di Emanuele Bellintani
(22.05.2015) Il duo londinese è atterrato sul palco con la propria astronave retro-futurista per quasi due ore di show interstellare tra echi di “guerra fredda” e della “corsa allo spazio”.
La fortunata formula della band sembra molto semplice da definire: elettronica sopraffina mescolata a groove chitarristico tra l’indie e il pop, il tutto impreziosito da campioni di materiale sonoro ripescato dagli archivi della televisione inglese e cucito sui brani come veri e propri testi.
Vestiti come funzionari british anni Sessanta, J. Willgoose, Esq. e Wrigglesworth manipolano suoni tra chitarre e sintetizzatori e, anche per comunicare col pubblico, usano solo tracce vocali. L’avvolgente “Sputnik” apre le danze con un crescendo strumentale epico, mentre nel video sullo sfondo il primo satellite sovietico raggiunge le stelle.
La carica di “Night Mail” trasporta di stazione in stazione per la consegna della posta e dal vivo offre una trama chitarristica arricchita. Il post-rock strumentale “Valentina” (Tereshkova) nella versione live è da pelle d’oca, non solo per l’aggiunta delle immagini di repertorio, ma per una intensità sonora che la band raggiunge nonostante la freddezza di suoni sintetici; al termine del brano a J. Willgoose scappa un emozionato “thank you” labiale. “Spitfire” è una ottima prova di rielaborazione indie di un certo gusto kraut.
E la corsa continua con il post-punk etereo di “Go!” uno dei brani migliori dell’ultimo disco che si conferma anche nella sua dimensione live. Audio di notiziari sul primo cosmonauta nello spazio e un riff incendiario di chitarra annunciano “Gagarin”: un funk robotico che scuote tutto il pubblico del locale situato a due passi dalla stazione che collegava Berlino Est a Mosca. In modo maestoso ed epico, la chiusura del concerto è affidata al post-rock di “Everest”.
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