dei cipressi;
dal filo spinato dell’odio alla forza degli ulivi;
dagli ordini gutturali ed elettrici alla carezza ocra
di un mondo gentile.
Tre spighe di grano raccolse Giovanna
dalla nera terra: sapevano di aspro
fumo, di risa di bambini sapevano
e di latte materno e di sudore d’uomo.
I chicchi di Auschwitz furono seminati
e germinarono nuove spighe
e un piccolo popolo di semi
e ancora spighe e semi e spighe e semi…
bionda luce senza fine, bionda luce senza fine…
Tre spighe di grano raccolse Giovanna
dalla nera terra: sapevano di aspro
fumo, di risa di bambini sapevano
e di latte materno e di sudore d’uomo…
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