Jazzfest Berlin nel segno di apertura e inclusione: “In tutte le lingue”

Il mio personale collage, Emilio Esbardo

di Emilio Esbardo

René conserva un ricordo mitigato di quest’avventura. “Mi ha portato alla gloria, sicuramente. Ed è una musica sacra che in qualche modo prefigura il jazz modale; questo jazz più astratto del bop si sviluppa di più su un colore che su una tonalità. Kind of Blue, per esempio. È una meraviglia (…)” (1)

Prima di iniziare l’articolo vero e proprio, il mio personale omaggio va ad un album bellissimo e fondamentale nella storia del jazz: “Kind of Blue” di Miles Davis, ricordato con la sopracitata frase di René Urtreger. “Blue in Green” è un pezzo all’interno dell’album. Il mio collage di foto vuole essere anche un tributo al Jazzfest Berlin, grazie al quale, nel corso degli anni, ho potuto fotografare molti musicisti che facevano parte della cerchia di Miles Davis, come ad esempio, Jack DeJohnette, Wayne Shorter e lo stesso Urtreger.


    

Jazzfest Berlin nel segno di apertura ed inclusione: “In tutte le lingue” / “In all languages”  –

In un mondo nel quale quotidianamente vengono costruiti dei Muri e fortificati i confini, nel quale i leader promuovono l’isolazionismo culturale ed escludono le minoranze e nel quale ai bambini viene insegnato che debbono temere le diversità, il jazz ci ricorda un fatto semplice: persone e società sono strutturate al meglio se lavorano in uno spirito di apertura ed inclusione.  (2)

Come ogni anno il festival di jazz berlinese, uno dei più rinomati a livello internazionale, ha  avuto una grande affluenza di pubblico. In sei giorni, dal 31 ottobre al 5 novembre 2017, sono stati venduti più di 7000 biglietti, registrando il pieno assoluto.

Concerto: Shakaba and the Ancestors - foto: Emilio Esbardo

Concerto: Shakaba and the Ancestors - foto: Emilio Esbardo

Concerto: Shakaba and the Ancestors - foto: Emilio Esbardo

Concerto: Heroes Are Gang Leaders - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Heroes Are Gang Leaders - Foto: Emilio Esbardo

Thomas Sayers Sellis dei Concerto: Heroes Are Gang Leaders è anche fotografo, l'ho immortalato mentre con la sua Leica faceva scatti dei suoi colleghi durante le prove - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Heroes Are Gang Leaders - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Amirtha Kidambi & Elder Ones - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Amirtha Kidambi & Elder Ones - Foto: Emilio Esbardo

Steve Lehman & Sélébéyone - foto: Emilio Esbardo

I concerti si sono tenuti nella sede dei Berliner Festspiele, presso il Lido, presso la Maison de France / Cinema Paris, nel club A-Trane, nella chiesa Kirche Am Hohenzollernplatz e nella Kaiser-Wilhelm-Gedächtnis.

Per la prima volta, il concerto di apertura non ha avuto luogo nella sede dei Berliner Festspiele, bensì presso il locale Lido nel quartiere di Kreuzberg in coerenza con il messaggio che gli organizzatori del festival volevano comunicare.

Kreuzberg, infatti, essendo il quartiere più multiculturale di Berlino, è il luogo ideale per un incontro di culture differenti e per l’apertura alle minoranze. “In tutte le lingue” è stato il motto del festival ed una miriade di idiomi si possono ascoltare passeggiando tra le strade di Kreuzberg.

Il jazz d’altronde, dal mio personalissimo punto di vista, è un’espressione artistica internazionale, senza barriere e confini, che esprime la maniera di concepire la vita dei musicisti, di comprendere e di migliorare il mondo. Sin dagli albori, i jazzisti con le loro composizioni hanno avuto la possibilità di esternare le proprie esperienze; da un lato per alleviarsi dalle proprie sofferenze; dall’altro per far conoscere la loro realtà alla società intera: ad esempio, le ingiustizie e le sopraffazioni che la gente di colore subisce ad ha dovuto subire negli Stati Uniti d’America. Ma in seguito il jazz è anche divenuto una voce a favore dell’emancipazione sessuale e contro le discriminazioni di classe, e così via…

I jazzisti trasportano nella loro musica le loro emozioni personali, le loro passioni, che scaturiscono dalla loro quotidianità. Amore, odio, tristezza, gioia si tramutano in note che si propagano attraverso ritmo, melodia e ballo: sentimenti che non hanno confini e barriere ma che accomunano persone di tutto il mondo.

Partendo dal loro piccolo, i jazzisti non fanno altro che darci un dipinto dettagliato e fedele della società intera e di come le storie della gente comune si inseriscono nella grande storia; di come la gente comune reagisce alle decisioni delle politiche nazionali ed internazionali.

La musica in generale racconta fatti storici epocali. Ad esempio, come ben descritto nel volume di S. Frederick Starr, Jazz in Rußland 1917-1990, il valzer, espressione della élite, ne ha narrato anche il suo declino:

Il 19° secolo non terminò in Europa nel 1900, bensì nel 1914 (…) Marcel Ravel (che successivamente, tra le altre cose,  è stato influenzato dal jazz) ha creato nella sua composizione “La Valse” un ricordo musicale sul declino della vecchia Europa. Durante il secolo, che iniziò con il “Congresso danzante” di Vienna (…) Dovunque la civiltà europea festeggiava, vi era il valzer… (3)

Dopo la fine del primo conflitto mondiale, anche in Europa si è propagato un altro tipo di musica, questa volta di tipo popolare, il jazz, che non rappresentava più la classe dirigente:

Tuttavia nel 20° secolo vi è una forma di espressione, che ha lasciato le altre dietro di sé nella sfera d’influenza sulla vita sociale e sulle relazioni private e praticamente su qualsiasi altro campo artistico: il jazz. Questa forma d’espressione ha rappresentato talmente appieno i valori del periodo dopo la prima guerra mondiale, che quegli anni sono passati alla storia con il nome “dell’epoca del jazz” … (4) 

Kreuzberg è il quartiere simbolo berlinese che accoglie ed accetta il nuovo cambiamento epocale, che indica un mondo che tende al multiculturalismo come negli Stati Uniti, le cui  fondamenta si basano sul melting pot, ossia sul crogiolo di culture e di razze differenti.

E il jazz che ha già raccontato questo processo di unione nelle diversità avvenuto negli USA è il mezzo più adatto a raccontare anche oggi i mutamenti radicali che stanno ridisegnando i tratti caratteristici non solo europei ma internazionali. 

I sentimenti personali dei jazzisti, che scaturiscono dalla loro quotidianità, come d’abitudine, sono ancora uno specchio dei fatti positivi o delle tragedie della gente comune, che scaturiscono durante la formazione di questa nuova epoca, che è ancora nella sua fase iniziale. 

Correttamente, secondo il parere di Richard Williams, il direttore artistico che ha chiuso alla grande il suo ultimo anno alla guida del festival, Steve Lehman & Sélébéyone e Amirtha Kidambi & Elder Ones “rappresentano la capacità del jazz di raggiungere altre forme e linguaggi”, mentre Shakaba and the Ancestors fondono stili e culture di Gran Bretagna e Sudafrica.

Steve Lehman & Sélébéyone - foto: Emilio Esbardo

Amirtha Kidambi - Foto: Emilio Esbardo

Michael Wollny - Foto: Emilio Esbardo

Michael Wollny - Foto: Emilio Esbardo

Michael Wollny - Foto: Emilio Esbardo

Michael Wollny - Foto: Emilio Esbardo

Tyshawn Sorey - foto: Emilio Esbardo

Tyshawn Sorey - foto: Emilio Esbardo

Angelika Niescier - Foto: Emilio Esbardo

Il primo concerto in assoluto è stato proprio quello dei Shakaba and the Ancestors il martedì 31 ottobre alle ore 20.00.

Shabaka sta per Shabaka Hutchings, sassofonista tenore e clarinettista britannico di origini caraibiche, nato il 1984 a Londra. Dopo una breve parentesi sulle isole Barbados, dai sette fino ai sedici anni, dove ha iniziato ad apprendere a suonare il clarinetto, è ritornato in Inghilterra per completare la sua formazione di musicista classico. Tra i suoi compagni di studi vi era anche Soweto Kinch, presente all’edizione 2014 del Jazzfest. Nel corso della sua carriera ha collaborato con altri tre musicisti, che si sono egualmente esibiti a Berlino, ossia Louis Moholo, Alexander Hawkins, Jack DeJohnette. Lo stesso Shababa aveva tenuto il concerto finale del Jazzfest 2013 con il suo gruppo Sons of Kemet. Il suono di  Hutchings – considerato uno dei maggiori rappresentanti della scena jazz britannica contemporanea – riassume in sé  le caratteristiche principali del jazz del passato e odierno; con un sguardo proiettato, però,  nel futuro. Nel 2016 ha conosciuto il gruppo sudafricano The Ancestors, con i quali ha registrato l’album Wisdom of Elders. Con esso ha arricchito il suo stile jazz con i ritmi e le armonie sudafricani. 

Nella stessa serata, successivamente, si è esibito il gruppo di avant-garde jazz Heroes Are Gang Leaders, fondato dal poeta e fotografo Thomas Sayers Ellis e dal sassofonista James Brandon Lewis. Il loro concerto, che ho trovato molto positivo, un misto di musica e letteratura, mi ha ricordato in qualche modo le serate degli scrittori della Beat Generation. I loro testi riflettono la società statunitense contemporanea. 

Mercoledì primo novembre sempre alle 20.00 e sempre presso il Lido si è svolto il concerto di Amirtha Kidambi & Elder Ones.

Amirtha Kidambi, nata il 1985 a Buffalo, di origini indiane, è una musicista specializzata in canto, composizione e armonio, che è “un tipo di organo costituito da una (o più) tastiera, manuale, e da due pedali per azionare i mantici per l’aria; – uno strumento a serbatoio d’aria”. Insieme ai Elder Ones ha organizzato uno spettacolo basato su improvvisazione e musica carnatica. Inoltre Amirtha è componente del gruppo Code Girl, del quale fanno parte il trombettista e compositore statunitense Ambrose Akinmusire, anche lui esibitosi al Jazzfest (edizione 2015) e Mary Halvorson, chitarrista presente, invece, all’edizione 2016. Amirtha è un membro attivo del movimento internazionale Black Lives Matter.

Il linguaggio di Amirtha Kidambi  è influenzato fortemente dalle qualità di improvvisazione di  John Coltrane, che l’ha condotta verso il jazz, e dalla musica carnatica (genere prevalentemente religioso). La sua ricerca musicale  è una ricerca della verità:

I miei obiettivi con l’improvvisazione non sono necessariamente di natura religiosa, ma spirituale, nel senso che considero l’attività della musica come una ricerca della verità. Questo mondo è complesso e brutto, la musica è un modo per eliminare le interferenze e giungere al cuore delle cose. Nella filosofia indù abbiamo un concetto secondo cui l’ego o il sé hanno bisogno di essere distrutti per realizzare verità universali. Una di queste verità è di intravedere la connessione e l’universalità di tutte le cose. Attraverso una ricerca interiore possiamo iniziare a separarci dall’ego e diventare più uno con l’universo. La musica è uno dei modi per raggiungere la distruzione dell’ego. Quando sei sul palco, c’è una strana separazione che si verifica tra la tua mente cosciente e te stesso. Non sto dicendo di aver raggiunto l’illuminazione attraverso la musica, ma di aver percepito rari momenti ultraterreni, cantando e improvvisando. (5)

Tyshawn Sorey - Foto: Emilio Esbardo

Tyshawn Sorey - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Mônica Vasconcelos - Foto: Emilio Esbardo

Ingrid Laubrock / Concerto: Mônica Vasconcelos - Foto: Emilio Esbardo

Ingrid Laubrock / Concerto: Mônica Vasconcelos - Foto: Emilio Esbardo

Mônica Vasconcelos - Foto: Emilio Esbardo

Mônica Vasconcelos - Foto: Emilio Esbardo

Altra conoscenza del Jazzfest è Steve Lehman, che si era già esibito l’anno precedente con il suo ottetto nella sale principale dei Berliner Festspiele. Questa volta invece con i Sélébéyone.  Utilizzando la descrizione ufficiale:

Formato nel 2015 da Steve Lehman, HPrizm, Maciek Lasserre e Bamar Ndoye, Sélébéyone è un nuovo progetto collaborativo che attinge al rap senegalese, alla musica spettrale francese, al modern jazz, all’hip-hop underground, all’elettronica interattiva e oltre… (6)

Il termine Sélébéyone deriva dal wolof, la lingua parlata in Senegal, che sta ad indicare la sfera onirica dove due entità si incontrano e si uniscono, trasformandosi in qualcosa di finora sconosciuto. 

Il concerto di apertura presso la sala principale dei Berliner Festspiele si è tenuto giovedì 2 novembre con il Trio di Tyshawn Sorey, che aveva già partecipato all’edizione 2016 con il progetto Myra Melford’s Snowy Egret

Tyshawn Sorey  è inoltre il primo ad essere stato invitato come “artist in residence” (artista in residenza) nei 54 anni della storia del Jazzfest. Come tale, oltre ad esibirsi con la propria band  ha suonato anche con altre formazioni.

Sorey è un musicista polivalente: compositore, batterista e bandleader. Nato il 1980 a Newark  nel New Jersey, ha collaborato con numerosi musicisti, tra i quali Wadada Leo Smith, anch’egli presente all’edizione 2016.

Tyshawn Sorey - Foto: Emilio Esbardo

Tyshawn Sorey - Foto: Emilio Esbardo

Concerto di Tyshawn Sorey come bandleader - Foto: Emilio Esbardo

Gebhard Ullmann in concerto con Tyshawn Sorey - Foto: Emilio Esbardo

Con il suo trio, applaudito dal pubblico presente, ha già registrato due album: Alloy nel 2014 e Verisimilitude nel 2017. Il concerto è stato un sunto della loro carriera, la cui musica è influenzata da personalità quali Xenakis e Feldman, ed è guidato da un leader, che è stato descritto dal Wall Street Journal come un “compositore di idee radicali e apparentemente inesauribili”. Tyshawn Sorey con le sue composizioni rispecchia lo stato d’animo dei musicisti – “il punto è come la musica faccia sentire i musicisti”, ha dichiarato.

La sua musica è anche espressione di un jazz, che esso stesso sta subendo mutamenti epocali, di una musica divenuta essa stessa inclusiva, che si lascia influenzare da stili differenti, come confessa lo stesso Sorey:

Non sono un musicista jazz; né un musicista d’avanguardia del XX secolo; né un musicista funk. In realtà sono uno studente di musica che ama tutti i tipi di musica con background e culture  differenti (…) Consiglio di non aspettarvi ai miei concerti semplicemente dello swing e del jazz nel senso più stretto della parola (…) la mia filosofia è di non avere discriminazioni di stili… (7)

Al termine, dopo una breve pausa, vi è stato il concerto NDR Bigband: Geir Lysne’s Abstracts from Norway. La NDR Bigband, dal mio punto di vista, è una meravigliosa grande orchestra, composta da 17 musicisti fissi con sede ad Amburgo. NDR, abbreviazione di Norddeutsche Rundfunk,  è l’emittente radiotelevisiva pubblica degli stati federali del nord della Germania.

Geir Lysne è il neo direttore dell’orchestra (dal 2017) e musicista polivalente – sassofonista, compositore, arrangiatore e direttore – che nel 2013, insieme al pianista italiano Stefano Bollani, ha ricevuto il riconoscimento tedesco ECHO.

Il concerto, un lavoro in anteprima, è una conferma dell’internazionalità del festival berlinese, grazie al quale il pubblico può conoscere la situazione del jazz nei differenti Paesi del mondo. L’esibizione infatti ha mostrato il grande contributo apportato al jazz in Norvegia, una nazione a bassa densità di popolazione; piccola ma importante.

Ingrid Jensen - Foto: Emilio Esbardo

Christine Jensen - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Ingrid & Christine Jensen - Foto: Emilio Esbardo

La serata del 2 novembre si  è “conclusa in bellezza”, per utilizzare il linguaggio parlato, presso la Seitenbühne dei Berliner Festspiele. Il concerto di Mônica Vasconcelos e della sua band, uno dei miei favoriti, ha mescolato musiche con immagine d’epoca molto belle e dal valore storico importante. Nativa di San Paolo, vive da oltre un decennio nel Regno Unito, dove lavora come redattrice e moderatrice per la BBC, producendo trasmissioni radiofoniche sulla storia della Bossa Nova e sulla vita in Brasile durante la dittatura militare dal 1964 al 1985. Ha registrato finora 7 album. Tra le sue collaborazioni da citare sono quelle con Robert Wyatt, Gilberto Gil, Flora Purim, Bryan Ferry, Airto Moreira.

Le canzoni del concerto si sono rifatte al São Paulo Tapes, album che contiene testi che descrivono i 21 anni di repressioni durante il regime e di grandi cantautori come Caetano Veloso, João Bosco, Ivan Lins e Chico Buarque. Anche nel gruppo di Vasconcelos vi era un’artista che aveva già partecipato al Festival ossia il pianista Steve Lodder (edizione 2015). Di questo bellissimo ed interessante concerto vorrei inoltre segnalare la partecipazione straordinaria di Ingrid Laubrock (soprano, sassofono tenore), che aveva suonato nel 2016 insieme alla chitarrista Mary Halvorson sempre nella Seitenbühne. Ingrid Laubrock, tedesca, classe 1970, ha anche all’attivo molte incisioni. Ha accumulato molte esperienze all’estero, vivendo 19 anni a Londra e successivamente a Brooklyn. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il BBC Jazz Award for Innovation e il SWR-Jazzpreis.

Il concerto di Mônica Vasconcelos e Ingrid Laubrock è stato importante perché ha sottolineato ancora una volta l’importanza delle donne nello sviluppo futuro del mondo jazzistico. La loro esibizione ha preceduto la premiazione di Angelika Niescier, un’altra donna e aggiungerei una grande virtuosa dell’improvvisazione:

La voce femminile nel jazz è mutata significativamente nel corso degli anni (…) “Ciò che è cambiato è il ruolo delle donne nella società; i ruoli di genere e gli stereotipi. Sono alla ricerca di canzoni con le quali posso raccontare le mie storie. E vi sono anche temi naturalmente che accompagnano le persone da secoli”, afferma Lucia Cadotsch. Detti mutamenti hanno fatto sì anche, ad esempio, che una dichiarata musicista jazz lesbica come la batterista, compositrice e produttrice Terri Lyne Carrington sia stata in grado di registrare un album ben riuscito con sole donne nel 2015 intitolato “The Mosaic Project: Love And Soul” (…)  Mai prima d’ora temi come la giustizia sociale, i diritti delle donne e di genere, la politica dei rifugiati, l’imprigionamento di massa o le questioni ambientali sono stati così fortemente riflessi nella musica attuale, specialmente nel jazz. Più che mai, i cantanti sono chiamati a prendere posizione ed esprimersi… (8)

La giornata di venerdì 3 novembre è iniziata con un altro grande concerto, probabilmente il mio preferito in assoluto, quello di Angelika Niescier, in occasione della consegna del premio Albert-Mangelsdorff-Preis: un importante riconoscimento assegnato ogni due anni a personalità “che con eccezionali risultati musicali giocano un ruolo significativo nello sviluppo del jazz in Germania”.

Niescier, nata il 1970 a Stettino, in Polonia, si è trasferita in Germania nel 1981. Nel 2000 ha fondato il suo primo gruppo (quartetto) denominato Angelika Niescier-sublim. Ha suonato insieme a musicisti di rilievo come Joachim Kühn, uno dei più importanti pianisti jazz tedeschi. È fondatrice della German Women Jazz Orchestra (Orchestra di donne tedesche del jazz); collabora volentieri con scrittori e artisti visuali. Ha ricevuto numerosi premi.

Angelika Niescier suona il sassofono contralto con molta energia e passione. I suoi brani sono melodiosi. Durante il concerto sono rimasto estremamente colpito dalla capacità di libertà di improvvisazione – dote molto difficile da riscontrare nei giovani musicisti – da cui scaturisce una voce femminile spontanea, autentica e piena di energia, che si propaga sul palcoscenico e coinvolge infine gli spettatori.

Dr. Lonnie Smith - Foto: Emilio Esbardo

Dr. Lonnie Smith - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Dr. Lonnie Smith Trio - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Dr. Lonnie Smith Trio - Foto: Emilio Esbardo

Al termine, dopo una breve pausa, vi è stato il concerto del pianista Michael Wollny, descritto dagli organizzatori come “uno degli artisti di punta del jazz europeo contemporaneo”, che in effetti è solito esibirsi con numerosi artisti del vecchio continente: tra i tanti cito il fisarmonicista francese Vincent Peirani, presente alle edizioni 2014 e 2015 del festival. Il quotidiano Süddeutsche Zeitung lo ha definito “l’unico jazzista tedesco con il fascino di una star internazionale”

Wollny, nato il 1978 a Schweinfurt, ha seguito una formazione classica – ha studiato anche violino – presso il Conservatorio Hermann-Zilcher, prima di divenire un pluripremiato musicista jazz. Da citare sono: Bayerischen Kunstförderpreis (2005),  Choc de l’année (2006),  SWR-Jazzpreis (2008) e ECHO Jazz (2010). Molti di questi riconoscimenti li ha ricevuti insieme al sassofonista Heinz Sauer (85 anni), considerato un’icona nel panorama jazz tedesco, con il quale collabora da tantissimi anni. Anche Michael Wollny come Angelika Niescier si è distinto, per la sua imprevedibilità, la libera improvvisazione, sprigionando una musica energica, ritmica, dinamica e al contempo romantica, che traccia il suo personalissimo cosmo musicale. Sono stati 45 minuti piacevolissimi, trascorsi molto velocemente.

Molto bello è stato anche l’ultimo concerto della serata, quello del trombettista Ambrose Akinmusire, esibitosi a Berlino già nel 2015. Per l’occasione ha realizzato un pezzo, scritto appositamente per il Jazzfest.

La composizione è molto particolare: essa è stata ispirata da quattro canzoni di Mattie Mae Thomas, una donna di cui si sa solo che è stata rinchiusa nella prigione di stato del Mississippi dal 1936 al 1939, dove la maggioranza dei detenuti sono gente di colore. Precisamente nel carcere femminile del cosiddetto territorio di Parchman Farm. Qui Mattie Mae ha scritto quattro canzoni: il suo pezzo “Dangerous Blues” ha risvegliato i ricordi di infanzia di  Ambrose Akinmusire, la cui nonna proveniva proprio dal Mississippi. Il trombettista ha dischiarato:

Dal momento che non mi è stato permesso di condurre interviste con gli attuali detenuti di Parchman Farm, ho chiesto ai miei parenti. Ed ho notato che le condizioni odierne non sono affatto diverse rispetto al passato, almeno non in Mississippi. Dalla fine della segregazione, il tempo si è fermato in alcune parti dello stato. Il razzismo è onnipresente.

Ambrose Akinmusire si è esibito con il suo sestetto, formato da: Dean Bowman (voce), Gerald Clayton (piano), Marvin Sewell (chitarra), Joe Sanders (contrabbasso), Kendrick Scott (batteria). Nato il 1982 a Oakland, città californiana, Akinmusire ha debuttato sin da giovanissimo collaborando con sassofonisti di primo rilievo come Steve Coleman, Joe Henderson e Joshua Redman. Ha frequentato il Thelonious Monk Institute of Jazz, dove è stato allievo di vere e proprie icone del jazz, tra cui Herbie Hancock e Wayne Shorter. Non è dunque un caso se sia considerato uno dei più importanti musicisti jazz del 21simo secolo.

Sabato pomeriggio 4 novembre, presso la Maison de France, ho avuto l’onore di incontrare ed assistere al concerto del pianista francese René Urtreger in occasione dai sessanta anni del film Ascensore per il patibolo e della sua leggendaria colonna sonora composta da Miles Davis e interpretata dal suo quintetto composto da: Barney Wilen (sassofono), Pierre Michelot  (bassista), Kenny Clarke (batteria) e appunto René Urtreger (pianoforte). Il film che in originale si intitola Ascenseur pour l’échafaud ha portato fortuna sia al suo regista Louis Malle  sia ai musicisti. Per un’analisi più approfondita sull’argomento consiglio di leggere la mia intervista a Urtreger, il quale al termine del suo concerto ha raccontato al pubblico di quella sua memorabile esperienza con Miles Davis nella Parigi fine anni cinquanta.

Concerto: Mônica Vasconcelos - Foto: Emilio Esbardo

Concerto Errol Trotman-Harewood & Amiri Baraka - Foto: Emilio Esbardo

Concerto Trio Tyshawn Sorey - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Shakaba and the Ancestors - foto: Emilio Esbardo

Concerto: Tyshawn Sorey come bandleader - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Tyshawn Sorey come bandleader - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Tyshawn Sorey come bandleader - Foto: Emilio Esbardo

Successivamente ho seguito il concerto del Trio di Dr. Lonnie Smith (organo Hammond), composto da Jonathan Kreisberg (chitarra) e Xavier Breaker (batteria). 

Una curiosità: Smith non è dottore bensì “dottore” è il suo nome d’arte affibbiatogli dai suoi musicisti colleghi per le sue capacità virtuosistiche all’organo.

Il direttore artistico Richard Willams ha spiegato così il concerto del trio: “un festival di jazz senza organo Hammond è come una salsiccia senza salsa al curry”.

Dr. Lonnie Smith, il cui segno distintivo sono barba bianca e turbante, fa parte della scena jazz che conta da cinquant’anni e della celeberrima casa discografica Blue Note.

Fedele al suo detto “il Groove è parte della mia vita” il 75cinquenne musicista ha tenuto un concerto che non potrebbe descriversi al meglio come “groove”. Sempre sorridente, con il suo rinomato virtuosismo ha tramutato il suo organo in un’estensione della sua voce, del suo linguaggio: con esso  ha comunicato come se stesse dialogando con il pubblico.

Dr. Lonnie Smith è nato il 1942 a Lackawanna, città dello Stato di New York. Ha iniziato a  suonare giovanissimo prendendo lezioni di tromba.

Domenica 5 novembre ha visto l’esibizione delle sorelle Ingrid & Christine Jensen, che sono state definite nel flyer ufficiale del Jazzfest come “il più recente regalo del Canada al mondo del jazz, seguendo così le orme di Gil Evans, Oscar Peterson, Paul Bley, Maynard Ferguson, Kenny Wheeler e Diana Krall”.

Con il concerto, insieme alla loro band e con il supporto del chitarrista Ben Monder, hanno introdotto il nuovo loro album intitolato Infinitude.

Ingrid Jensen, trombettista, nata a Vancouver nel 1966, ha fatto parte dell’orchestra femminile Diva ed ha collaborato con numerosi musicisti, tra cui Dr. Lonnie Smith prima di unirsi a sua sorella. Dalla rivista Down Beat Magazine è stata nominata tra i “25 più importanti musicisti di improvvisazione del futuro”.

Sua sorella minore Christine, sassofonista, è nata nel 1970. Fino a 12 anni ha studiato pianoforte. Durante i suoi studi universitari ha iniziato anche a comporre. L’album di debutto con sua sorella intitolato Vernal Fields le ha fatto ottenere l’importante premio canadese Juno Award.

Gli altri due componenti della band sono: Fraser Hollin (contrabbasso) e Jon Wikan (batteria).

Per concludere questo articolo, vorrei menzionare, che nello spirito di inclusione del festival, nonostante la Brexit, nel locale A-Trane, si sono organizzate tre serate intitolate Berlin-London Conversations (Conversazioni Berlino Londra), durante le quali “i musicisti delle due città si sono incontrati per dimostrare che gli scambi di idee musicali tra di loro proseguirà”.

La prossima edizione del festival si terrà dal primo al quattro novembre 2018 e per la prima volta sarà diretto da una donna, Nadin Deventer, segno del cambiamento dei nostri tempi.  

NOTE

(1) Agnes Desarthe, Le Roi René, Odile Jacob, Parigi, 2016, pag. 139/140

(2) Articolo di Richard Williams e Thomas Oberender in: Flyer Jazzfest Berlin, Berliner Festspiele, Berlino, 2017, pag. 4 

(3) S. Frederick Starr, RED AND HOT Jazz in Rußland 1917-1990, Robert Azderball Hannibal-Verlag, Wien, 1990, pag. 13

(4) Ibidem, pag. 17

(5) Dall’articolo “Improvising Across Worlds” di Amirtha Kidambi della rivista ufficiale, Berliner Festspiele, Berlino, 2017, pag. 15

(6) Frase dalla homepage di Steve Lehman: http://www.stevelehman.com/projects

(7) Dall’articolo “Tyshawn Sorey: A Portrait” di John Murph della rivista ufficiale, Berliner Festspiele, Berlino, 2017, pag. 5 

(8) Dall’articolo “Die weibliche Stimme im Jazz – zwischen Tradition und Moderne)” di Matthias Kirch della rivista ufficiale, Berliner Festspiele, Berlino, 2017, pag. 17-18 

Tyshawn Sorey - Foto: Emilio Esbardo

Tyshawn Sorey - Foto: Emilio Esbardo

 

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