di Silvio Mengotto
Dal calendario dell’Avvento Sara prese il biglietto del giorno con questo suggerimento: “Non dimenticarti di fare il presepe”. Con il biglietto un gustoso cioccolatino che Sara liquefò golosa nel palato. Come suggerito Sara chiese al nonno un aiuto per costruire il presepe nella sua cameretta. L’idea piacque moltissimo al nonno e, insieme, andarono nella cantina per prendere le statuine e la mitica capanna.
«E’ importante – disse il nonno – costruirlo insieme, abbiamo la possibilità di avere Betlemme in un angolo della casa e battezzarlo come l’angolo della memoria»
«E’ vero – disse Sara – che il presepe è stato inventato da San Francesco?»
«Diciamo – rispose il nonno – che San Francesco ha dato una buona idea. In realtà aveva in mente ben altro»
«Cosa?» disse Sara incuriosita.
Pronta la risposta. «San Francesco voleva fare memoria della nascita di Gesù. Una memoria che, anche sulla propria pelle, riuscisse a far capire, provare, le condizioni in cui era nato Gesù»
«E sarebbero?» rispose Sara sgranando due occhi da gitana.
«Con il permesso del papa Onorio III – rispose il nonno – San Francesco portò nella piccola e fredda chiesa di Greccio, da lui ricostruita con i suoi fratelli, un asino, una mucca e una mangiatoia nella quale, avvolto in fasce, adagiò un bambino di pochi giorni»
«Chissà – disse Sara – quanto freddo, buio e paura hanno patito Maria, Giuseppe e il bambino Gesù. Quando siamo scesi in cantina, anche noi abbiamo trovato buio, freddo e una sensazione strana di timore, per fortuna eravamo insieme»
«Lo sai – rispose il nonno – che sei sulla strada giusta. Mentre camminavamo nella cantina semibuia abbiamo provato alcuni dei sentieri del presepe che la tradizione ha dimenticato ma, come ha fatto San Francesco, bisogna farne memoria. La tradizione senza memoria dimentica i sentieri del presepe che non è né antico, ne moderno, ma eterno»
«Sono stra curiosa di sapere i nomi di questi sentieri dimenticati» disse Sara guardando il volto sorridente del nonno.
«Sono la solidarietà, il silenzio, il sogno, l’essenzialità e la ricerca. Sono sentieri universali che costruiscono ponti di relazione con tutti non muri di indifferenza e di pregiudizi»
Gli occhi gitani di Sara si fermarono affascinati dalle parole del nonno. Si sedette per terra e mentre da una vecchia valigia prendeva gli addobbi e le statuine del presepe, ascoltò il nonno.
«Quando lavoravo – continuò il nonno – ogni mattina aprivo una cassettiera della scrivania dove, in una piccola mangiatoia, c’era la statuetta di Gesù avvolto in fasce. Pochi secondi di silenzio per ricordarmi, giorno dopo giorno, che dal presepe si sprigiona un messaggio per tutta l’umanità incominciando dagli ultimi, dai poveri, dagli emarginati. Lui ricco si è fatto povero diventando pane di solidarietà che si spezza per il prossimo, incominciando da quello più in difficoltà, come lo erano i pastori della Palestina che, causa del loro lavoro, erano considerati impuri ed esclusi. Più che difendere il presepio bisogna promuoverlo giorno dopo giorno, non solo a Natale. A Betlemme, che significa casa del pane, Gesù nasce in una mangiatoia e si fa pane per l’umanità, pane di solidarietà, suggerisce di non fare regali inutili, ma di trasformarci in “pane”per gli altri, iniziando dagli ultimi, dai più sfortunati, emarginati quali erano i pastori della Palestina. Solidarietà non come optional, ma come mentalità e stile di vita feriale personale e civile. Oggi c’è troppo individualismo e indifferenza nel mondo, non solo nel nostro Paese»
«Adesso capisco perché quando lavoravi ogni giorno guardavi in silenzio il tuo piccolo presepe nella scrivania» rispose Sara.
«Come faceva lo scrittore Luigi Santucci – riprese il nonno – il presepe non si dovrebbe mai smontare ma guardarlo, ritoccarlo, ogni giorno della nostra vita per riscoprire, fare memoria, dei sentieri dimenticati che Dio suggerisce nella quotidianità.
Anche Adriana Zarri, una contadina teologa dimenticata, durante l’Avvento costruiva due presepi. Uno nella casa per il solo periodo natalizio e l’altro, esposto tutto l’anno, nella stalla»
«Quando costruisco il presepe sento di sognare. Che ne dici nonno?» disse Sara.
«Il presepe – rispose il nonno – è un sogno ad occhi aperti»
«Cosa vuoi dire nonno?»
«Voglio dire che il presepe sblocca e libera la creatività. Il presepe, anno dopo anno, è immaginazione in movimento con le sue statuine, i paesaggi variabili o immaginabili. Non è romanticismo. L’uomo moderno ha perso la capacità di meravigliarsi e stupirsi perché tutto scontato e calcolato. Sognare non per rimanere tra le nuvole, ma come capacità di pensare in grande, di volare alto come aquile. Diventare poeta della concretezza nell’accogliere i profughi che scappano dalla fame e dalla guerra, i clochard, gli emarginati, gli sfortunati, incontrare i carcerati e parlare con i rom»
«Spiegami bene – domandò Sara – questi cammini della solidarietà, del silenzio, dell’essenzialità e della sobrietà perché non mi sono ancora chiari»
«Papa Francesco – rispose il nonno – ha detto che “tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il “sì” di una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un grande impero. Il Salvatore è nato in un presepe, tra gli animali, come accadeva per i figli dei più poveri; è stato presentato al Tempio con due piccioni, l’offerta di coloro che non potevano permettersi di pagare un agnello” (Evangelii Gaudium, n. 197). Già dalla nascita Gesù incomincia a sentire «l’odore delle sue pecore». Penso che il messaggio del Natale coinvolga più in profondità la nostra vita e lì saper stare, come ha fatto Gesù, in mezzo alla storia, alla gente. Soprattutto a chi è più povero. Ecco l’essenza. Il silenzio è l’elemento naturale per la discesa di Gesù sulla terra. Noi abbiamo rotto quel silenzio che impacciava parecchio con gli scoppi assordanti di milioni di tappi di champagne e cascate allucinanti di chiacchiere anche sul Natale. Sara ricordatelo, solo nel silenzio, non nel rumore, nascono i pensieri e le decisioni importanti, le intuizioni inaspettate, le scelte non banali»
«E i magi che c’entrano in tutta questa storia?» disse Sara.
«I magi entrano in campo all’Epifania – rispose il nonno – che ricorda la loro visita particolare a Gesù. I magi, o maghi, erano persone che, attraverso le stelle e i segni zodiacali scrutavano il futuro. Fu proprio il segno della stella cometa che li condusse a Betlemme. Questi maghi astronomi erano considerati alla stregua di miscredenti perché adoratori di Zoroastro. I magi sono simbolo di chi cerca, chi si mette in viaggio nella vita, si mette in discussione e non si accontenta di rimanere in superficie per andare in profondità, scruta l’orizzonte come sentinella nella notte del dubbio, chi vuole diventare esploratore di silenzi. Dio si svela a chi lo cerca! La cattura, l’imposizione, la seduzione virtuale o televisiva non sono strumenti di Dio, non è per la superficialità ma per l’interiorità»
«Scusa nonno, mi pare di capire che troppi regali non si conciliano con la sobrietà?»
«Sì di regali ne riceviamo troppi – rispose il nonno – , ma il vero problema è che abbiamo smarrito il senso del regalo e del dono. Proprio nella grotta fredda di Betlemme si respira l’aria della sobrietà, dell’essenzialità. Gesù non è soffocato dai pacchi dono, strenne natalizie e leccornie culinarie. Una volta nato viene semplicemente avvolto in un panno e deposto in una mangiatoia (presepeum) e allattato al seno di Maria. Nella tradizione popolare anche i doni che Gesù bambino riceve sono essenziali non superflui: pane, latte, formaggio. Ha ragione lo scrittore Erri De Luca quando dice «il Natale è la notizia che rallegra i modesti e angoscia i re».
25 dicembre 2015
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