Segni di speranza ad Aleppo

Aleppo - Foto: gentile concessione di padre Ibrahim Alsabagh

sistemazione curata da Silvio Mengotto

Mentre si moltiplicano gli appelli di papa Francesco alla comunità internazionale per la pace in Siria «è arrivata l’acqua – dice il padre francescano Ibrahim Alsabagh – in diverse zone di Aleppo. Dopo più di 50 giorni di assenza per noi è un grande segno di speranza».


Durante la quaresima la parrocchia di San Michele Arcangelo in Precotto (Milano) ha raccolto una considerevole somma donata alla Chiesa latina di Aleppo per la costruzione di un pozzo. I giovani sportivi dell’oratorio con entusiasmo hanno accolto l’invito di don Andrea Plumari e del parroco don Giancarlo Greco alfine di continuare, consolidare, il ponte di solidarietà  gemellandosi con la comunità di Aleppo. Il 28 maggio ’16, ospite nella parrocchia di San Michele Arcangelo, padre Ibrahim Alsabagh, frate siriano di 45 anni, vicario episcopale e responsabile della comunità latina di Aleppo ha raccontato la quotidianità della città e i segni di speranza che coinvolgono anche persone di fede diversa. 

Francescani davanti alle rovine - Foto: gentile concessione di padre Ibrahim Alsabagh

«Tra le mani del Signore»

«Sopra una piccola casa popolare di Aleppo arrivò un missile. Due ragazzi sono uccisi: Said di undici anni e Lias di diciotto anni.  Molti i feriti e la casa completamente distrutta.

Visitiamo i feriti nella clinica. Tra di loro un padre di famiglia, un fratello rimasto mutilato ad una gamba che sosteneva due famiglie delle quattro colpite. Nella nostra chiesa abbiamo celebrato una messa per i morti e, come prima emergenza, distribuito cibo e soldi. Successivamente, parlando dell’accaduto, ho avuto un faccia a faccia con la madre di Said e il padre di Lias.

Mi ha colpito molto la madre di Said che sorridente era in gran pace. Mi dicevo che forse non era ancora del tutto cosciente dell’accaduto, che la ferita era ancora calda e il dolore si sarebbe manifestato nei giorni successivi. Durante la conversazione la mamma di Said ha incominciato a ringraziare il Signore, a lodarlo, perché tredici su quindici persone, colpite da un missile, sono rimaste vive. Ringrazia il Signore perché è sicura che i due giovani uccisi crudelmente oggi sono “tra le mani del Signore”. Ho stretto loro la mano. Lei usciva con tanta pace e un sorriso. Un sorriso che mi ha sorpreso. Mi domando: è possibile affrontare la morte di un figlio con la pace nel cuore e con un sorriso? Di fronte alla morte di un bambino è possibile alzare un inno di lode al Signore? Sì, questo ho visto. Di fronte alla morte, a una grande sofferenza di una madre che perde un figlio si alza un inno di lode e ringraziamento al Signore. In questo ho visto la presenza dello Spirito Santo, che mentre permette il male ci dà una grande grazia per portare la nostra croce»

Padre Ibrahim con bambini - Foto: gentile concessione di padre Ibrahim Alsabagh

 

Il cammino dei martiri

«Seguo il filo dello Spirito Santo. Nella mia vocazione ciò che ho sperimentato ad Aleppo è una cosa semplice. Chi vive con il Signore ogni giorno cresce in comunione con lui e, come dice San Paolo, “non sono io che vivo ma è Gesù che vive in me”. Non c’è bisogno di tanti pensieri o di una ricerca intellettuale per prendere una decisione. Quando si decide scatta qualcosa dentro di noi che ha la forza simile all’istinto e che porta in una direzione.

Tante volte la via dello Spirito Santo organizza quel cammino di riflessione, di maturità intellettuale, per arrivare ad una certa decisione. Ciò che ho sperimentato è più semplice, spontaneo. Quando l’affronto si scatena un meccanismo come se fosse un istinto spirituale. Non so se amate gli animali, o se avete visto una lotta tra un gatto e un serpente. Un piccolo gatto, che non sa nulla della vita, si trova all’improvviso di fronte ad un serpente più grande di lui e, senza volerlo, dentro di lui esce un istinto che affronta il serpente scatenando un meccanismo teso ad uccidere il serpente. Questo esempio per spiegare ciò che oggi sento in me. Lo chiamo istinto spirituale che è fortissimo e che non ha bisogno di preparazioni. E’ simile all’istinto della madre quando sente il primo vagito del suo bambino nato o come quando il bambino pone la bocca sul seno e, istintivamente, incomincia ad uscire il latte. La madre comincia, anche se non lo ha imparato nel passato, a prendersi cura della vita del bambino con tanti dettagli e con tutta la forza di una madre. Così succede, o almeno, così ho sentito. E’ un meccanismo legato sicuramente alla nostra natura cristiana. Quando siamo ben nutriti in modo perseverante nel Signore, nella nostra vita si scatena questo istinto spirituale della carità che ci fa fare cose più grandi di noi, che non abbiamo mai pensato di fare. E’ legato anche alla nostra natura sacerdotale che ha un po’ di questo istinto materno. San Gregorio il grande parlava proprio di una paternità e maternità del sacerdozio. E’ come un istinto naturale, in noi spirituale, che spinge il sacerdote in modo molto più forte di se stesso andando incontro alla gente sofferente, per aiutare, per muoversi secondo ciò che lo Spirito Santo chiede di fare» 

Padre Ibrahim Alsabagh

Segni di speranza

«Partiamo dalla nostra vita cristiana. Non è così chiaro che dietro a queste mosse c’è una vera e diretta persecuzione verso i cristiani. Come sapete dalle notizie viene vista come una guerra civile. Anche in questa situazione, quando cadono missili sulle nostre teste nella zona Ovest di Aleppo controllata dall’esercito regolare, non si fanno tante differenze tra musulmani e cristiani. Qualche volta ci siamo sentiti come obiettivi. Durante la nostra Pasqua come regalo ci hanno dato centinaia di missili. Ci sono queste persecuzioni, ma non sempre possiamo dire che sono così visibili e chiare, non sempre questi missili, questo odio, viene rivolto direttamente e solo contro i cristiani.

I musulmani che stanno attorno a noi, che vivono nella nostra zona, oggi si sentono anche loro perseguitati dagli altri fondamentalisti che lanciano bombe e missili. Ricordo che cinque anni fa, quando è iniziata la crisi, parlando con i sunniti ho capito che loro fanno una lettura persecutoria, parlando poi con gli sciiti ho sentito dire loro la stessa cosa. Tutti, sciiti e sunniti, sentivano con amarezza di essere contemporaneamente odiati e obiettivo degli altri. Questa realtà è emersa anche quando come responsabili della Chiesa cattolica ci siamo incontrati con i capi musulmani sunniti della città. Dopo l’ufficialità tutta la seduta si è trasformata in un incontro non più ufficiale ma di amicizia, di condivisione con un alto livello di sincerità. Un nostro vescovo melkita, parlando con i capi musulmani disse che i cristiani erano sotto tiro dei jihadisti, il capo sunnita della città rispose dicendo che gli jihadisti ci odiano più dell’odio che hanno verso voi cristiani. Voi siete diversi, di un’altra religione e vi odiano, ma noi che siamo musulmani siamo considerati eretici e ci odiano maggiormente e vogliono ucciderci. E’ vero che c’è una persecuzione contro i cristiani, questo lo sentiamo come il loro odio, ma questi jihadisti odiano e uccidono tutti. Oggi c’è la tregua, diverse milizie hanno aderito ad essa e la rispettano mentre altre non la rispettano e continuano a lanciare missili sulle case e nelle strade: è un grande successo dopo cinque mesi di assenza. Oggi la situazione è meglio di un mese fa, ma speriamo in un cessate il fuoco perenne e in una pace duratura. La gente, che vive nella sofferenza da cinque anni, non ce la fa più»

Testimonianza a Precotto S. Michele Arcangelo - foto: Foto: gentile concessione di padre Ibrahim Alsabagh

 

I cristiani e il califatto

«Penso alla storia dell’Occidente quando è stato invaso dai saraceni fino al punto che avrebbero potuto conquistare tutto l’Occidente il quale, a sua volta si è mobilitato fermandoli in un particolare momento storico (1492). Quando parliamo della guerra parliamo sicuramente di un male. Uccidere è sempre un male. Prendere le armi, come diceva Gesù, non è scelta da fare. La violenza non è la risposta. Nel catechismo della Chiesa cattolica si parla del diritto alla difesa possibile in una situazione estrema. Dove sono presenti particolari condizioni (quattro o cinque) scatta la legittima difesa per difendere se stessi. Parto da questa logica e dalla parte di città che è sempre stata governata da Assad e dall’esercito regolare dove sono arruolati tantissimi soldati cristiani che difendono le loro case e il Paese. Da noi il servizio militare per i giovani è obbligatorio. Ci sono diversi giovani che sono stati arruolati anche prima della crisi e che, ancora oggi, sono nel servizio obbligatorio e devono prendere le armi e combattere»

 

Armarsi o non armarsi?

«E’ giusto fare questo? Chi vive nella città da cinque anni, e ancora oggi è presente, sa che la scelta più legittima è legata alla difesa della propria vita. Come ripeto sempre non è la scelta migliore. Abbiamo diverse esperienze di come sono finiti i cristiani quando hanno abbracciato le armi e la guerra, questo anche con lo slogan di difendersi. Con l’esperienza libanese abbiamo visto che i cristiani hanno preso le armi per difendersi dai drusi e dai musulmani, ma a un certo momento si sono uccisi tra loro. Ci sono stati anche cristiani che hanno messo le bombe nelle chiese per accusare gli altri.  Come Chiesa siriana l’esperienza libanese è un punto fermo. Come religione non vogliamo e non abbiamo voluto prendere le armi o preparare truppe cristiane. Abbiamo prontamente respinto l’obiezione dei mas media che anche i cristiani, come i drusi e i musulmani, imbracciavano le armi. Era una osservazione trappola. Diverse volte il governo, anche in modo ufficiale, ha voluto perfino armare i nostri giovani. I responsabili  della Chiesa, anche in modo ufficiale e chiaro, hanno detto di no e rifiutato questo.

Tutto questo non significa che non ci sono cristiani che hanno preso le armi per difendere loro stessi al di fuori dell’esercito. In Siria ci sono due villaggi, Serray e Carbao, dove i cristiani hanno sentito che l’Isis si avvicinava dalle montagne e si sono difesi. A Serray hanno comperato le armi, le video camere per la notte, costruito cancelli e muretti combattendo per diversi giorni, notte e giorno. Tutti i giovani hanno fatto sempre la guardia difendendo il loro piccolo paese dall’Isis. Si tratta di un paese molto chiuso dove tutti si conoscono e la maggioranza è cristiana. In questo villaggio c’è una mentalità forte di montagna, resistente, combattente. Tutti erano uniti. Lo stesso nel paese di Carbao nel centro della Siria.  Ma la situazione non è così quando si tratta di città come Damasco o Aleppo dove i cristiani sono sempre stati mescolati con i sunniti, sciiti, curdi e drusi. Nelle grandi città è molto difficile parlare di una difesa con truppe armate nei quartieri cristiani. Come Chiesa continuiamo a considerare legittimo il presidente eletto dove, ancora nell’ultima elezione, ha riscosso molti voti positivi. Anche perché ha manifestato la sua volontà di servire il Paese e difendere tutti i cittadini. Verso chi seminava la morte il presidente ha teso le mani proponendo un atto di riconciliazione»

Il punto fermo e l’obiezione di coscienza

«Per noi il punto fermo è l’esercito regolare a difesa del Paese dove i cristiani vengono arruolati per svolgere questa difesa. Sicuramente noi li incoraggiamo. C’è anche una corrente di cristiani che dice “ma noi che c’entriamo con questa guerra? Noi scappiamo e non vogliamo fare il servizio militare, lasciamo il Paese e scappiamo”. Oggi abbiamo un impoverimento terribile di giovani maschi, rimangono le donne con i bambini mentre gli uomini  scappano. La situazione è molto difficile anche perché ha creato uno squilibrio. Come cristiani ci hanno penalizzato e privato di dire che anche noi vogliamo difendere il Paese insieme a tutti i cittadini che lo vogliono. I mas media ripetono continuamente che non è giusto che i sunniti e curdi muoiano mentre i cristiani affermano che non è la loro guerra. Tante volte è la nostra guerra perché qualcuno deve difendere le città dall’Isis. Da noi non si capisce perché non sia possibile l’obiezione di coscienza. Nella nostra realtà non è possibile sostituire il servizio militare con un servizio civile. La difficoltà è data da una mentalità rigidità del governo che non si riesce a comprendere. C’è chi riesce ad imbracciare le armi e combattere, ma altri, per motivi di coscienza, anche se addestrati non c’è la fanno.

Come responsabili delle comunità cristiane abbiamo tentato di spingere in tale direzione, ma questo discorso era impossibile»

( 28 maggio ’16 )  

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