di Michela Buono
Mi sembra che oggi parlare di “linguaggio” al singolare sia riduttivo, considerando la vasta scelta di modi per comunicare presenti. Navigando su internet troviamo disegnini di ogni genere o anche semplici simboli che permettono di comunicare un concetto oppure degli stati d’animo, senza ricorrere a fiumi di parole.
Anche la nostra fretta fa sì che il linguaggio venga ridotto ulteriormente utilizzando, ad esempio, parole sempre più brevi intervallate da simboli matematici. Non c’è niente di male nell’utilizzare segni e numeri ma trovo che lo scrivere sia molto più “poetico” rispetto all’inviare una figurina.
Guardare poi una persona negli occhi e “leggere” il suo stato d’animo vale più di mille messaggi. Possiamo percepire molto di chi si trova davanti a noi, anche senza il bisogno di parlare, perché il “linguaggio non verbale”, costituito da vari elementi come la postura, l’inclinazione della testa, costituisce, di per sé, un modo per comunicare. In questo trovo che gli animali siano maestri.
Quante volte mi è capitato di osservare un cane o anche un gatto cercare di attrarre l’attenzione del padrone verso qualcosa: la coda oscillante che sembra formi dei segni di interpunzione come punti di domanda o esclamativi, le orecchie dritte verso l’alto oppure spostate di lato, la testa che si strofina ritmicamente contro una gamba.
Anche questi sono dei linguaggi certo non verbali ma se osservati attentamente esprimono, con grande accuratezza, degli stati d’animo. La stessa cosa succede con i bambini che non sanno ancora parlare: gesti, urla, risatine costituiscono una sorta di codice anche se molto semplice.
Rimango sempre stupita dal linguaggio usato da uomini e donne, sembra che addirittura parlino, in certi casi, due lingue diverse. Le volte che mi capita in metropolitana di ascoltare dei discorsi mi accorgo di come parlando dello stesso argomento, non si capiscano.
È come se vi fossero due universi opposti che nonostante utilizzino lo stesso linguaggio, non riescano mai ad arrivare ad un punto di incontro. C’è chi sostiene che la donna capisca “A” e l’uomo “B” è anche vero che la nostra fretta perenne non ci consente di ascoltare l’altro fino in fondo, fermandoci spesso a capire solo una parte di un ipotetico discorso.
C’è poi un altro tipo di “linguaggio” che riguarda ad esempio il mondo dell’arte. La musica utilizza un tipo di scrittura che in fondo è un linguaggio, costituito da note e molto altro che viene poi tradotto in suono. La danza, la pittura, la scultura hanno anche esse un sistema non verbale che consente all’artista di potersi esprimere.
Io li considero dei “linguaggi universali” perché possono essere compresi e apprezzati pur parlando una lingua diversa o professando altre religioni. Non ci sono limiti a questo tipo di linguaggio, forse perché attingono al nostro essere e, semplicemente, portano alla “luce” ciò che abbiamo dentro. Trovo che oltre alle arti esistano dei concetti considerati ”universali”, pace, fratellanza ecc. che, se pur espressi in altre lingue, portano ad una condivisione uguale per tutti. La mia sensazione è che abbiamo dato per scontata l’importanza del “linguaggio”, inteso come mezzo per trasmettere qualcosa, cercando addirittura di sostituirlo con altro.
Non credo che facilitare uno strumento fondamentale come il linguaggio abbia reso più facili i rapporti tra le persone anzi, mi sembra che ciò abbia portato ad una maggiore distanza. Il punto fondamentale credo che consista nella “qualità” della nostra comunicazione, non nella sua brevità. E’ forse uno degli strumenti più importanti che l’uomo ha a disposizione e credo che potrebbe essere un bene riappropriarsi di ciò, utilizzandolo nella sua funzione fondamentale di comunicazione.
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