Jutta Foti

Il 3 marzo 2012 si è spenta la signora Jutta Foti, che era stato un punto di riferimento per molti emigranti italiani di prima generazione. In quel periodo lei era l’unico medico che conosceva la nostra lingua, ed il Consolato le inviava gli italiani bisognosi di cure mediche. Inoltre è stata un punto d’appoggio, non solo dal punto di vista sanitario, professionale, bensì anche dal punto di vista sociale. Negli anni ’60 e ’70 il Consolato non era così ben organizzato ed efficiente e lei aiutava gli emigranti a scrivere le lettere, ad esempio, alle assicurazioni o alle autorità tedesche.    

Jutta è nata il 28 luglio 1928 a Potsdam, dove ha trascorso la sua infanzia con sua nonna Böttcher.

Durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale passava le giornate nei bunker, piena di terrore e di fame. Dopo il conflitto bellico ha preso la decisione di diventare medico. Decisione che ha dovuto portare avanti in condizioni non certo favorevoli, visto che gli edifici dell’università erano andati distrutti e le donne non venivano favorite nello studio e nell’inserimento nel mondo del lavoro.

Il marito di Jutta, Domenico Foti, di origini calabresi

Lei, però, come molte donne tedesche del dopoguerra, non si è lasciata scoraggiare dalla società maschilista. Ha tentato la sua fortuna all’estero e si è procurata una formazione d’infermiera in Inghilterra. Ritornata in patria, è riuscita a farsi accettare nella facoltà di medicina fino ad essere assunta come assistente presso la rinomata clinica Heckeshorn, dove le si prospettava una florida carriera.

Nel 1960 però, durante il suo viaggio in Calabria, accadde qualcosa, che cambiò la sua vita radicalmente: “È una bella storia d’amore. È stato nel ’60”, mi racconta suo figlio Gaetano, “mia madre aveva allora 32 anni. Aveva terminato la specializzazione in malattie polmonari. A settembre doveva partire per le vacanze e non sapeva dove andare. Un suo collega di Reggio Calabria le disse ‘vai lì che a settembre troverai sicuramente bel tempo. Ti posso fare ospitare dalla mia famiglia’. Lei è partita senza sapere una parola d’italiano, col treno per Reggio Calabria. Purtroppo si era messa nella cuccetta sbagliata. Arrivata a Villa San Giovanni, si è ritrovata in una camera buia, completamente chiusa, perché non aveva capito che quelle cuccette andavano direttamente in Sicilia ed erano state imbarcate nella pancia della nave traghetto. È ritornata poi con la sua valigia a Villa San Giovanni. Intanto le persone che l’aspettavano alla stazione non c’erano più.

Domenico e Jutta Foti

Con l’indirizzo scritto su un pezzo di carta si è fatta portare da un tassista. La famiglia del suo amico era una famiglia tradizionalmente di farmacisti e medici.

Lì andava sempre Domenico Foti, che non parlava né tedesco, né inglese, e che nonostante tutto, iniziò ad accompagnarla alla spiaggia e a portarla in giro”.

Dopo quattro settimane di vacanza Jutta è ritornata a Berlino, si è licenziata e contro il parere di tutti ha coronato la sua storia d’amore.

“Nel ’61, un mese dopo la costruzione del Muro”, continua Gaetano, “Domenico e Jutta si sono sposati a Berlino. Essendo mia madre protestante e mio padre cattolico, volevano celebrare il rito civile, cosa che allora in Italia non si usava. Poi sono partiti con un vecchio maggiolino per la strada del Brennero, giù in Calabria. Mia sorella è nata lì. Fine ’62, inizio ’63 sono tornati a Berlino, dove mia madre ha iniziato di nuovo tutto daccapo. Ha aperto il proprio ambulatorio. Mio padre, all’inizio badava a mia sorella, poi si è messo pure lui in proprio. Ha affittato un distributore di benzina nel ’63-’64, fino ad aprire la prima concessionaria Fiat della città. Così è andata avanti la carriera di queste due persone che per 50 anni hanno sempre lavorato e costruito. Hanno sempre lavorato duramente ma hanno avuto anche moltissime soddisfazioni”.

Gaetano Foti ha terminato con queste belle parole il ricordo dei suoi genitori “dopo la morte di mia madre, ho trovato delle cartoline scritte dalla Calabria che ogni giorno nei mesi di fidanzamento, mio padre le mandava. È stato molto bello leggere queste cose e sapere con quanto affetto e amore i miei genitori comunicavano. Hanno dovuto lottare contro tutte le convenzioni di allora, perché in Germania, sposare nei primi anni ’60 un calabrese, è stato quasi uno scandalo”.

di Emilio Esbardo

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