Il fascino delle foto su lastre al collodio umido - Intervista a Daniel Samanns

Daniel Samanns - foto: Emilio Esbardo

di Emilio Esbardo

Nella tarda mattinata di una tipica grigia giornata invernale ho fatto visita a Daniel Samanns. Nato il 1968 a Düsseldorf, ha lavorato come fotografo pubblicitario, di moda, di natura morta, prima di intraprendere con successo la strada del fotogiornalismo. 


Nel 2011 ha abbandonato il suo lavoro per dedicarsi completamente, da autodidatta, al collodio umido, procedimento fotografico utilizzato in Ambrotipia (immagini su lastre di vetro) e in Ferrotipia (immagini su lastre di ferro, metallo, latta e alluminio).

L’Ambrotipia è stata ideata da Frederick Scott Archer nel 1852 mentre la Ferrotipia è stata inventata da Hamilton Smith nel 1856.

Dopo un ottimo caffè, circondato da numerose antiche macchine fotografiche in legno e da bellissime immagini su lastre di vetro, ho lasciato che  Samanns mi raccontasse qualcosa di sé, di come e perché ha deciso di apprendere l’Ambrosia e la Ferrotipia.

Daniel potresti raccontarci qualcosa della tua vita?

Il mio nome è Daniel Samanns. Da bambino, all’età di quattro – cinque anni, mi hanno regalato una camera, che ha segnato l’inizio del mio percorso fotografico. Naturalmente i primi scatti erano amatoriali e ritraevano immagini della mia famiglia. Da adolescente, per un certo periodo, mi sono appassionato di pittura e di arti visive in generale. Dopo questa breve parentesi, sono ritornato alla fotografia. Non ho frequentato nessuna scuola o corsi di formazione professionale. Ho iniziato lavorando come apprendista per fotografi pubblicitari, di moda e di natura morta. Lentamente sono divenuto secondo assistente, primo assistente fino a mettermi in proprio. Tale fase non è durata a lungo, ho perso velocemente il mio interesse ed ho deciso di optare per il fotogiornalismo. L’opportunità mi si è presentata quando sono stato assunto da una grande agenzia di stampa a Düsseldorf e a Monaco, per la quale ho lavorato come corrispondente. Nel corso degli anni sono stato attivo per grandi nomi come Axel-Springer-Verlag, ddp e Focus, per citare alcuni esempi. Nel 1997 mi sono convertito al digitale. Dopo aver realizzato per un anno un fotoreportage sul sud-est asiatico, mi sono stabilito a Berlino nel 2008.

Daniel Samanns - foto: Emilio Esbardo

 Nel 2011 ho realizzato il mio più grande desiderio di ragazzo, quello di lavorare con camere storiche. Correva l’anno 1985. Ero ospite a casa di un mio senile collega a Montecarlo, che mi disse: “Non sarebbe bello andare in montagna a fotografare il panorama e i villaggi dove sono rimasti solo i vecchi, anch’essi da immortale?”. Mi chiese poi che macchina possedessi e risposi: “Nikon F3”. Il mio collega, scuotendo il capo, affermò: “se tu vuoi partecipare hai bisogno solo di un apparecchio in legno. Le persone che vivono in questi villaggi hanno settanta o ottant’anni e nella loro vita hanno conosciuto solo camere antiche in legno. Non comprenderebbero un progetto realizzato con macchine fotografiche di piccolo formato. Da quel momento è nata la mia passione per la fotografia su lastre al collodio umido, rimasta un sogno fino al 2011, quando mi si è presentata di acquistare un’antica camera in legno.

Daniel Samanns - foto: Emilio Esbardo

Possedevo già le conoscenze del lavoro di laboratorio, perché avevo appreso a sviluppare, da ragazzo, i negativi. La novità stava nel fatto che dovevo riuscire da solo nella creazione di emulsioni fotografiche sensibili alla luce. Ho acquistato e letto numerosi libri in tedesco, francese e inglese. Inoltre ho osservato a lungo le immagini dell’epoca sui volumi di storia della fotografia, per comprendere al meglio quale dovesse essere il risultato finale. Ci sono voluti circa 4 mesi e mezzo prima che riuscissi ad ottenere ciò che sembrasse, almeno lontanamente, ad una foto. Ero estremamente felice. L’immagine, che mostrai ai miei amici ad un ristorante, era piuttosto annebbiata, piena di errori come punti e linee. Si riconoscevano alcuni particolari come gli occhi, il naso, i riccioli o la bocca. I miei compagni, durante la cena, esclamarono: “Daniel, questa è arte!”. Erano entusiasti. Io risposi: “Il vostro giudizio mi lusinga. Ma l’arte nasce dalla conoscenza. Questa potrebbe anche essere un’opera d’arte, ma se io volessi riprodurla, non avrei ancora le conoscenze necessarie”. Dopo quella cena, mi sono adoperato per apprendere ad eliminare gli errori sulla foto. C’è voluto un anno e mezzo prima di riuscire nel mio intento: l’unico problema era che l’immagine era troppo nitida, troppo pulita e perdeva così il fascino dell’epoca, sembrava una tipica foto degli anni ’70 in bianco e nero. Ho capito in seguito che avrei dovuto semplicemente lasciare scorrere le emulsioni sui soggetti della fotografia per ottenere il mio scopo. Dopo tanti sacrifici, impegno e continuità nel mio lavoro sono riuscito ad ottenere immagini simili a quelle del periodo storico a partire dal 1852, utilizzando macchine d’epoca e gli stessi materiali nel processo di sviluppo.

Come giudichi la tua esperienza di fotogiornalista? 

È stata un’esperienza durata 17 anni, durante i quali ho fotografato personaggi famosi come, ad esempio, Sophia Loren, Michael Jackson e Boris Becker; ma anche gente normale per strada, ad esempio un imprenditore in relazione ad una sua determinata storia personale; oppure i barboni che dormono sotto i ponti. Ho documentato la miseria nel mondo che mi ha toccato ed emozionato molto. Durante questi anni da fotoreporter ho constatato che vi sono tipologie differenti di esseri umani e che ognuno di essi vive situazioni esistenziali particolari. Vi è il povero, il ricco, l’ammalato, il felice, il sano, il triste, etc. Le persone sono spesso intrappolate nella quotidianità, tra problemi e difficoltà, che ci appaiono importanti ma che non sono nulla, inseriti in un contesto più grande. Giunti in cima ad una montagna, osservando il panorama, si percepisce immediatamente l’immensità del mondo e di come noi esseri umani siamo incredibilmente piccoli in confronto.

La fotografia può cambiare il mondo?

Sono divenuto fotoreporter, perché credo realmente che si possa cambiare qualcosa. Una certa immagine può influenzare l’opinione pubblica. Anche con la musica e le altre arti è possibile farlo in un certo qual modo.

HOMEPAGE DI DANIEL SAMANNS: www.wetplate-berlin.com

 

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