Karl-Marx-Allee: il primo viale del socialismo

Karl-Marx-Allee - Foto: Emilio Esbardo

di Stefania Labonia 

A camminare lungo la Karl-Marx-Allee a Berlino si ha la sensazione di trovarsi in un luogo insolito, lontano dai canoni urbanistici più tradizionalmente occidentali, catapultati in una città sovietica con lo stile architettonico imponente, combinato alla tecnologia della prefabbricazione, che la Repubblica Federale Tedesca utilizzò qui facendo di questo viale il suo maggiore esempio di comunicazione visiva durante la reggenza sovietica.


Un luogo rappresentativo, questo, opposto al Ku’damm, risultato finale entrambi di diverse ideologie politiche e quindi di diverse metodologie di riedificazione ed interpretazione delle due Berlino, quella liberale ed individualistica dell’ovest e quella nazional-socialista dell’est.



La ricostruzione della città sotto il controllo sovietico ebbe inizio proprio dal recupero della preesistente Große Frankfurter Straße, percorso settecentesco che collegava Berlino a Francoforte. Il viale, ribattezzato Stalinallee nel 1949 e dal 1961 nominato Karl-Marx-Allee, era parte integrante della rinascita postbellica del quartiere Friedrichshain, secondo la pianificazione urbana di Hans Scharoun. Un progetto più ampio, rimasto però sulla carta, prevedeva il collegamento della Karl-Marx-Allee con il viale seicentesco, opportunamente deviato, dell’Unter den Linden. 

Karl-Marx-Allee di notte - Foto: Emilio Esbardo

La realizzazione del viale sulla Große Frankfurter Straße avrebbe direttamente collegato la zona centrale di Mitte con il quartiere industriale e popolare di Friedrichshain, oltre ad accogliere le parate militari che qui avrebbero avuto luogo. A tal scopo fu necessario prevedere la costruzione di slarghi e piazze monumentali.

Il viale doveva avere anche funzione sociale e quindi ospitare alloggi per i tanti cittadini che dopo la guerra non avevano ancora un tetto sulla testa. Come unità abitative erano previsti degli appartamenti spaziosi circondati dal verde, una rivoluzione del concetto abitativo rispetto alle costruzioni anguste dei quartieri operai ottocenteschi.


Nel 1950 il nuovo viale venne scelto come vetrina di rappresentanza della neonata DDR nonché die erste sozialistische Strasse, manifesto dei principi dell’urbanistica socialista approvati dal Consiglio dei Ministri della DDR in accordo con le direttive provenienti dal governo centrale di Mosca.

A tal proposito venne sospesa la costruzione dei primi edifici di edilizia popolare Laubenganghäuser (Karl-Marx-Allee 102/104, 126/128), tipologia di case a ballatoio, facendole rimanere un caso isolato, successivamente nascoste dai tanti pioppi che vennero piantati lungo il viale.

Karl-Marx-Allee - Foto: Emilio Esbardo

La nuova architettura di Helmut Riedel, infatti, era ritenuta troppo moderna e in contrasto con i nuovi principi urbanistici che si proponevano di realizzare una città pianificata, monumentale, rappresentativa e funzionale, in cui i cittadini e coloro che abitavano gli alloggi costruiti in base ai nuovi principi, avrebbero sentito la potenza e il rinnovamento apportati dal nuovo governo. 

L’architetto-ideologo Hermann Henselmann, progettista del grattacielo costruito sulla Weibeweise Strasse, rispondente ai canoni prestabiliti, sebbene non avesse vinto il concorso indetto per la progettazione della Stalinallee, venne comunque nominato coordinatore del sesto collettivo di progettazione e supervisore dei lavori.

Con chiaro riferimento al Realismo Socialista e alla tradizione costruttiva del neoclassicismo berlinese nel 1952 si dette avvio ai lavori di costruzione del complesso edilizio lungo il primo chilometro e ottocento metri del viale con una larghezza di ottanta metri, dalla Strausberger Platz verso la periferia. Ebbe inizio così la seconda fase dei lavori, suddivisa tra 6 commissioni di architetti, che venne ultimata nel 1958.


Tra gli esempi di architettura più incisivi troviamo il Blocco C (Karl-Marx-Allee 71-91B, 72-90) di Richard Paulick, oggi sede della Architektenkammer Berlin, costruito in stile neoclassico e le soluzioni d’angolo nella Strausberger Platz e nella Frankfurter Tor, affidate ad Hanselmann che, se per i due grattacieli nella prima piazza si era basato sull’architettura di Schinkel, le altre due torri gemelle nella Frankfurter Tor riproposero le cupole alla von Gontard in Gendarmenmarkt, disegnando così il “portaled’ingresso” alla Berlino est.

Alla fine degli anni Cinquanta per ragioni economiche, organizzative e con la destalinizzazione finiva l’epoca dello Zuckerbäckerstil, lo “stile a torta” voluto da Stalin.

Nel decennio successivo si provvide al completamento del tratto di viale fino all’Alexanderplatz, centro della Berlino est, che trasformata in snodo viario con al centro la Fernsehturm, ospitò i suoi primi edifici sul viale: la Haus des Lehrers (Casa dell’insegnante) e la Kongresshalle (Sala Congressi) collegati attraverso un passaggio coperto e progettati da Henselmann. Interessante è il fregio al piano della biblioteca nell’edificio a 12 piani, realizzato con un murale Unser Leben (La nostra vita) raffigurante scene di vita quotidiana nella DDR.

Lungo il viale furono costruiti i primi edifici residenziali per la classe operaia, frutto dell’industrializzazione e standardizzazione degli elementi costruttivi. Avvalendosi dei pannelli prefabbricati, i Plattenbauten, la costruzione del viale proseguì con una certa continuità proponendo migliaia di appartamenti al popolo ancora senza dimora, con i confort dettati dagli standard socialisti. Tra essi si collocano gli edifici e i padiglioni con funzione sociale, come i cinema, i negozi, il palazzo dello sport (demolito nel 1971 per un difetto costruttivo) e i ristoranti-bar.

Alcuni di questi esempi sono visibili lungo la Karl-Marx-Allee 32-36 e 45/46. Si tratta di padiglioni commerciali o di aggregazione sociale, con grandi vetrate atte ad esporre il popolo ed il suo genio creativo. Un concetto nuovo in una Berlino dell’est che aveva rifiutato i concetti della Carta d’Atene e dell’International Style.

Al numero 35, dove oggi vi è il locale Alberts, c’era il famoso Mokka-Milch-Eisbar che insieme alle limitrofe architetture dell’International Kino, del Restaurant Moskau e dell’Hotel Berolina, costituivano il luogo di aggregazione per giovani, anziani, artisti e politici sulla Karl-Marx-Allee. Situati in prossimità della Schillerstrasse, questi edifici hanno avuto nel corso degli anni diverse gestioni e destinazioni d’uso, ma rimangono comunque delle testimonianze di un passato che ha caratterizzato il viale.

Il Filmtheater Kosmos del 1962, al 131 di Karl-Marx-Allee, fu il primo esempio di architettura secondo i canoni dell’International style. Un cubo ad un piano con vetrata e rivestimento in ceramica colorata e un doppio volume curvilineo nel centro della struttura, atto ad ospitare 1.001 posti a sedere, che mostrava tutta la sua essenza anticonformista.

Qui venivano proiettati in anteprima i film DEFA, gli studi cinematografici della DDR, che emozionavano il pubblico talvolta negativamente, come nel caso di Ulbricht che dinanzi al film Die Abenteuer des Werner Holt (Le avventure di Werner Holt) nel 1965, indignato andò via, e talvolta positivamente, come con il film Die Legende von Paul und Paula che ebbe un applauso lungo venti minuti. Dopo diverse vicende, utilizzato anche come sfondo in un video musicale del gruppo tedesco Tokio Hotel, il cinema è oggi utilizzato per gala, party e come centro congressi.

Il secondo cinema costruito da Josef Kaiser, anche in questo caso con la collaborazione di Heinz Aust, fu il Kino International, al 33 di Karl-Marx-Allee, anch’esso in stile moderno caratterizzato da un parallelepipedo in cemento bianco su una base rivestita in pietra. Posto all’intersezione della Schillingstrasse, l’edificio è caratterizzato da un volume aggettante vetrato al primo piano, che si proietta in avanti sulla strada, interagendo con lo spazio urbano e fungendo da tettoia per l’ingresso.

Le pareti laterali esterne sono chiuse e decorate con rilievi che raccontano del tempo libero, della vita lavorativa e della quotidianità socialista. Attualmente i locali vengono utilizzati per feste, pur mantenendo la funzione di cinematografo, divenuto poi multisala nel 1997.

Di fronte, sul lato opposto del marciapiede, c’è il Restaurant Moskau, progettato anche questo da Josef Kaiser. L’edificio è distribuito su tre livelli con night club, foyer, bar e saloni-ristoranti. Considerato come l’ambasciata gastronomica della DDR, il ristorante è ornato al suo ingresso da un mosaico raffigurante immagini della vita dei popoli socialisti, e da un modello di Sputnik, il primo satellite sovietico in orbita, collocato sul tetto, regalo dell’ambasciatore russo. Dopo un periodo di chiusura è stato riaperto per feste occasionali e come luogo espositivo.

Sullo sfondo dell’International Kino sorge l’edificio della sede amministrativa del distretto Mitte, dove prima vi era l’Hotel Berolina, costruito negli anni Sessanta. La Erste Strasse con le sue fasi costruttive rimane un’importante testimonianza della storia di Berlino, quando le due parti della città si rincorrevano nel mostrare i migliori risultati della ricostruzione post-bellica. Non a caso mentre la DDR apriva il concorso per la realizzazione della Karl-Marx-Allee, di lì a poco la Berlino Occidentale avrebbe indetto il concorso per la ricostruzione del quartiere espositivo dell’Hansaviertel, al quale i maggiori architetti dell’International Style parteciparono per ridare un centro alla Berlino Ovest.

La parte del viale costruita negli anni Cinquanta risulta essere più movimentata rispetto all’uniformità e spersonalizzazione dei casermoni prefabbricati, ma l’estetica neoclassica è lontana dalla naturalezza e dal plasticismo dei grandi Boulevard della città Ottocentesca. Locali e ristoranti qui ospitati ai piani terreni degli edifici di Henselmann non ricreano il carisma dei locali su Ku’damm, anche a causa delle 6 corsie del viale e per l’assenza dei filari d’alberi che evidenziano la passeggiata pedonale.

In Karl-Marx-Allee protagonista della scena urbana è la residenza sociale della classe operaia, basata su un’ideologia che, con la ricostruzione della città, avrebbe voluto offrire al popolo alloggi salubri, sontuosi e monumentali. Una scelta destinata a fallire dopo poco per lasciar posto all’edilizia sociale dei casermoni che hanno caratterizzato l’eredità dell’est giunta fino ai nostri giorni e che oggi restyling forzati sulle facciate cercano di rendere meno grigi.

Stefania Labonia nasce a Crotone nel 1973. Dopo aver conseguito la laurea in Architettura e Pianificazione del Territorio all’Università di Firenze, lavora come cultore della materia nel Dipartimento di Urbanistica dell’Ateneo fiorentino e nel Laboratorio di Progettazione Urbanistica presso il Corso di Laurea UPTA di Empoli. Nel 2006 viene pubblicato il suo saggio La navigabilità dell’Arno nell’opera Tracce dell’invisibile. Rappresentare i luoghi e i luoghi rappresentati del prof. Gian Franco Censini. Tra il 2007 ed il 2009 ha lavorato come tecnico responsabile per la progettazione ed esecuzione di ponteggi per la manutenzione e conservazione di edifici monumentali a Firenze e ha collaborato con l’Osservatorio Europeo del Paesaggio organizzando workshop nazionali e internazionali sul tema del recupero urbanistico dei centri minori dell’Italia meridionale. Attualmente lavora come libero professionista a Berlino, città in cui vive dal 2010.

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