di Silvio Mengotto
«Sono vecchio e affaticato / ma non posso restare. / Gli zingari si fermano solo / per morire, / perché la strada è la loro vita. / Sulla strada veniamo al mondo, / lungo le strade viviamo, / in fondo a una strada ci prende la morte. / Così è la nostra vita, / siamo poveri ma felici. / La nostra ricchezza / è quando siamo seduti intorno a un fuoco / ad ascoltare il violino che suona». (Sinto piemontese)
Tutti conoscono la parola “Shoah”: nessuno “Porrajmos” il divoramento. Lo sterminio degli zingari non ha ancora avuto il giusto riconoscimento nell’Europa che lo ha prodotto
La strada verso Auschwitz
Sono passati cinque secoli, ma la sentenza della Dieta di Augsburg del 1500 contro gli zingari non ha perso il suo livore, il suo inquietante giudizio: «Niente di buono può venire da questa gente maledetta. È giusto dunque che tutto il mondo di Dio li fugga come la peste». Il disprezzo verso gli zingari aveva preso corpo nel 1445 a Lusignan: due zingari e un loro compagno erano stati arsi vivi con l’accusa di aver somministrato pozioni magiche a un certo Gilles Maldetour. Nel 1499 i re cattolici Ferdinando e Isabella avevano bandito dalla Spagna ebrei, saraceni e zingari. E poi la prima caccia alle streghe iniziò nella cattolica Francia con l’impiccagione e il rogo di donne zingare accusate di essere depositarie di sconosciuti segreti. Nel Settecento in Ungheria duecento zingari furono processati per antropofagia infantile. Espulsioni e bandi contro gli zingari si susseguirono in tutta Europa. Nel 1899 in Germania si istituì il “Servizio di informazione statale sugli zingari”, divenuto nel 1929 “Ufficio Centrale per la lotta alla piaga gitana”.
Il Novecento si caratterizza anche come il secolo in cui si mettono le basi scientifiche dell’eugenetica, disciplina che si propone lo scopo di migliorare la specie umana (F. Galton). Questa dottrina scientifica diventa il pretesto, non scientifico, per eliminare – non per migliorare – alcune razze umane! Con Hitler al potere l’igiene razziale diventa argomento e programma di politica nazionale. Nel 1933 Pearson esalta la politica hitleriana quale efficace tentativo di rigenerazione della razza tedesca. Un gruppo di studio segreto delle SS naziste abbozza un primo progetto di sterminio degli zingari. Si pensa di piombarli su vecchie navi destinate alla rottamazione per affondarle in pieno oceano. Per il regime nazista è impossibile integrare gli zingari. Dal punto di vista genetico bisognava escludere categoricamente ogni contaminazione e riproduzione tramite la sterilizzazione. Lo studioso tedesco Schubert scriveva sulla rivista “Volk und Rasse” che gli zingari
«sono in tutto e per tutto una presenza criminale. L’ansia di viaggiare è desiderio di evitare ogni fatica fisica, trasformatasi in costume attraverso generazioni. Da cinquecento anni gli zingari vivono in territorio germanico senza che sia stato possibile educarli a diventare gente utile, né con il concorso dello Stato, né mediante l’istruzione obbligatoria»[1].
Con questo clima si arrivò alla condanna a morte di giovani zingari per il furto di biciclette. La sentenza contro lo zingaro Zocharias Winter, autore del furto, recita:
«L’imputato è privo di precedenti penali e risultava di età inferiore ai diciotto anni all’epoca in cui vennero consumati tutti i reati. Tuttavia, in considerazione del suo sviluppo generale deve considerarsi adulto; come dimostrano gli innumerevoli furti da lui compiuti, egli è un criminale che rappresenta un costante pericolo per il prossimo. In questo caso, ai fini della tutela della sicurezza pubblica, si rende necessario la pena di morte»[2].
Triangoli neri
Insieme agli ebrei gli zingari vengono consumati, mangiati, nei forni crematori nazisti dove, per la prima volta nella storia dell’umanità, si istituzionalizza «la mercificazione che il potere fa dei corpi, cioè la riduzione dei corpi a cose, che Hitler ha fatto proprio nel senso fisico della parola»[3].
Queste le cifre e l’estensione geografica della deportazione zingara. Romania, 300.000 persone; Russia 200.000; Ungheria 100.000; Slovacchia 80.000; Serbia 60.000; Polonia 50.000; Francia 40.000; Croazia 28.500; Italia 25.000; Germania 20.000; Boemia 13.000; Austria 6.500; Lettonia 5.000; Estonia 1.000; Lituania 1.000; Belgio 500; Olanda 500; Lussemburgo 200. I criteri di selezione degli zingari erano più severi di quelli adottati per gli ebrei. Era sufficiente che uno dei nonni, paterni o materni, fosse di origine zingara per essere internato, mentre questo criterio non era adottato per gli ebrei.
Per il loro talento artistico gli zingari erano selezionati come musicanti: «sebbene possa sembrare strano, ad Auschwitz, avevano messo su una piccola orchestrina in quel campo, come in altri»[4]. Le musiche degli zingari accompagnavano le macabre esecuzioni di internati ribelli che avvenivano dopo lo snervante Appelplatz. Un rituale che durava ore e ore con qualsiasi condizione metereologica: pioggia, vento gelido, neve, caldo torrido. La musica zingara accoglieva anche l’arrivo degli internati sui binari di Auschwitz, mentre chi era ancora vivo scendeva stremato e in preda al terrore[5].
Il 16 dicembre 1942 Himmler firma l’ordine di internare gli zingari ad Auschwitz: insieme alle prostitute avranno sul petto un triangolo nero. In origine gli scopi dell’internamento erano “scientifici”. Deportati ad Auschwitz venivano isolati dagli altri e incoraggiati a mantenere le loro tradizioni folkloristiche[6]. Josef Mengele, medico nazista e selezionatore degli internati, indossava sempre guanti bianchi e fischiettava «opere wagneriane mentre si dedicava a questo compito»[7]. Mengele promosse l’orchestrina tzigana. Uno zingaro sopravvissuto al genocidio ricorda che «il dottor Mengele usava fare il giro del campo a cavallo, perché come disse una volta, la musica e le canzoni degli zingari gli erano care fin dall’infanzia, quando aveva apprezzato l’arrivo delle carovane nella sua città bavarese»[8]. La notte del 2 agosto 1944 un delirante comunicato di Hitler ordinò l’immediata eliminazione di tutti gli zingari. Fu una notte paradossale, dove il delirio si mescolò alla vertiginosa ricerca di felicità e di amore[9]. E dopo la notte dello sterminio Mengele disse: «il fascino del campo zingaro non è più. Peccato!»[10].
In questa disumana tragedia subirono un’aperta ostilità anche dai prigionieri di sventura. Tutti gli internati di Auschwitz non tolleravano la presenza zingara, le loro abitudini, la loro atavica capacità di affrontare situazioni difficili, imprevisti, sopportazioni e resistenze che, nel trascorrere dei secoli, aveva forgiato una fortissima identità zingara, che si era trasformata in uno stile di vita del tutto particolare e non facile a disintegrarsi o sbriciolarsi di fronte ai primi ostacoli. Non fa meraviglia se il comandante, e costruttore di Auschwitz, il famigerato Rudolf Höss, disse:
«Non fu facile mandarli allo sterminio. A modo loro era gente straordinaria fiduciosa; nonostante le condizioni avverse, la maggioranza degli zingari, per quanto ho potuto osservare, non ha sofferto psichicamente in modo particolare della prigionia a parte l’impossibilità di continuare la loro vita errabonda. Gli alloggi angusti, le condizioni igieniche cattive, in parte anche lo scarso nutrimento, erano abituali per essi, data la vita primitiva condotta fin lì, né li atterrivano le malattie e l’alta mortalità. Erano rimasti dei bambini sotto tutti gli aspetti, incostanti nei loro pensieri e nelle azioni; giocavano volentieri, anche durante il lavoro, che del resto non prendevano mai sul serio. Erano capaci di prendere con leggerezza anche i fatti più gravi, insomma erano degli ottimisti. Non ho mai visto tra gli zingari sguardi cupi, carichi di odio. Quando si arrivava al campo uscivano dalle baracche suonavano sui loro strumenti, incitavano i bambini a ballare o esercitavano le loro arti tradizionali»[11].
Sopravvissuti
La signora rom Ceija Stojka aveva solo undici anni quando, reduce dalla deportazione di Auschwitz, arriva con la madre nel gennaio 1945 nel lager di Bergen-Belsen. Un miracolo la sua sopravvivenza sino all’arrivo, dopo quattro mesi, nel campo delle truppe alleate che liberarono i prigionieri. Ad Auschwitz la piccola rom ogni mattina era costretta a buttare giù dalle brande i cadaveri morti nella notte[12]. Un compito che svolgeva su ordine del Kapò di turno. Sopravvissuta come quelle donne che mangiavano di tutto: stoffa, oggetti di origine animale, pettini, fermagli di osso. Oggi Stojka vive a Vienna. Tornò a visitare il campo di detenzione. La notte prima della visita ebbe un sogno.
«Io che parlavo con i morti. Erano tutti contenti: “Quanto ti abbiamo aspettato! È una fortuna che tu sia venuta! Sei stata in mezzo a noi!” E io ho detto loro: “Siete tutti di Bergen-Belsen?” “Sì, ma dobbiamo restare qui per sempre!” Ogni mia visita a Bergen-Belsen somiglia a una festa! I morti svolazzano. Escono, si muovono, io ne avverto la presenza, cantano e il cielo è pieno di uccelli. È soltanto il loro corpo che giace lì. Hanno lasciato il proprio corpo perchè la vita è stata tolta loro con la violenza. E noi siamo i loro difensori, li difendiamo attraverso la nostra esistenza … È strano, ma io ho provato compassione anche per i nazisti. Erano esseri umani pure loro. E il sangue ha circolato nel loro cuore proprio come nel nostro. L’unica differenza è stata che da noi ha circolato un po’ più velocemente perchè abbiamo avuto sempre paura».
Per Stojka, come capitò a tutti gli zingari imprigionati, ritornare alla normalità significò scontrarsi con gli antichi pregiudizi dei ‘gadje’, che ancora continuano.
«Quando tornai dal lager nella mia vecchia periferia di Vienna parecchi gadje ci osservavano: “da dove vengono questi? Puoi continuare a lavarti quanto vuoi ma è inutile, sei uno zingaro, lo sarai per sempre e va bene così”. Nessuno però dice: “Grazie al cielo sono sopravvissuti! Che è successo? Come siete riusciti a cavarvela? Come avete fatto?”».
In Italia le leggi razziali del 1938 non colpirono solo gli ebrei ma anche gli zingari. Al campo di concentramento di San Bernardino dopo gli ebrei
«furono internate grandi famiglie di zingari. Qualche anno fa è stato possibile rintracciare due rom deportati a San Bernardino, Tomo Bogdan e Milka Goman. Il 27 gennaio 2005, il sindaco di Agnone Gelsomino De Vita, ha chiesto scusa a quei superstiti a nome di tutto il paese. “La cittadinanza esprime la propria solidarietà a Tomo Bogdan e Milka Goman, ai loro familiari e al popolo rom per le sofferenze subite in conseguenza delle leggi razziali del 1938”»[13].
La giustizia che a Norimberga si è fatta luce per i sei milioni di ebrei, non si è ancora estesa al popolo zingaro che non fu chiamato al banco dei testimoni, mentre la richiesta di risarcimento venne respinta. Il popolo ebraico ha giustamente avuto il rispetto storico, la doverosa solidarietà di tutto il mondo per la sua immane tragedia. Il popolo zingaro non ha avuto neppure briciole di attenzione. Una sentenza del 1997 del tribunale militare italiano ha sancito che i crimini di guerra sono crimini contro l’umanità e, in quanto tali, non possono mai cadere in prescrizione. Neppure quelli commessi nel Porrajmos contro gli zingari possono obliterarsi nella memoria della Shoah.
Se nell’ex Jugoslavia si è assistito inermi all’eliminazione di intere etnie, tra queste la zingara, qualcosa di simile accade nelle periferie delle grandi metropoli europee dove la precarietà delle condizioni economiche, il degrado dell’habitat vanno di pari passo con crescenti espressioni di ostilità, rifiuto, nei confronti di diversi gruppi sociali definiti “a rischio”, spesso etichettati come unici responsabili dell’aumento dell’insicurezza: immigrati, barboni, tossicodipendenti, zingari! La marginalità provoca guerre tra i poveri dove non ci sono mai vincitori ma solo vinti e sconfitti, come è accaduto agli zingari nei campi di stermino nazisti.
Quando starò per morire, / portatemi sotto un albero / perché i miei occhi possano vedere / le foglie verdi e il colore dei fiori / per l’ultima volta.
Quando starò per morire, / mettete il mio corpo sulla terra / e poggiate il mio capo su una rosa. / Lasciate che il vento accarezzi il mio volto.
Lasciate che io oda ancora una volta / l’acqua del torrente che scorre / e il suono del violino. / Il canto dei passeri mi accompagnerà nell’ultimo viaggio.
Se così avverrà quando starò per morire, / sarò stato un uomo fortunato / perché sarò morto come uno zingaro. (Sinto piemontese)
[1] N. Loredana, La maschera e il pregiudizio storia degli zingari, Melusina, 1990, p. 161.
[2] Ivi, p. 168.
[3] P.P. Pasolini, Volagr eloquio, Editori Riuniti, 1987, p. 73.
[4] M. Angels Anglada, Il violino di Auschwitz, Editori Riuniti, 1997, p. 65.
[5] O. Friedrich, Auschwitz storia del lager 1940-1945, Baldini & Castaldi, 1994, pp. 53-54.
[6] O. Friedrich, Auschwitz, pp. 128-129.
[7] O. Friedrich, Auschwitz, p. 39.
[8] N. Loredana, Ivi, p. 178.
[9] O. Friedrich, Ivi, p. 77.
[10] N. Loredana, Ivi, p. 178.
[11] Ivi, p. 172.
[12] C. Stojka, Forse sogno di vivere. Una bambina rom a Bergen-Belsen, Giuntina, Firenze 2007.
[13] E. Trevi, Agnone, ebrei e rom, “Avvenire”, 9 gennaio 2011
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