JazzFest Berlin 2013: il nostro resoconto

Concerto Christian Scott - Foto: Emilio Esbardo

testo e foto: Emilio Esbardo

Come ogni anno il festival di jazz berlinese, uno dei più rinomati a livello internazionale, ha registrato una grande affluenza di pubblico. In quattro giorni, dal 31 ottobre al 3 novembre, sono stati venduti più di 6300 biglietti.

I concerti si sono tenuti nella sede dei Berliner Festspiele, nell’Accademia delle Belle Arti, nel club A-Trane e nel leggendario locale Quasimodo, reso famoso dall’italiano Giorgio Carioti.

Questa è stata la seconda edizione da direttore artistico di Bert Noglik.

Al centro del Festival vi è stata la musica africana, ma non solo. Noglik ha voluto creare una manifestazione che rappresentasse stili, culture ed espressioni totalmente differenti, uniti tra loro dal caratteristico suono del jazz: un suono che si basa sull’improvvisazione, sull’imprevedibilità, che sorprende costantemente l’ascoltatore; un suono con un proprio singolare linguaggio.

Concerto: Joachim Kühn Africa Connection Feat. Pharoah Sanders - Foto: Emilio Esbardo

“Ma se il jazz parla di amore o di teologia”, ha scritto Hans-Jürgen Schaal nel libro d’introduzione al festival, “Il jazz stesso in sé è già una grande parte del suo contenuto: essere spontanei, esprimersi liberamente, godersi la vita, essere un forte team, gioire dei punti in comune e delle diversità, fare sempre qualcosa di nuovo, rischiare, abbandonarsi alle emozioni, causare sorpresa, non accettare leggi eterne, promuovere la pluralità e i cambiamenti, rendere l’intelligenza produttiva, guardare oltre le apparenze, riprogrammare costantemente”. (1)

Concerto: Joachim Kühn Africa Connection Feat. Pharoah Sanders - Foto: Emilio Esbardo

Il jazz racconta storie, esterna la quotidianità dei musicisti, le loro emozioni, il loro ambiente circostante, le loro reazioni ad una esperienza positiva o negativa che sia.

“Nei loro assoli i jazzisti non suonano seguendo gli spartiti, bensì raccontano di se stessi in modo spontaneo, narrano una storia personale, gesticolando con la testa e con il corpo”, scrive sempre Hans-Jürgen Schaal nel suo articolo, “Essi utilizzano una grammatica fatta di sequenze di suoni, di un lessico e di una strategia narrativa con un inizio ed una fine. Noi reagiamo ai momenti salienti dei loro racconti, gridiamo e applaudiamo e vogliamo rispondere ai solisti. Molti pensano che il compianto Lester Young abbia narrato le sue esperienze negative in campo militare”. (2)

Tutto ciò è stato confermato da Christian Scott, che nel suo concerto di apertura del festival, ha rivelato di aver scritto un brano come reazione ad una cattiva esperienza con un poliziotto, il quale dopo averlo fermato ingiustificatamente, voleva costringerlo a scendere dalla macchina e a spogliarsi.

Concerto Christian Scott - Foto: Emilio Esbardo

“Per reagire di fronte all’accaduto”, ha dichiarato Scott al pubblico, “non mi è rimasto altro che incanalare tutta la mia rabbia e frustrazione in un nuovo pezzo musicale che ho intitolato Ku Klux Police Department”.

Christian Scott, nato a New Orleans, ha iniziato precocemente a suonare la tromba, che sua madre e sua nonna gli avevano regalato al dodicesimo compleanno. Ad indirizzarlo al jazz è stato suo zio Donald Harrison, famoso sassofonista. Dopo aver frequentato le prestigiose scuole “New Orleans Center for the Creative Arts” e “Berklee School of Music”, ha inciso il suo primo singolo nel 2006.

Al divertente e bel concerto – Christian Scott è una persona molto allegra e spensierata – hanno partecipato anche sua moglie Isadora Mendez e l’ospite d’onore Richard Howell.

Con il concerto dal titolo “Africa Connection”, Joachim Kühn, uno dei più importanti pianisti jazz tedeschi, ha portato sul palco dei Berliner Festspiele, la musica dei Gnawa, discendenti di schiavi condotti in Marocco dalle regioni dell’Africa a sud del Sahara, le cui credenze sono una combinazione di culti islamici e pre-islamici.

Nei loro rituali, la musica e soprattutto il ritmo hanno una funzione determinante soprattutto nella cura delle malattie. I loro suoni non molto alti, il battito delle mani e percussione di cembali conducono ad uno stato di ipnosi, che serve non solo nella cura delle malattie bensì anche per invocare forze spirituali e per eliminare il male.

Joachim Kühn, abituato a suonare con grandi nomi del jazz, quali Michael Brecker, Stan Getz, Ornette Coleman, Joe Henderson, ha invitato per l’occasione Pharoah Sanders, divenuto celebre per i suoi duetti con John Coltrane e la cui musica ed autobiografia rispecchiano il periodo degli anni sessanta.

Come molti artisti di allora, Pharoah Sanders (vero nome: Farrell Sanders), ha abitato in una comune di musicisti, la “Arche von Sun Ra”.

Come molti ha vissuto di elemosina nella dura città di New York, fin quando non è stato scoperto da John Coltrane. E come molti ha soggiornato in Giappone dove ha registrato il disco “Leo”.

L’unica cosa che lo differenzia dagli artisti di allora, è il fatto di non aver fatto uso di droghe e di alcool. La sua musica è prevalentemente spirituale come suggeriscono molti titoli, ad esempio “The Creator Has a Master Plan” (Il creatore ha un piano perfetto).

Pharoah Sanders, dopo un lungo periodo lontano dalla luce dei riflettori, è ritornato ad esibirsi, a partire dagli anni ’90, sui palcoscenici più importanti del mondo. Il 31 ottobre al JazzFest di Berlino ha dimostrato, nonostante l’età, che la sua musica conserva la freschezza e la forza dei suoi migliori e più proficui anni.

 

Concerto Jack DeJohnette Group, feat. Don Byron - Foto: Emilio Esbardo

Altri due grandi nomi presenti alla manifestazione erano quelli di John Scofield e Jack DeJohnette.

La carriera di Jack DeJohnette è legata a leggende del jazz quali Chick Corea, Miles Davis, Herbie Hancock e Pat Metheny.

Il suo amore per la batteria è nato durante la frequentazione della scuola superiore dopo aver studiato per 10 anni pianoforte.

Nel 1966 si è trasferito a New York, dove ha lavorato insieme a Charles Llyod. Soltanto alla fine degli anni settanta ha formato il suo primo gruppo ed ha inciso per la prestigiosa casa discografica Blue Note.

Al JazzFest si è esibito insieme a Don Byron, altro nome di spicco.

John Scofield ha suonato, domenica 3 novembre, con il suo gruppo Überjam Band. Il chitarrista, a lungo amico e compagno di concerti di Miles Davis, ha dimostrato sul palco che la sua musica non può essere delimitata a nessun genere. Con la chitarra riesce a distinguersi sia che suoni Jazz, Blues o Rock.

Concerto: The John Scofield Überjam Band - Foto: Emilio Esbardo

Con le celebrazioni degli ottant’anni di Ernst-Ludwig Petrowsky, avutesi presso l’Accademia delle Belle Arti, dove il musicista ha dato tre concerti distinti, il JazzFest ha spostato il suo baricentro dall’Africa alla DDR.

Ernst-Ludwig Petrowsky si è esibito con tre gruppi differenti con i quali ha fatto  storia nell’ex Repubblica Democratica. Dapprima ha suonato con i Ruf der Heimat, poi con i Ornette et Cetera ed infine i Zentralquartett.

Il gruppo più importante è sicuramente il Zentralquartett, dove spiccano anche i musicisti Conny Bauer, Ulrich Gumpert e Günter Baby Sommer.

Il nome Zentralquartett (Quartetto centrale) è un gioco di parole, un riferimento ironico alle più importanti istituzioni politiche e culturali della DDR: “Zentralagentur” (Agenzia centrale) e Zentralkomitee (“Comitato centrale”).

I quattro musicisti facevano parte di coloro i quali avevano osato comporre musica che non apparteneva alla cultura istituzionalizzata stabilita dal Partito unico SED della Repubblica Democratica.

“Alla fine degli anni sessanta, inizio anni settanta si è verificato qualcosa di mostruoso nella scena jazz della DDR,” ha scritto Bert Noglik nel suo  articolo nel libro d’introduzione al festival, “si sperimentava ovunque. È apparsa in scena una giovane generazione di musicisti, che lavoravano insieme in differenti direzioni ed avevano pionieri innovativi come Ernst-Ludwig Petrowsky, Manfred Schultze und Friedhelm Schönfeld”. (3)

A Cottbus, racconta Bert Noglik si è sviluppato un podio sulla musica improvvisata e sulla cultura giovanile. Inoltre a Lipsia è nato nel 1973 il “jazzclub leipzig”, seguito a ruota da tanti altri piccoli club in tutto il territorio della Repubblica Democratica.

Il direttore artistico del festival Bert Noglik - Foto: Emilio Esbardo

Nel 1990, immediatamente dopo la caduta del Muro, il quartetto ha prodotto il disco omonimo “Zentralquartett”, dove la musica narra fedelmente e passionatamente gli eventi straordinari di quel periodo. Riprendendo sempre l’articolo di Bert Noglik:

“Zentralquartett” del 1990 è probabilmente l’album migliore della band. In ogni caso ha il carattere di un manifesto musicale. Allora ho appuntato, durante il tragitto con il treno attraverso il terreno incolto tra la parte est ed ovest: “musica, creata per il momento, valida per la durata di un battito cardiaco e di un respiro. Celebrazione del momento ma anche una sorta di documento storico. Con questa musica nelle orecchie sono passato oltre il confine, felicemente abbattuto giù e ancora dolorosamente vivo nei ricordi… (4)

Concerti: Ernst-Ludwig Petrowsky Jubilee - Foto: Emilio Esbardo

Altro articolo interessante nel libro d’introduzione al festival è “Ein Sandsack zuviel” (Un saccopelo di troppo) di Ernst-Ludwig Petrowsky, che racconta la difficoltà degli artisti della Repubblica Federale di esibirsi all’estero:

Il dipartimento rigido e stalinista della cultura e del passaporto dell’“Agenzia degli Artisti della DDR” ha posto come condizione, per l’esibizione del trio Petrowsky presso la NDR, la presenza del compagno Wollschon come accompagnatore di viaggio in servizio. E il compagno Wollschon, rigido al dovere, ha seguito da pedante teutonico portiere della Stasi ogni nostro passo fino alle brande dei letti dell’hotel, dove pernottavamo (5)

Petrowsky è riuscito anche ad ottenere dal compagno Wollschon, grazie ad un trucchetto, il permesso di farsi intervistare dal giornalista della Germania ovest Michael Naura. Nonostante i timori di Wollschon, Petrowsky non ha dato risposte che avrebbero potuto mettere in imbarazzo il regime della DDR:

Mi sono sentito a disagio quando il compagno Wollschon si è congratulato per “il mio ragionamento coraggioso e saggio in prima linea sul fronte della lotta della classe culturale” e mi ha ringraziato a nome del partito (…) Abbiamo fatto un concerto eccezionale (…) La nostra vendetta contro il nostro snervante compagno di viaggio in servizio, scudo e spada del Partito: Abbiamo intitolato uno dei nostri pezzi più belli – una ballata molto rilassante “Un saccopelo di troppo” e naturalmente lo stronzo non si è accorto di nulla. Così e in altri modi il jazz è sopravvissuto alla DDR (6)

Con la presenza di Abram Inc., Bert Noglik ha voluto inserire una band che unisce il jazz con l’Hip-hop e il funk: insieme al famoso trombonista Fred Wesley, conosciuto per le sue collaborazioni con James Brown e George Clinton, si è esibito anche il rapper C-Rayz Walz.

Concerto Abraham Inc. - Foto: Emilio Esbardo

Con la Monika Roscher Bigband si è voluto dare spazio ad un gruppo di giovani, trainato dalla chitarrista, compositrice e cantante Monika Roscher, la quale ha creato una delle formazioni di maggior successo degli ultimi anni in Germania.

Con Dafnis Prieto Proverb Trio si è dato un tocco latino-americano al festival. Il batterista Dafnis Prieto è un musicista cubano, residente a New York.

Riccardo Del Fra, invece, ha portato sul palco il jazz tradizionale. Si è esibito per due serate presso il locale A-Trane, dedicate al grande Chet Baker: “My Chet, My song”. Riccardo, italiano, vive da quasi trent’anni a Parigi ed ha avuto l’onore di cooperare anche con Dizzy Gillespie e Bob Brookmeyer.

Con Christian Brückner e Christian Weidner gli spettatori hanno potuto trascorrere un piacevole sabato pomeriggio all’insegna di musica e poesia. Brückner, accompagnato dalle note di Weidner, ha letto le poesie erotiche di e.e. cummings.

Concerto: Wunderkammer XXL - Foto: Emilio Esbardo

Concerto: Monika Roscher Bigband - Foto: Emilio Esbardo

Christian Brückner è conosciuto in Germania per aver doppiato attori del calibro di Robert De Niro, Dennis Hopper, Jon Voight e Gérard Depardieu.

Altri bei concerti, tenutisi nella sede dei Berliner Festspiele, sono stati “Big Circle” con le personalità trainanti di Michael Riessler e Pierre Charial e “Wunderkammer XXL” di Michael Wollny / Tamar Halperin & HR-Bigband.

JazzFest Berlin 2013 si è chiuso con il concerto Sons of Kemet, guidati da Shabaka Hutchings, uno dei maggiori rappresentanti della scena jazz britannica.

La prossima edizione di JazzFest Berlin si terrà dal 30 ottobre al 2 novembre 2014, quando si festeggeranno i 50 anni dalla sua fondazione.

NOTE

(1) Hans-Jürgen Schaal, Jazz evoziert das Wort – von singenden Barkeepern und politischen Posaunen, in Magazin Jazzfest Berlin 2013, pag. 26

(2) Ibidem, pag. 25

(3) Bert Noglik, Von Synopsis zum Zentralquartett – zur Geschichte einer Kult-Band im „Freien Jazz“ der DDR und darüber hinaus, in Magazin Jazzfest Berlin 2013, pag. 17

(4) Ibidem, pag. 19

(5) Ernst-Ludwig Petrowsky, Ein Sandsack zuviel…, in Magazin Jazzfest Berlin 2013, pag. 22

(6) Ibidem, pag. 23

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