testo e foto di Emilio Esbardo
Negli ultimi due giorni del festival di Letteratura Internazionale di Berlino (14 e 15 settembre), un pubblico numeroso si è recato agli incontri con Salman Rushdie, uno dei più importanti scrittori contemporanei. Il sessantaseienne autore di origini indiane ha all’attivo una decina di romanzi, una raccolta di racconti, quattro saggi e il libro autobiografico Joseph Anton.
Ed è stata proprio la presentazione di Joseph Anton il 15 settembre l’incontro più atteso con Rushdie.
Il libro narra le vicende, realmente accadute, della vita dello scrittore indiano, a partire dal 1989, anno in cui ha ricevuto una condanna a morte (una “Fatwa”), annunciata via radio dall’Ayatollah Khomeini, precisamente il 14 febbraio.
Rushdie era stato giudicato colpevole di essersi espresso contro “l’Islam, il Profeta ed il corano”.
Salman, durante la presentazione del suo libro e durante la conferenza stampa era accompagnato da un addetto alla sicurezza. Alla domanda di un giornalista ha detto di sentirsi sicuro a Berlino, una città che ha visitato spesso e che ricorda particolarmente per un incontro con Günther Grass in un caffè di fronte al Muro.
A partire dal fatidico 1989 la sua vita è stata completamente stravolta, ha dovuto vivere sotto scorta e i rapporti con i suoi colleghi, gli editori, i traduttori delle sue opere e con lo stesso governo britannico sono stati sono cambiati radicalmente.
Tutto questo perché Khomeini aveva lanciato l’appello ai musulmani sparsi nel mondo ad ucciderlo, promettendo una lauta ricompensa.
Tracce della sua colpevolezza, l’Ayatollah le ha trovate nei I versi satanici, condannandoli come blasfemi.
Anche se il 24 settembre 1998 l’Iran ha dichiarato abolita la dichiarazione di morte contro Rushdie (condizione posta dal Regno Unito per intraprendere relazioni diplomatiche bilaterali), i più estremisti, compreso Khomeini, hanno continuato a minacciare lo scrittore.
All’interessante domanda di un giornalista, che gli ha chiesto per chi avesse scritto questo libro autobiografico, Salman Rushdie ha risposto: “l’ho scritto per te”.
Ogni autore, ha aggiunto, scrive per tutte quelle persone che riesce a raggiungere, il suo scopo è quello di far sentire come si sente lui quando scrive i suoi libri.
Rushdie ha raccontato che a parte il nome “Joseph Anton”, uno dei suoi tanti pseudonimi utilizzati per la sua incolumità, tutto ciò che viene raccontato nel romanzo è assolutamente vero.
Senza il suo retroterra culturale, la sua India, la sua Bombay, lui non sarebbe mai divenuto un grande scrittore. “Senza l’India non sarei nessuno”, ha affermato con convinzione.
Rushdie è nato a Bombay il 19 giugno 1947. Proviene da una famiglia benestante di fede islamica. È convolato a nozze quattro volte e la sua ultima moglie, dalla quale si è separato nel 2007, è l’attrice e modella indiana Padma Lakshmi.
Vagare per le strade delle grandi città lo ispira moltissimo, lo aiuta nel processo creativo della sua scrittura: oltre a Bombay è legato moltissimo a Londra e a New York. Queste grandi città si somigliano un po’ tutte, hanno delle caratteristiche comuni quali il cosmopolitismo.
Nella sua scrittura si mescolano le tematiche di persone di strati sociali differenti e provenienze differenti. Il tema dell’immigrazione è spesso presente nelle sue opere.
Come reazione agli attacchi terroristici dell’11 settembre Salman Rushdie aveva organizzato il congresso degli scrittori “Pen World Voices”. L’unico che non aveva potuto partecipare era il poeta dissidente cinese Liao Yiwu e come gesto simbolico si era messa una sedia vuota sul palco del congresso.
Liao Yiwu, ora espatriato, vive a Berlino, si è affermato con successo nel panorama letterario tedesco ed ha partecipato insieme a Salman Rushdie al Festival Internazionale di Letteratura 2013.
Il suo romanzo del 1981 I figli della mezzanotte, considerato il suo capolavoro, di cui si è parlato nell’incontro del 14 settembre del Festival di Letteratura, è stato portato sul grande schermo nel 2012.
I figli della mezzanotte ha reso famoso Salman Rushdie a livello internazionale. Per questa sua opera, che ha influenzato tutta la letteratura indiana successiva, ha ricevuto premi prestigiosi, quali il Booker Prize e il James Tait Black Memorial Prize.
A causa di esso, però, ha dovuto lasciare l’India perché lo aveva fatto cadere in disgrazia presso la dinastia Nehru-Gandhi.
Il libro racconta la storia dei mille bambini venuti al mondo esattamente alla mezzanotte del 15 agosto 1947: data storica che segna l’indipendenza dell’India dall’Impero britannico. Essi non sono bambini normali, bensì posseggono doti soprannaturali, quali quella di poter viaggiare nel tempo o di rendersi invisibili.
Rushdie sta già scrivendo un nuovo libro, però si è rifiutato di entrare nei dettagli, ha solo detto che si tratterà di un’opera surreale e divertente. Aspetteremo con ansia la sua pubblicazione.
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