C/O realizza fino a 15 mostre all’anno ed espone fotografi famosissimi come Annie Leibovitz, Richard Avedon, Peter Lindebergh, Iring Penn, Nan Goldin, Man Ray; organizza incontri con discussioni su temi di fotografia, architettura e design con personalità come Daniel Libeskind, René Burri e Leonard Freed. C/O indica esattamente il termine postale “presso”, che dà l’idea di un indirizzo temporaneo. Il termine in inglese sta per “care of”, ossia “prendersi cura” e denota, nel caso della Galleria, il ruolo d’intermediario per fotografi, famosi e non, provenienti da tutte le parti del mondo. – La galleria C/O ha organizzato, dal 7 maggio fino al 26 giugno, l’esposizione di Fritz Eschen “Berlin unterm Notdach”, che racconta un capitolo tragico della storia della città. Le fotografie hanno una fortissima valenza storica. La mostra era impreziosita dalle visite guidate organizzate dallo storico Arnulf Baring. Essa è una raccolta di 120 foto, scattate tra il 1945 e il 1955, che narra il periodo dell’immediato dopoguerra e della Guerra Fredda a Berlino.
Immediatamente dopo la caduta del Muro, Berlino è divenuta velocemente la capitale mondiale dell’arte. All’inizio la scena si è espansa nella parte orientale della città, dove gli spazi erano enormi e gli affitti più che abbordabili. La distinzione tra bar, club e arte era solitamente difficile, poiché una cosa si fondeva con l’altra.
Le gallerie d’arte, i club si trasferirono nei giganteschi spazi vuoti, lasciati isolati e abbandonati all’incuria del tempo, perché situati nell’ex zona di confine, adiacenti al Muro. Negli anni ’90 è stato “disegnato” un vero e proprio “distretto” dell’arte nella circoscrizione di Berlin-Mitte: tutto ruotava attorno alla strada “Auguststrasse”.
Oggi la situazione è cambiata, il processo di ristrutturazione e il conseguente aumento degli affitti ha “scacciato” gli artisti e spostato la scena artistica in altre zone della città, dove vi sono, secondo le stime, più di 300 gallerie e vivono all’incirca 20.000 artisti.
Due tra le più famose istituzioni in Berlin-Mitte, che continuano ad avere un grandissimo successo e che sono situate in giganteschi edifici, sono ancora lì: il Tacheles e la Galleria C/O, con sede in quello che una volta era l’Ufficio Postale Reale. Purtroppo si prevede che entrambi, in breve tempo, dovranno lasciare le loro sedi e trasferirsi altrove. La fondazione della Galleria C/O nasce dall’incontro fortuito nel 1999 a Berlino di Stephan Erfurt, impegnato nel suo ultimo reportage per FAZ, con Marc Naroska e Ingo Pott.
Ingo Pott è un importante architetto tedesco. È stato tra i fautori della ricostruzione del Reichstag. Ha diretto fino al 2005 altri progetti internazionali per conto dello studio architettonico “Foster e Patners” ed ha fondando anche il proprio, “Pott Architects”, nel 2001. Sotto la sua supervisione l’ex Ufficio Postale Reale è stato adattato a sede della Galleria C/O. Marc Naroska ha studiato Comunicazione all’Università di Potsdam ed è divenuto presto un noto designer internazionale.
Per la Galleria crea, in modo eccellente, pure la parte visuale, grafica dei progetti. C/O realizza fino a 15 mostre all’anno ed espone fotografi famosissimi come Annie Leibovitz, Richard Avedon, Peter Lindebergh, Iring Penn, Nan Goldin, Man Ray; organizza incontri con discussioni su temi di fotografia, architettura e design con personalità come Daniel Libeskind, René Burri e Leonard Freed. Particolarmente importante sono i laboratori per bambini e la sezione “Talents”, dedicata ai talenti. C/O indica esattamente il termine postale “presso”, che dà l’idea di un indirizzo temporaneo.
Il termine in inglese sta per “care of”, ossia “prendersi cura” e denota, nel caso della Galleria, il ruolo d’intermediario per fotografi, famosi e non, provenienti da tutte le parti del mondo. C/O è divenuta in soli dieci anni, con le sue letture, con le sue mostre e i suoi laboratori una sorte di Forum Internazionale di Dialoghi Visivi ed è una delle istituzioni più importanti di Berlino. Il “Postfuhramt”, l’ex Ufficio Postale Reale, è stato terminato di costruire nel 1881 dall’architetto Carl Schwatlo.
All’interno dell’edificio, oltre a uffici e scuole, venivano depositati 250 cavalli con le relative carrozze, che costituivano il mezzo di trasporto pubblico della capitale di una Germania da poco unificata (1871). Negli anni venti le scuderie furono abbattute per fare spazio ai garage per le auto, divenuti definitivamente il nuovo mezzo di trasporto pubblico nelle società industrializzate. Dopo la guerra, l’edificio rimase nel settore russo ed ebbe diversi usi sotto il governo della DDR.
Soltanto con la riunificazione della città si portarono a termine i lavori di ristrutturazione iniziati negli anni ’70. È dal 2006 che gran parte degli spazi della struttura sono utilizzati dalla Galleria C/O. L’edificio porta con sé i segni evidenti della turbolenta e tormentata storia della città di Berlino, laboratorio delle ideologie politiche del 20° secolo. Ad esempio le pareti conservano ancora i buchi dei proiettili del conflitto mondiale, le carte da parati tradiscono lo stile della Repubblica Democratica.
Nelle sale dell’ufficio postale è stata allestita la prima sala pubblica per seguire i giochi olimpici del 1936 in Germania nella prima diretta televisiva in assoluto.
di Emilio Esbardo
“Berlin unterm Notdach” – La Berlino del dopoguerra
La galleria C/O ha organizzato, dal 7 maggio fino al 26 giugno, l’esposizione di Fritz Eschen “Berlin unterm Notdach”, che racconta un capitolo tragico della storia della città. Le fotografie hanno una fortissima valenza storica. La mostra era impreziosita dalle visite guidate organizzate dallo storico Arnulf Baring.
Essa è una raccolta di 120 foto, scattate tra il 1945 e il 1955, che narra il periodo dell’immediato dopoguerra e della Guerra Fredda a Berlino. Gli scatti hanno un forte impatto, sono diretti, crudi, realistici: ci mostrano una città in ginocchio, ridotta ad un cumulo di macerie. Simboli come il parco Tiergarten spoglio di alberi, il quartiere medievale “Nikolaiviertel” distrutto, la chiesa Gedächtniskirche danneggiata pesantemente dai bombardamenti.
Dalle foto emerge il difficilissimo periodo di ricostruzione, di ritorno ad una vita normale, fatta di miserie e stenti. Era una lotta alla sopravvivenza tra le rovine della città, quando una parte della popolazione, scampata alla guerra, decedeva a causa dei rigidi inverni. La maggioranza delle abitazioni erano infatti senza porte, senza finestre o addirittura senza pareti. L’anno zero, come è stato definito, era caratterizzato dal mercato nero e dall’incontro-scontro tra vincitori e vinti.
La vita dello stesso autore, Fritz Eschen, s’intreccia con la storia della città e dei suoi avvenimenti più tragici. Eschen è nato e cresciuto a Berlino, dove nel 1928 ha iniziato la sua carriera come fotografo indipendente, o meglio, come si definiva lui stesso “fotoamatore autodidatta”, poiché non aveva frequentato nessuna scuola al riguardo. Nel 1927 ha sposato l’ebrea Rose Salomon, che morirà assieme al loro figlio Peter ad Auschwitz.
Nel 1933 gli verrà ritirato il tesserino giornalistico: Eschen continuerà, comunque il suo lavoro, pubblicando sotto pseudonimo. Dopo la guerra ritorna a lavorare legalmente come fotografo, immortalando nei suoi scatti il dopoguerra berlinese. Fritz Eschen muore nel 1964 mentre lavorava a un fotoservizio.
di Emilio Esbardo
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