Sei giorni della migliore musica con più spazio alle donne nel Jazzfest 2016

Le donne sono state protagoniste del Jazzfest 2016 - foto: Emilio Esbardo

di Emilio Esbardo

When the infinite servitude of woman is broken, when she lives for herself and by herself, the man, – hitherto abominable, – having given her her freedom, she too will be a poet! The woman will find some unknown! Will her worlds of ideas be different from ours? – She will find strange, unfathomable, repulsive, delicious things; we shall take them, we shall understand them.
– Rimbaud: letter of the visionary (Charleville, May 15th, 1871)

Just don’t give up trying to do what you really want to do. Where there is love and inspiration, I don’t think you can go wrong
– Ella Fitzgerald

Jazz is not just music, it’s a way of life, it’s a way of being, a way of thinking
– Nina Simone

Come ogni anno il festival di jazz berlinese, uno dei più rinomati a livello internazionale, ha registrato una grande affluenza di pubblico. In sei giorni, dal 1 al 6 novembre 2016, sono stati venduti più di 6000 biglietti, registrando il pieno assoluto.

I concerti si sono tenuti nella sede dei Berliner Festspiele, nel Martin-Gropius-Bau, presso l’Istituto francese, nel club A-Trane e nella chiesa Kaiser-Wilhelm-Gedächtnis, dove si sono esibiti Wadada Leo Smith e Alexander Hawkins.

Il 53simo Jazzfest di Berlino (secondo anno con Richard Williams alla direzione artistica) è stato inaugurato il 3 novembre da Monika Grütters, Ministro tedesco per la Cultura e i Media, presso la sede dei Berliner Festspiele.

Concerto di Charlotte Greve e Aki Takase - foto: Emilio Esbardo

Concerto di Charlotte Greve e Aki Takase - foto: Emilio Esbardo

Concerto di Charlotte Greve e Aki Takase - foto: Emilio Esbardo

Concerto di Charlotte Greve e Aki Takase - foto: Emilio Esbardo

Concerto di Charlotte Greve e Aki Takase - foto: Emilio Esbardo

Concerto di Charlotte Greve e Aki Takase - foto: Emilio Esbardo

L’edizione 2016 è stata progettata in una “versione estesa”, dal primo al sei novembre, con due concerti prefestival: Il primo novembre, Matana Roberts ha presentato la performance “For Pina” nella ricostruzione della famosa sala prove “Lichtburg” all’interno della mostra corrente del “Martin-Gropius-Bau”. Il 2 novembre si è esibito il cantante Michael Schiefel con Wood & Steel Trio, interpretando i “Songs out of Exile” di Hanns Eisler.

Coerente con l’edizione precedente, al centro del Festival 2016 vi sono stati stili, culture ed espressioni totalmente differenti, uniti tra loro dal caratteristico suono del jazz: un suono che si basa sull’improvvisazione, sull’imprevedibilità, che sorprende costantemente l’ascoltatore; un suono con un proprio singolare linguaggio, in costante mutazione e sviluppo, come risulta dalla descrizione ufficiale del programma.

Per la prima volta sin dalla sua creazione, al centro del festival vi è stata la figura della donna musicista, discriminata in ambito jazz ma non solo. Il tema dell’emarginazione delle donne è stato dibattuto, accuratamente, durante la conferenza stampa del 19 ottobre con Fransziska Buhre, Wolfram Knauer, Nikolaus Neuser e Lucia Cadotsch.

Conferenza con Lucia Cadotsch - foto: Emilio Esbardo

Conferenza con Lucia Cadotsch - foto: Emilio Esbardo

Concerto Lucia Cadotsch Trio - foto: Emilio Esbardo

Concerto Lucia Cadotsch Trio - foto: Emilio Esbardo

Knauer ha dichiarato: “Io credo che l’introduzione di una quota obbligatoria di presenza rosa in un programma concertistico possa essere problematica, ma necessaria, per garantire una maggiore partecipazione di musiciste e far sì che la direzione di molti più club, festival e istituti di jazz vengano assegnate a donne. E che le giurie – dannazione! – siano finalmente composte in modo paritario. Giunti oramai al 2016, non c’è altra soluzione”.

La rivista ufficiale del festival, nell’articolo “Blow your horn, man!” di Wolfram Knauer, ha delineato in modo accurato la situazione attuale delle donne nel mondo del jazz e durante le varie tappe storiche.

Knauer, nel suo pezzo, smonta l’idea radicata che il jazz sia esclusivamente una questione di uomini. È vero che essi hanno dominato tale panorama musicale sin dagli inizi, ma continuare ad affermare che esso sia una musica alla portata esclusiva del genere maschile è una falsità: sono state le convenzioni sociali ad imporre tale concetto.

Concerto Yazz Ahmed's Family Hafla - foto: Emilio Esbardo

Concerto Yazz Ahmed's Family Hafla - foto: Emilio Esbardo

Concerto Yazz Ahmed's Family Hafla - foto: Emilio Esbardo

Concerto Yazz Ahmed's Family Hafla - foto: Emilio Esbardo

Concerto Yazz Ahmed's Family Hafla - foto: Emilio Esbardo

Concerto Yazz Ahmed's Family Hafla - foto: Emilio Esbardo

Se si spulcia bene nella storia del jazz, si scopre che vi sono state anche molte donne che hanno contribuito allo sviluppo di questa corrente musicale, come ad esempio: Ella Fitzgerald, Jutta Hipp, Mary Lou Williams, Maria Schneider, Barbara Thompson, Carla Bley:

L’etnomusicologa americana Sherrie Tucker ha dato alle stampe una pubblicazione sulla percentuale delle musiciste nella New Orleans dei primi anni venti, confermando il pregiudizio, che sin dal principio il jazz sia stato un genere musicale maschile. Da altre fonti veniamo a conoscenza – probabilmente una sorpresa per i più – che agli inizi del 20simo secolo vi fossero più formazioni femminili che maschili in Europa, o che anche in Germania in alcuni luoghi le prime band jazz ad esibirsi fossero orchestre di donne negli anni venti.
– Estratto dall’articolo Blow your horn, man! di Wolfram Knauer nella rivista ufficiale dei Berliner Festspiele, pag. 8

Wolfram Knauer cita tre cause principali che hanno creato il cliché del jazz come musica per uomini.

La prima causa starebbe nel fatto che i critici, agli albori del jazz, erano tutti uomini e, al contempo, non erano dei veri e propri esperti dell’argomento, piuttosto erano dei fan. I loro articoli s’inserivano in società che allora erano estremamente maschiliste e discriminatorie nei confronti delle donne.

La seconda causa si potrebbe rilevare nel pubblico, il quale facente parte di società maschiliste, ha marginalizzato, anch’esso come la stampa, il ruolo delle donne. Secondo la morale dell’epoca il cosiddetto gentil sesso aveva la funzione di angelo del focolare. Doveva dedicare tutte le sue attenzioni alla famiglia. La musica l’avrebbe distratta troppo dai suoi compiti domestici.

Concerto di Mette Henriette - foto: Emilio Esbardo

Concerto di Mette Henriette - foto: Emilio Esbardo

Concerto di Mette Henriette - foto: Emilio Esbardo

Concerto di Mette Henriette - foto: Emilio Esbardo

Concerto di Mette Henriette - foto: Emilio Esbardo

Concerto di Mette Henriette - foto: Emilio Esbardo

La terza causa sarebbero i musicisti stessi, che si esibivano in ambienti frequentati da uomini. Le musiciste venivano accettate alla stregua di oggetti sessuali. Solo le cantanti hanno ricevuto una considerazione più “nobile” ed hanno raggiunto la fama come, ad esempio, Ella Fitzgerald. Attualmente, dopo tantissimi anni e con le evoluzioni delle società, soprattutto occidentali,  nonostante, in ambito jazzistico, la presenza delle donne risulti essere maggiore rispetto ai loro colleghi maschi, le posizioni più importanti sono ancora ad appannaggio degli uomini, esattamente come scrive Knauer:

Il periodo della dominazione maschile nel jazz non è ancora terminato. Il mondo sta cambiando e con esso sta mutando la percezione sui ruoli di genere in campo artistico (…) È importante parlarne dal punto di vista femminile (…) discutere sul tema “Donne nel jazz”, significa introdurre diversità e pluralismo nel jazz.
– Estratto dall’articolo Blow your horn, man! di Wolfram Knauer nella rivista dei Berliner Festspiele, pag. 10

Per rendere omaggio alle musiciste, nel programma 2016 sono state inserite 12 formazioni jazz guidate da donne sulle 22 complessive. Di seguito una breve descrizione delle partecipanti e dei loro concerti:

Concerto Myra Melford' Snowy Egret - foto: Emilio Esbardo

Giovedì 3 novembre

Il quartetto di Julia Hülsmann (piano), composto da Tom Arthurs (tromba; flicorno soprano), Marc Muellbauer (contrabbasso), Heinrich Köbberling (batteria) e con la partecipazione straordinaria di Anna-Lena Schnabel (sassofono contralto), appartenente alla BuJazzO, l’orchestra tedesca per giovani, che ha tra le sue fila i più promettenti e qualificati jazzisti della Germania (l’orchestra si era esibita al Jazzfest 2011, ultimo diretto da Nils Landgren). Julia Hülsmann, nata il 1968 a Bonn, è cresciuta jazzisticamente a Berlino, dove nel 1991 ha iniziato a studiare pianoforte presso l’Università delle Belle Arti. Tra le sue insegnanti vi era Aki Takase, anche lei tra le partecipanti al Jazzfest 2016. Hülsmann ha intrapreso la collaborazione con Anna-Lena Schnabel proprio su suggerimento del direttore del festival Richard Williams, che l’ha scoperta durante l’evento “jazzahead! 2015” a Brema. Le due artiste hanno offerto un ottimo concerto, confermando l’intuizione di Williams.

La sassofonista norvegese Mette Henriette, il cui disco di debutto “Solo albums”, pubblicato il 30 ottobre 2015, ha avuto successo di critica e di pubblico. Al Festival, ha dato prova della sua bravura nel filone musicale del free jazz, arricchendolo di spunti personali molto interessanti. Al termine del concerto è stata salutata con lunghi applausi. Ha partecipato con la sua band composta da: Henrik Nørstebø (trombone), Lavik Larsen (tromba), Johan Lindvall (piano), Andreas Rokseth (bandoneón), Odd Hannisdal (violino), Karin Hellqvist (violino), Bendik Foss (viola), Gregor Riddell (violoncello), Per Zanussi (contrabbasso, sega musicale), Dag Erik Knedal Andersen (batteria).

Mary Halvorson (chitarra) e Ingrid Laubrock (soprano, sassofono tenore), inserite nella sezione “dialoghi Brooklyn-Berlino” si sono esibite presso il club A-Trane.  Halvorson, nata il 1980 a Brooklyn, chitarrista di jazz d’avanguardia, ha all’attivo molti album ed è apprezzata per il suo suono singolare mentre improvvisa. Ingrid Laubrock, tedesca, classe 1970, ha anche lei all’attivo molte incisioni. Ha accumulato molte esperienze all’estero, vivendo 19 anni a Londra e successivamente a Brooklyn. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il “BBC Jazz Award for Innovation” e il “SWR-Jazzpreis”.

Concerto Wadada Leo Smith's Great Lakes Quartet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith's Great Lakes Quartet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith's Great Lakes Quartet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith's Great Lakes Quartet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith's Great Lakes Quartet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith's Great Lakes Quartet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith's Great Lakes Quartet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith's Great Lakes Quartet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith & Alexander Hawkins - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith & Alexander Hawkins - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith & Alexander Hawkins - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith & Alexander Hawkins - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith & Alexander Hawkins - foto: Emilio Esbardo

Concerto Wadada Leo Smith & Alexander Hawkins - foto: Emilio Esbardo

Spartito di Wadada Leo Smith. Si notano delle correzioni, che Wadada ha fatto con il dentifricio mentre si lavava i denti- foto: Emilio Esbardo

Wadada Leo Smith - foto: Emilio Esbardo

Venerdì 4. novembre

Myra Melford con il quintetto Snowy Egret e l’artista di opere video David Szlasa, ha presentato l’articolato progetto “Languages of Dreams”, composto da musica, danza, recitazione e immagini.  “Languages of Dreams” si rifà alla trilogia dello scrittore Eduardo Galeano “Memoria del fuoco”, che racconta la storia dell’America dal 1492 fino alla contemporaneità e che fonde lo stile libero e poetico dello scrittore con il rigore saggistico degli storici. Il quintetto, oltre ai già citati Myra Melford e David Szlasa, è costituito da: Ron Miles (cornetta), Liberty Ellman (chitarra), Stomu Takeishi (basso acustico), Tyshawn Sorey (batteria).  Myra Melford, nata il 1957 a Evanston (Illinois), ha iniziato a suonare pianoforte da sola, improvvisamente, a tre anni. I genitori le hanno fatto impartire immediatamente lezioni. L’artista, da adulta, ha deciso di specializzarsi nel jazz d’avanguardia. Ha pubblicato molti libri ed ha ricevuto numerosi premi.

Yazz Ahmed (tromba, flicorno soprano) con il suo gruppo the Ahmed Family Hafla Band, composto da George Crowley (clarinetto basso), Naadia Sheriff (pianoforte elettrico), Ralph Wyld (vibrafono), Martin France (batteria), Dudley Phillips (basso elettrico), Corrina Silvester (strumento a percussione). Ahed è una giovane ma già affermata compositrice e musicista jazz, che durante il suo concerto nella “Seitenbühne” dei Berliner Festspiele ha interpretato opere proprie, che mescolavano il jazz con musiche etniche arabe, dando vita a suoni che ricreavano atmosfere avvolgenti e accattivanti. Ahmed è nata a Londra, la sua famiglia però proviene dal Regno del Bahrein, situato nel Golfo Persico.

Concerto Globe Unity Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Globe Unity Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Globe Unity Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Globe Unity Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Globe Unity Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Globe Unity Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Globe Unity Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Globe Unity Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Globe Unity Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Globe Unity Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Sabato 5 novembre

Angelika Niescier (compositrice, sassofono contralto) si è esibita insieme a Florian Weber Quintet, composto da Ralph Alessi (tromba), Florian Weber (piano), Gerald Cleaver (batteria), Eric Revis (contrabasso). Niescier, nata il 1970 a Stettino, in Polonia, si è trasferita in Germania nel 1981. Nel 2000 ha fondato il suo primo gruppo (quartetto) denominato “Angelika Niescier-sublim”. Ha suonato insieme a musicisti di rilievo come Joachim Kühn, uno dei più importanti pianisti jazz tedeschi.  È fondatrice della “German Women Jazz Orchestra” (Orchestra di donne tedesche del jazz); collabora volentieri con scrittori e artisti visuali. Ha ricevuto numerosi premi. Il suo concerto mi è piaciuto tantissimo, Angelika Niescier suona il sassofono contralto con molta energia e passione. I suoi brani sono melodiosi.

Aki Takase (piano) e Charlotte Greve (sassofono contralto), inserite nella sezione “dialoghi Brooklyn-Berlino”, si sono esibite presso il club A-Trane. Aki Takase, che io avevo già seguito all’edizione 2014, deve la sua popolarità internazionale proprio alla sua adesione al Jazzfest Berlin nel 1981. Nata il 1948 in Giappone, ha viaggiato regolarmente in concerto negli Stati Uniti prima di stabilirsi definitivamente a Berlino nel 1987, dove ha inciso numerosi dischi e ricevuto diversi premi. Charlotte Greve, nata il 1988 a Berlino, si è trasferita il 2012 a Brooklyn. Nel 2010 ha ricevuto il JazzBaltica newcomer award. Nella capitale tedesca si reca spesso e volentieri per suonare insieme alla sua band “Lisbeth Quartett”. Charlotte Greve ha eseguito composizioni proprie, che io ho percepito come delle leggere e piacevoli carezze di una donna in un pomeriggio piovoso in un appartamento di fronte al mare. Nella sua musica traspare il tocco delicato, caldo, elegante ed avvolgente tipicamente femminile.

Lucia Cadotsch si è esibita con il suo trio, composto da Otis Sandsjö (sassofono tenore) e Petter Eldh (contrabbasso), nella “Seitenbühne” dei Berliner Festspiele, reinterpretando, con la sua voce calda e profonda, testi come “Moon River”, “Don’t Explain” e “Speak Low”.

Introduzione al concerto Julia Holter & Strings - foto: Emilio Esbardo

Concerto Julia Holter & Strings - foto: Emilio Esbardo

Concerto Julia Holter & Strings - foto: Emilio Esbardo

Concerto Julia Holter & Strings - foto: Emilio Esbardo

Domenica 6 novembre

Da sei anni, da quando seguo il festival, è successo solo in due concerti che il pubblico fischiasse gli artisti.  Julia Holter (voce, tastiera elettronica) con la sua band gli Strings sono stati contestati perché accusati di non suonare musica jazz. Protesta un po’ imbarazzante per gli organizzatori, perché quella di Holter è stata una delle esibizioni trasmesse dal vivo dalla radio RBB.

Eve Risser (piano) con la sua “White Desert Orchestra”, composta da Sylvaine Hélary (flauto), Antonin Tri-Hoang (sassofono, clarinetto basso), Benjamin Dousteyssier (clarinetto basso, sassofono tenore), Sara Schoenbeck (fagotto), Eivind Lønning (tromba), Fidel Fourneyron (trombone), Julien Desprez (chitarra elettroacustica), Fanny Lasfargues (basso elettroacustico), Sylvain Darrifourcq (batteria). Il concerto di Eve Risser è stato molto bello e spassoso. Il pubblico ha applaudito a lungo e si è divertito molto quando l’artista interpolava i suoi brani con lunghi discorsi d’introduzione in tedesco con un fortissimo accento francese. Risser, nata il 1982 nella cittadina di Colmar, è stata membro della “Orchestre national de jazz”.

Il Festival 2016 ha trattato anche tanti altri temi. Interessante è stata la sezione intitolata “Dialogo Brooklyn – Berlino”, creata con l’intento di portare sul palco e di far dialogare musicalmente artisti berlinesi e newyorkesi. Le due metropoli hanno molto in comune, non solo in ambito jazzistico. In entrambe si sono registrati cambiamenti sociali e culturali molto simili.

Concerto Eve Risser's White Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Eve Risser's White Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Eve Risser's White Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Eve Risser's White Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Eve Risser's White Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Eve Risser's White Orchestra - foto: Emilio Esbardo

Concerto Eve Risser's White Orchestra - foto: Emilio Esbardo

L’imborghesimento dei quartieri di Manhattan a New York e di Mitte a Berlino ha provocato l’aumento spropositato dei prezzi degli affitti e il trasloco forzato degli artisti. I jazzisti newyorkesi si sono trasferiti a Brooklyn mentre i berlinesi a Neukölln, creando nuove zone di vivacità culturale.

A Brooklyn il locale di riferimento attuale dei jazzisti è il Roulette. In passato, prima della gentrificazione, lo era stato l’edificio in disuso e cadente nella 821 Sixth Avenue nel distretto floreale di Manhattan. Qui si sono incontrati ed hanno suonato insieme sia musicisti sconosciuti sia leggende del jazz, tra cui Chick Corea, Charles Mingus e Thelonious Monk.

A tal proposito, durante il festival è stata proiettata la pellicola “The Jazz Loft According to W. Eugene Smith” 

W. Eugene Smith è stato un famosissimo fotografo, che tra il 1957 e il 1965, ha documentato, con all’incirca 40000 immagini in bianco e nero (1477 rullini), ciò che avveniva in questo edificio. Inoltre ha registrato 4000 ore di musica. La sua opera è un cult nel mondo dell’arte, della fotografia e della musica.

A Berlino, anche se la scena più interessante e fervente si svolge a Neukölln, il jazz è seguito in ogni quartiere e nei luoghi più disparati come in chiese, bar, sale da concerto, gallerie d’arte, teatri, vecchi edifici industriali o durante i brunch domenicali. Addirittura, nella capitale tedesca, si tengono 5 festival. L’unica pecca: i grandi musicisti americani non si esibiscono in locali berlinesi, in quanto in questa città notoriamente povera, i compensi sono molto bassi rispetto altri centri come Amburgo o Monaco.

Richard Williams - foto: Emilio Esbardo

Concerto Joshua Redman & Brad Mehldau - foto: Emilio Esbardo

Concerto Joshua Redman & Brad Mehldau - foto: Emilio Esbardo

Concerto Joshua Redman & Brad Mehldau - foto: Emilio Esbardo

Concerto Joshua Redman & Brad Mehldau - foto: Emilio Esbardo

Naturalmente durante il festival vi sono stati dei concerti singoli molto belli, non appartenenti a tematiche ben precise, di musicisti che hanno fatto la storia del jazz:

Il 1966 è stato l’anno di “Pet Sounds”, di “Revolver” e del grido inquietante di “Freak Out!”. Niente era più come prima. Le chitarre venivano suonate al contrario o venivano sostituite con strani strumenti, le canzoni parlavano di solitudine o persino che Dio era scomparso dalla vita delle persone (…) I Beatles si preparavano a diventare più importanti di Gesù (…) anche la rivista Time Magazine era della stessa opinione: in aprile apparve il nuovo numero con un titolo fino ad allora inimmaginabile: “Dio è morto?” (…) Il 1966 è anche l’anno in cui venne inciso “Globe Unity” (…) E’ stata la prima registrazione del band leader e l’inizio di una storia e di una filosofia, che dura fino ad oggi.
– Estratto dall’articolo Globe Unity @ 50 di Brian Morton nella rivista dei Berliner Festspiele, pag. 20

Così inizia l’articolo d’introduzione ad uno degli spettacoli che mi sono piaciuti di più: quello della Globe Unity Orchestra, che si era esibita per la prima volta al Jazzfest esattamente 50 anni fa, quando il festival si chiamava “Berliner Jazztage” ed era soltanto alla sua terza edizione. L’allora giovane pianista Alexander von Schlippenbach era salito sul palcoscenico con il suo numerosissimo gruppo, suscitando clamore ed indignazione, suonando Free Jazz, che nella scena europea era una novità.

Per comprendere quanto la Global Unity Orchestra fosse singolare e rivoluzionaria in Germania e in Europa, dove persisteva ancora la mentalità paternalistica e tradizionale del dopo guerra, ci viene ancora incontro l’articolo di Morton:

Si doveva soltanto ascoltare, con estrema attenzione, ciò che Schlippenbach realizzava con le prime partiture, che spesso venivano presentate graficamente e verbalmente anziché in forma scritta, per affermare che già ai loro inizi per i componenti della band era fondamentale fare ordine nel caos (…) Se mai ci fosse stato un modello di riferimento a questo loro tipo di progetto, allora era “Free Jazz” di Ornette Coleman o “Ascension” di John Coltrane (…)
– Estratto dall’articolo Globe Unity @ 50 di Brian Morton nella rivista dei Berliner Festspiele, pag. 21

Concerto Angelika Niescier & Florian Weber - foto: Emilio Esbardo

Concerto Angelika Niescier & Florian Weber - foto: Emilio Esbardo

Concerto Angelika Niescier & Florian Weber - foto: Emilio Esbardo

Venerdì 4 novembre 2016, i “vecchietti” della Globe Unity Orchestra si sono riuniti e molti del pubblico, oggi come allora, 50 anni fa, sono andati via scandalizzati, incapaci di sopportare il caos generato da una musica che ha il retrogusto dei migliori vini, che con il passare delle ore porta ordine e pace al tuo corpo e ai tuoi sensi… Al termine del concerto, pervaso da una forte sensazione di gioia interiore, mi sono incamminato verso casa lungo il vialone del Ku’damm.

Tra i musicisti vi erano alcuni che io avevo già incontrato ed apprezzato nelle edizioni precedenti: ad esempio Tomasz Stańko, Alexander von Schlippenbach e Ernst-Ludwig Petrowsky.

Termino la mia relazione su questa edizione del Jazzfest, parlando brevemente di altri tre interessanti concerti.

I primi due riguardano Wadada Leo Smith (tromba), che si è esibito giovedì 3 novembre con il suo quartetto Great Lakes, e domenica 6 novembre nella chiesa Kaiser-Wilhelm-Gedächtnis-Kirche insieme a Alexander Hawkins (organo). Il terzo riguarda quello di Jack DeJohnette. Wadada Leo Smith è stato tra i tre finalisti del Premio Pulitzer per la musica nel 2013 grazie alla pubblicazione della sua opera (un box set di 4 dischi; 2012) intitolata “Ten Freedom Summers”, attraverso la quale racconta la storia dei diritti civili negli Stati Uniti. “Ten Freedom Summers” è un lavoro durato 34 anni. Il suono della tromba di Leo Smith è influenzato da Miles Davis, al quale Wadada ha dedicato un tributo nel 1998 con l’incisione di “Yo, Miles!” in collaborazione con il chitarrista Henry Kaiser.

Il concerto del trio Matthew Garrison, Ravi Coltrane, Jack DeJohnette, è iniziato addirittura con un assolo al pianoforte di DeJohnette, che nella scena jazz è conosciuto come gigante della batteria. È stata un’esibizione piuttosto intimistica, intervallata da violenti sporadici suoni polifonici, composti dal basso elettrico di Garrison, dal sopranino e dal sassofono tenore di Coltrane e guidati dall’inventività e dalle geniali improvvisazioni della batteria di DeJohnette. Jack, nato il 1942 a Chicago, dopo aver sperimentato correnti musicali differenti, è cresciuto jazzisticamente negli anni sessanta, suonando assieme a John Coltrane, Charles Lloyd e Miles Davis.

La prossima edizione del Jazzfest si terrà dal 2 al 5 novembre 2017.

Concerto Julia Hülsmann Quartet & Anna-Lena Schnabel - foto: Emilio Esbardo

Concerto Julia Hülsmann Quartet & Anna-Lena Schnabel - foto: Emilio Esbardo

Concerto Julia Hülsmann Quartet & Anna-Lena Schnabel - foto: Emilio Esbardo

Concerto Julia Hülsmann Quartet & Anna-Lena Schnabel - foto: Emilio Esbardo

Concerto Julia Hülsmann Quartet & Anna-Lena Schnabel - foto: Emilio Esbardo

Concerto Ingrid Laubrock & Mary Halvorson - foto: Emilio Esbardo

Concerto Ingrid Laubrock & Mary Halvorson - foto: Emilio Esbardo

Concerto Ingrid Laubrock & Mary Halvorson - foto: Emilio Esbardo

Concerto Ingrid Laubrock & Mary Halvorson - foto: Emilio Esbardo

Concerto Steve Lehman Octet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Steve Lehman Octet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Steve Lehman Octet - foto: Emilio Esbardo

Concerto Steve Lehman Octet - foto: Emilio Esbardo

JAZZFEST 2016 - FOTO: EMILIO ESBARDO

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