Quando crudeltà è sinonimo di cultura

Fucilazione del 3 maggio 1808, dipinto di Goya

di Michela Buono

Inizierei cercando di capire cosa si intenda per crudeltà e per cultura. Se per crudeltà intendiamo chi non ha pietà per le sofferenze altrui, il significato potrebbe essere esteso, anche, a chi provoca volontariamente dolore.

E’ pur vero che per dolore non si intende solo quello fisico, anche la sofferenza morale è, senza dubbio, una pena. Ma non voglio soffermarmi su questo, mi preme, soprattutto, il considerare la crudeltà come un qualcosa di così efferato che sfocia spesso nel sadismo.


Mi riferisco a quei video, presenti su internet, che mostrano la barbarie umana nei confronti degli animali in tutto il mondo. Fino a non molti anni fa non mi sarei mai aspettata di vedere certe oscenità da parte dell’uomo nei confronti di chi non può né protestare, né difendersi. Ma, l’altro termine sul quale vorrei ragionare e far riflettere è “cultura”.

Dal mio punto di vista essa potrebbe essere vista come l’amore verso la conoscenza, il sapere e così via. Mi chiedo: cosa ha a che fare la cultura con la crudeltà. Com’è possibile che una macabra tradizione come la corrida, ad esempio, possa essere considerata un evento “culturale”? C’è chi, addirittura, vorrebbe che fosse inserita, come patrimonio dell’umanità, dell’Unesco. Partendo da questo presupposto molte altre forme di inciviltà da parte dell’uomo, tanto per citarne qualcuna, la caccia, gli stessi sacrifici animali supportati da sciocche superstizioni e, spesso, da credenze religiose, potrebbero esservi inserite.

La morte è un evento tragico, ancora di più se giunge dopo indicibili sofferenze ma, non capisco, cosa spinga gruppi di uomini ad accanirsi su di un essere vivente e a chiamarla cultura. Perché salvaguardare azioni tanto spregevoli quando dovrebbero, invece, essere condannate.

Dov’è qui il “bello” inteso in senso artistico, il “meritevole” frutto del lavoro dell’uomo, della sua intelligenza, che possa essere tramandato ai posteri? Perché, in fondo, si può parlare di “cultura” quando qualcosa è reputato da tutti come un bene ed è degno di essere valorizzato. Cosa c’è di tanto “pregiato” nella crudeltà? Forse perché le tradizioni secolari essendo, in effetti, delle consuetudini, sono viste come un qualcosa da proteggere e da perpetuare nel tempo.

Mi sembra che l’uomo il più delle volte, abbia paura ad ammettere le proprie malefatte o, forse, a considerarle tali, cosa ancora più tragica. Voglio solo sperare che questo “buio” mentale duri il meno possibile, considerando che oggi è molto più facile sapere ciò che accade e, soprattutto, decidere da che parte stare.

La cattiveria da una parte e l’ignoranza dall’altra, non credo esista una combinazione peggiore. Sono convinta, però, che le persone possano essere rieducate e che ciò debba essere fatto una volta per tutte. E’ difficile cambiare le abitudini ed anche la “moralità” di un popolo, qualunque esso sia ma, non è accettabile “far finta” di non accorgersi del dolore di un essere vivente.

Chiunque pensi che “forse”, un “giorno”, queste usanze spariranno da “sole” è secondo me in errore. Niente cambia o svanisce “d’incanto”, sono necessarie consapevolezza e volontà, se vogliamo veramente assistere ad una trasformazione. Cominciare a rendersene conto è già un buon inizio e a ciò va aggiunta, poi, l’educazione. Non ho la pretesa, da sola, di cambiare il mondo ma, se queste mie poche righe servissero anche ad una sola persona a rendersi conto, di quante “usanze” sbagliate ci siano, ne sarei felice. Almeno la mia fatica non sarebbe stata vana.  

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