Democrazia, libertà e diritti umani - ilb berlin - Festival di letteratura

Collage & Foto: Emilio Esbardo

di Emilio Esbardo

Come d’abitudine, il Festival di Letteratura Internazionale 2017 a Berlino si è svolto a settembre (dal 6 al 16), con un ricco e variegato programma, che ha spaziato dalla prosa alla lirica. Al Festival hanno partecipato oltre 200 autori ed autrici. La rassegna è stata divisa nelle sezioni: “Letteratura internazionale”, “Riflessi”, “Scienza e umanesimo”, “Ingiustizie nel 21simo secolo”, “Scritture giovani”, “Giornata del fumetto”, “Qui! Qui! Lì”, “L’arte del montaggio”, “Islamismo”, “Versopoli”, “Nuove voci tedesche”, “Incontri di giovani autori”, “Realizzato in Germania”, “Ricordi” e “Artisti”.


L’inaugurazione ufficiale è stata preceduta dalla proiezione del film What matters (Ciò che conta), nel quale studenti e personalità del mondo letterario come Ai Weiwei, Elfriede Jelinek, David Grossman, Vivienne Westwood, Simon Rattle, Patti Smith, Herta Müller, hanno tenuto letture riguardanti la Dichiarazione universale dei diritti umani: Il titolo dell’edizione del festival di quest’anno è stato proprio Human Rights (diritti umani); tra i grandi nomi presenti vi erano, tra gli altri, Donna Leon, Sharon Dodua Otoo, Robert Menasse, Peter Schneider. Inoltre il festival è stato un’ottima vetrina per le promesse del panorama letterario mondiale.

Il discorso di apertura, mercoledì 6 settembre alle ore 18.00,  è stato tenuto da Elif Şafak, la scrittrice più letta in Turchia. A causa dei suoi libri, tra i cui temi principali vi sono il cosmopolitismo e la tolleranza religiosa, è stata accusata di “diffamazione all’identità turca” in base all’articolo 301 del Codice penale. La denuncia è avvenuta dopo la pubblicazione del suo secondo romanzo La bastarda di Istanbul (scritto in inglese), il più venduto nel 2016 in Turchia ed elogiato dalla critica. Il suo debutto letterario è datato 1994 con la pubblicazione della storia Kem Gözlere Anadolu.

Nata il 1971 a Strasburgo, vive in Gran Bretagna e a Istanbul. Il padre è il filosofo turco Nuri Bilgin, la madre la diplomatica Şafak Atayman.

La conferenza di Şafak si è concentrata sulla crisi della Democrazia. La scrittrice si  è scagliata contro populismi e dittatori, definendo tristi i Paesi non democratici. “Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti”, ha affermato, “Essi sono dotati di ragione e coscienza e dovrebbero essere uniti tra di loro nello spirito di fratellanza”.

Khaled Khalifa - foto: Emilio Esbardo

Khaled Khalifa - foto: Emilio Esbardo

Peter Schneider - Foto: Emilio Esbardo

Libro di Peter Schneider che porta il suo autografo del 1979 e l'autografo attuale. Avevo acquistato il libro di seconda mano - foto: Emilio Esbardo

Pia Mancini - Foto: Emilio Esbardo

Arjun Appadurai - Foto: Emilio Esbardo

Edward Snowden - Foto: Emilio Esbardo

Arundhati Roy - Foto: Emilio Esbardo

Raoul Schrott - Foto: Emilio Esbardo

La mia giornata del 7 settembre è iniziata con la discussione tra Paul Schrott e Josef M. Gassner sul Big Bang. L’incontro era inserito nella sezione Scienza e umanesimo. Al termine sono andato via con la rinnovata consapevolezza della piccolezza dell’uomo nella vastità dell’universo. Raoul Schrott, nato nel 1964, cresciuto nel Tirolo, a Tunisi e a Zurigo, laureato in Letteratura e Linguistica, ha pubblicato numerosi libri di generi differenti come Finis Terrae e Tristan da Cunha oder Die Hälfte der Erde.

Schrott ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Letterario berlinese (Berliner Literaturpreis). Josef M. Gassner, classe 1966, ha studiato Matematica e Fisica a Ratisbona e a Monaco. Lavora come docente e libero professionista.

Il giorno successivo, l’8 settembre, si è tenuta l’interessante conferenza tra lo scrittore Khaled Khalifa e il direttore del Festival Ulrich Schreiber, i quali hanno discusso sulla situazione in Siria e del progetto I rifugiati in tutto il mondo  (Refugees Worldwide): ideato nel 2016 dagli organizzatori del Festival di Letteratura per affrontare il tema della migrazione, dei rifugiati, attraverso differenti punti di vista e non solo dalla prospettiva europea. Autori ed autrici, che hanno vissuto direttamente il dramma, lo hanno descritto nelle loro opere letterarie. I reportage di tali scrittori sono confluiti nell’omonimo libro Refugees Worldwide, pubblicato in tedesco da Wagenbach Verlag e in inglese da Ragpicker Press.

La conferenza stampa di Khaled Khalifa è stata molto intensa, perché mi ha fatto percepire il dramma quotidiano che le persone stanno vivendo in Siria.

Khaled ha raccontato di come ha visto tutti i suoi amici decedere, uno dopo l’altro, e delle terribili notti insonni causate dai bombardamenti vicino casa sua.

In una seconda fase, la scrittura è divenuta una medicina, una sorta di alleviamento dagli orrori della guerra. Nella prima fase, quella che precede l’elaborazione di ogni dramma, ha fissato per giorni interi le pareti di casa, senza alcuna reazione e senza la capacità di riportare su carta, ciò che stava avvenendo. Il suo maggior desiderio era che le pareti si aprissero per magia, catapultandolo nuovamente alla normalità e alla quotidianità prebellica.

Ad un certo punto rendendosi conto che le pareti, fredde e mute, non si sarebbero mai aperte, ha compreso che dietro di esse avrebbe dovuto iniziare a scrivere per testimoniare ciò che stava accadendo in Siria e ad immaginarsi come sarebbe proseguita la sua vita e come sarebbe stato il futuro della sua patria. L’esistenza attuale consiste nell’arte di dell’arrangiarsi per la sopravvivenza.

Le domande più frequenti tra amici e conoscenti sono di vitale importanza: ad esempio come chiudere al meglio una finestra affinché non esploda in frantumi a causa dei bombardamenti. 

Può poi la scrittura lasciar percepire ai lettori cosa significhi vivere in una normalità fatta di continue uccisioni, ferimenti, prigionie, mancanza di cibo, acqua etc.?

Prima la morte era un’eccezione ora lo è la vita. Che sensazione provano i singoli individui senza speranza nel futuro, senza sapere quando il conflitto possa finalmente cessare?

Tra le  persone si discute spesso di scappare via, di tentare di raggiungere le città tedesche e svedesi. Lui personalmente si rifiuta di fuggire, perché Aleppo è il luogo dove è nato e dove vuole morire. Andare in esilio per lui corrisponderebbe ad una sorte di morte interiore. In Siria vi sono ancora 17 milioni di abitanti che non hanno voltato le spalle alla propria patria. Molti discutono della ricostruzione, soprattutto le generazioni cresciute a conflitto già scoppiato, le quali non conoscono una normalità fatta di pace e di prosperità comune.

Khaled Khalifa, classe 1964 di Aleppo, è poeta, scrittore e sceneggiatore, autore di quattro libri. Per la sua opera In Praise of Hatred, nel 2008 è stato finalista per il premio International Prize for Arabic Fiction.

Della sezione di Arrivo – Reportage letterari di autori rifugiati (Ankunft – Literarischen Reportagen von geflüchteten Autoren) ho seguito anche l’incontro con Daher Aita moderato da Peter Schneider, tenutosi domenica 10 settembre.

Daher Aita, nato a Damasco nel 1966, lavorava in ambito teatrale prima che scoppiasse la guerra. Costretto sulla sedia a rotelle sin dall’infanzia, ha trovato riparo a Marienberg in Sassonia insieme alla sua famiglia. 

Aita, nonostante sia stato contento di essere ospite al Festival e di essere al sicuro in Germania, dichiara che non riesce ad essere felice a causa di ciò che sta accadendo in Siria.  È come se percepisse sulla propria pelle tutte le cose terribili e le tragedie che il suo popolo sta subendo.

“Dio ha scatenato l’inferno contro i miscredenti”, ha affermato, “è questo quello che si potrebbe pensare dopo sette anni di una guerra che sembra non avere fine. In Europa vi è una mancanza d’informazione sul terrore e sulla disumanizzazione  in Siria”.

Aita non è più il giovane studente, che avrebbe voluto ardentemente studiare Teatro in Germania. Il conflitto lo ha trasformato radicalmente e lo si può comprendere facilmente se si pensa che ha perso suo fratello, ucciso brutalmente dopo essere stato torturato a lungo.   

Interessante è stato anche il racconto di Daher sul suo arrivo in Germania; del “miracolo” della neve, che ha lasciato i suoi figli a bocca aperta, i quali pregavano affinché non si sciogliesse presto: e così è avvenuto.

In seguito sono giunte le difficoltà e il duro processo d’integrazione; sua figlia che trascorre il tempo giocando con una bambola che rappresenta quell’amica tedesca che vorrebbe tanto avere ma che non ha. Poi vi sono le difficoltà burocratiche e la mancanza di tempo dei tedeschi per fermarsi a parlare a causa dei loro impegni quotidiani. Nonostante ora viva in un Paese democratico, dove vi è libertà di azione e di parola, ha un’intensa nostalgia della Siria e della SUA SIRIA, quella del periodo prebellico, che nessuno mai potrà, purtroppo, restituirgli.

Venerdì 8 settembre alle ore 18.00, ho seguito il congresso intitolato La lunga notte della Democrazia, durante il quale personalità provenienti da differenti nazioni hanno discusso sul concetto di Democrazia e di come essa, attualmente, venga fortemente osteggiata  a causa della rinascita di movimenti antidemocratici.

Ad introdurre la serata è stato Jan Schulte-Kellinghaus, responsabile programmazione dell’emittente radiotelevisiva RBB, il quale ha confermato la sua preoccupazione per il pericolo dei populismi a livello internazionale. In Europa, dal suo punto di vista, la situazione è abbastanza buona, a parte le eccezioni di Polonia e d’Ungheria, e dello scampato pericolo di Marine Le Pen in Francia. Il problema maggiore non è nel riconoscimento del problema ma dalla mancanza di una strategia. A livello internazionale, nessuno sembra aver trovato una piano chiaro contro i populismi ed anche la stampa sembra vacillare nel buio. Bisognerebbe creare più programmi culturali, di discussione. Anche nella benestante Germania di Angela Merkel non vi è più niente di sicuro: in suolo tedesco in molti utilizzano termini quali Systempresse (stampa di sistema) e Lügenpresse (stampa bugiarda) – pericolosissime espressioni del linguaggio demagogico, che genera e favorisce i germi dell’antidemocrazia.

Secondo Arjun Appadurai, l’Unione Europea è ancora un processo in corso, non terminato, che si trova in una frase cruciale, molto delicata ed importante. Appadurai, nato il 1949 a Bombay, è un antropologo statunitense autore di numerose pubblicazioni sulla globalizzazione. Insegna presso la New York University

Ha spiegato che la storia d’Europa è fatta di contraddizioni; i Paesi europei non hanno solo trasportato merci e progresso ma anche violenze atroci e morte. Il primato europeo  è cessato dapprima con gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e ultimamente con lo sviluppo dei Paesi asiatici e la rinascita della Russia. A partire dal 1989 con la caduta del Muro e la fine della guerra fredda, Libertà è divenuta Libertà di mercato e la Democrazia si è ridotta a Libertà di consumi.  In Europa si è accentuato in maniera esponenziale lo squilibrio economico tra le nazioni mediterranee e quelle del nord: tale squilibrio, insieme all’aumento delle iniquità tra ricchi e poveri, ha portato in crisi la Democrazia nel vecchio continente. I problemi europei sono problemi che riguardano oramai tutto il globo e l’Europa è considerata come un laboratorio sperimentale per la costruzione di un mondo senza confini, definito con il termine tecnico di Ordine globale (Global Order).

I valori europei potranno diventare valori universali?

Dopo tale quesito, è stato interessante il discorso di Ralf Fücks, il quale ha affermato che ci stiamo accingendo a vivere in un mondo post occidentale.

Con la globalizzazione e la conseguente esportazione del benessere e del modello di società  basate su competenze, formazione scolastica e professionale in ex aree del terzo mondo, è cessato il monopolio occidentale. Sia in Europa che negli Stati Uniti bisogna dare risposte alle insicurezze dei cittadini, dando più uguaglianza e giustizia sociale, concedendo a tutti la possibilità di realizzarsi a livello personale e professionale. Le persone debbono apprendere ad avere più coraggio e ad impegnarsi attivamente per affrontare le dure sfide che ci attendono, come ad esempio il cambiamento climatico. Le sfide non vanno considerate come problemi insormontabili ma da risolvere con “la capacità di apprendimento, che le persone possono sviluppare all’interno delle società. La radice della libertà è il coraggio di partecipazione alla vita sociale e politica, per formare un mondo dagli spazi aperti per tutti”.

NON ABBIATE PAURA.

Ralf Fücks, tedesco, classe 1951 di Edenkoben, è un politico appartenente a “Alleanza 90/I Verdi”. Per anni è stato nel consiglio di amministrazione della Fondazione Heinrich Böll. Nel 2017 ha pubblicato il libro dal titolo Freiheit verteidigen – Wie wir den Kampf um die offene Gesellschaft gewinnen, che si potrebbe tradurre come “Difendere la libertà – Come possiamo vincere la battaglia per una società aperta”.

Di Pia Mancini mi è rimasta impressa la sua considerazione che oggigiorno “avere voce in capitolo è un incidente di nascita”, ossia ad esempio: una cosa è nascere a New York, un’altra in Libia. Anche Mancini ha evidenziato l’assoluta incapacità dei giovani di creare delle risposte alla globalizzazione, che si potrebbe sintetizzare con la frase: “Cosa diamine dobbiamo fare?” (What on earth are we going to do next?).

Pia Mancini è, per dirla a parole sue, un’esperta di “Democrazia liquida”. È cofondatrice dell’app online DemocracyOS, che consente al popolo argentino di partecipare attivamente ai processi democratici. Il suo TED talk (1) Come aggiornare la Democrazia all’era moderna (How to Upgrade Democracy for the Modern Era), ha ricevuto più di un milione di visite.

Peter Schneider ha iniziato il suo discorso, come d’abitudine, con una provocazione.

Contraddicendo tutte le sue affermazioni precedenti, con le quali criticava fortemente “questa Europa”,  al congresso ha ammesso, però, che essa è, nonostante tutto, la migliore “casa” del pianeta. A chi utilizza la parola “Europa” come una parolaccia, fa notare che gli abitanti del vecchio continente vivono in una situazione molto migliore rispetto al resto di tutti i cittadini del mondo, i quali non conoscono, ad esempio, la divisione religione-stato, la giustizia, i diritti e gli aiuti sociali.

Persino Schneider menziona il grave problema del cambiamento climatico, affermando che se non si pone un rimedio immediatamente, vi sarà un vero e proprio esodo epocale di milioni di persone che abbandoneranno luoghi non più abitabili del pianeta. A conclusione del suo  discorso, ha fatto un appello ad Angela Merkel, affinché elimini il nocivo gioco del Prezzo al ribasso (Dumping preis), che sta rovinando il mercato e l’economia africana. 

Peter Schneider, nato il 1940 a Lubecca è scrittore di romanzi, saggi e sceneggiature. Dopo aver studiato Germanistica, Storia e Filosofia, ha lavorato come autore di discorsi durante la campagna elettorale per il Cancelliere Willy Brandt.  Il suo racconto Lenz (1973) è divenuto un libro cult per gli uomini di sinistra delusi, dei quali Schneider descrive il loro atteggiamento nei confronti della vita dopo il fallimento della loro utopia e della loro rivolta.

Schneider ha pubblicato 20 libri; alcuni sono stati tradotti in 25 lingue. Insegna come professore ospite nelle università americane.

Riguardo la sopracitata Polonia, Adam Michnik ha spiegato che il governo non rispecchia la gente. Il paradosso, dal suo punto di vista, è che si sta formando un processo di germanizzazione della Polonia (intende la Germania nazista, tanta odiata per ragioni storiche dai polacchi) mentre la Germania, nel frattempo, è divenuta un Paese normale e democratico.

Adam Michnik, nato il 1946 a Varsavia, è giornalista, saggista e direttore di Gazeta Wyborcza, il più grande quotidiano polacco. È conosciuto in tutta Europa per essere un attivista anti-comunista ed un anti-totalitarista agguerrito; motivo per cui, durante la Guerra Fredda, è stato sospeso dall’università e imprigionato nel 1968 all’età di ventidue anni. Nel 2001 è stato insignito del Premio Erasmo.

Edward Snowden ha partecipato alla conferenza grazie al collegamento Skype.

Ha iniziato il suo discorso reclamando il diritto alla privacy e alla libertà. Soprattutto in un mondo dove tutti si mettono in mostra, è fondamentale il diritto di poter stare soli con se stessi, di potersi isolare, con lo scopo di sviluppare la capacità di riflettere correttamente ed in modo strutturale.  L’errore della nostra generazione è stato di aver considerato i nostri diritti come qualcosa di scontato. Ecco l’importanza di pensare, di riflettere bene sulle cose e di porsi dei buoni quesiti.

Ad esempio: da dove provengono i nostri diritti? Ho il diritto di crearne di nuovi?

Stiamo vivendo un nuovo periodo storico, nel quale i diritti che abbiamo ereditato vengono messi in discussione. La nuova epoca è nata con la diffusione di internet, che di colpo ha trasformato i problemi locali in problemi globali. La rete, che avrebbe dovuto facilitare la vita delle persone, si è però rivelata un’arma a doppio taglio: inconsapevolmente stiamo cedendo le nostre libertà. Internet, non tutelando la nostra privacy, favorisce tale processo. Se non si reagisce, un giorno,  potremmo svegliarci ed essere colti impreparati ad eventi funesti.

Snowden, dopo questo preambolo, si è detto ottimista. La tecnologia è la migliore invenzione dell’essere umano: essa può perfezionare le esistenze di ogni individuo, se utilizzata correttamente. Ma la tendenza a creare dei “superstati”, inseriti  in un mondo globalizzato, utilizzando anche internet, sta avvelenando le nostre esistenze: bisogna solo sperare che i fautori di questo piano non diventino troppo aggressivi da toglierci di botto tutte le nostre libertà. “Dovremmo avere una volontà politica?”, si chiede Snowden e lancia un appello: “Stand up for yourself – express yourself”, ossia: “Difendi te stesso – esprimi te stesso”.

Edward Snowden, nato il 1983 a Elizabeth City, è un esperto di sicurezza informatica ed ex tecnico della CIA. In collaborazione con il giornalista Glenn Greenwald del quotidiano inglese The Guardian, ha reso pubblici a livello internazionale il progetto delle intercettazioni di massa tra Stati Uniti e Unione europea attraverso i programmi di sorveglianza informatici PRISM e Tempora. Snowden ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il il premio Whistleblower nel 2013. Sempre nello stesso anno è stato nominato “personaggio dell’anno” da The Guardian. Attualmente vive in Russia.

La serata è stata moderata da Priya Basil, scrittrice e saggista, nata a Londra nel 1977. Cofondatrice nel 2010 di Authors for Peace (Autori per la pace), ha ideato e curato in collaborazione con il Festival di letteratura Il congresso internazionale per la democrazia e la libertà.

Wolf-Biermann - Collage & Foto: Emilio Esbardo

Donna Leon & Annett Renneberg - Collage & Foto: Emilio Esbardo

Annett Renneberg - Foto: Emilio Esbardo

Eva Menasse - Foto: Emilio Esbardo

Saraya Gomis, Marie Rosenkranz, Patrícia Carreira, Vincent-Immanuel Herr - Foto: Emilio Esbardo

Pola Oloixarac - Foto: Emilio Esbardo

Libro con la firma dell'autrice - Foto: Emilio Esbardo

Catherine Banner - Foto: Emilio Esbardo

Marie NDiaye - Foto: Emilio Esbardo

Lize Spit - Foto: Emilio Esbardo

Libro firmato dall'autrice - Foto: Emilio Esbardo

Riguardo la sensazione diffusa di come le democrazie del nostro mondo occidentale siano in pericolo, anche a causa delle nuove tecnologie che hanno cambiato radicalmente il nostro modo di vivere e di pensare, è stato interessante l’evento intitolato “I social media – le tecnologie digitali rendono impossibile la democrazia?” di domenica 10 settembre. Il tema di tale incontro è stato descritto in maniera interessante sull’opuscolo ufficiale dagli organizzatori:

Sorveglianza di massa, hacker e attacchi informatici, notizie false, troll provocatori – tutto questo fa parte della realtà digitale. Allo stesso tempo, Internet offre una maggiore trasparenza, crea nuovi modi di condividere conoscenze e intavolare discussioni e dà voce a molte persone; cosa precedentemente impossibile. Ma la democrazia si basa sulle diversità e sulle divergenze di opinioni, mentre internet è pieno di algoritmi, che offre ai suoi utenti cose che essi già conoscono. Come muta tutto ciò il nostro rapporto con noi stessi e con gli altri? Possiamo almeno influire sullo sviluppo del digitale?

Il congresso è stato moderato da Thomas Meaney, giornalista, tra l’altro di “The New Yorker” e di “Guardian”. Gli ospiti erano: Sarah Diefenbach, professoressa di Psicologia del lavoro e coautrice del volume “Depressione digitale: come i nuovi media cambiano il nostro modo di recepire la felicità”; Jeanette Hofmann, politologa e professoressa di “Politica di Internet”; Eva Menasse, scrittrice e giornalista viennese.

Durante la discussione vi sono stati pareri molto contrastanti, ma anche opinioni in comune come la condivisione di alcuni aspetti negativi: Internet – quello che agli albori era un veicolo per ricercatori ed intellettuali per diffondere le proprie opinioni senza più le mediazioni di giornalisti e case editrici, si è mutato nel frattempo anche in un mezzo attraverso il quale diffondere discorsi di odio e d’incitazione alla violenza.

Eva Menasse è molto scettica su Internet, che, dal suo punto di vista, è concentrato nelle mani di pochi giganti del settore come Google e Facebook.  La rete, a livello educativo, promuove una formazione generalista e non di specializzazione. I nostri figli vengono disabituati a concentrarsi su un unico obiettivo. Inoltre molta gente non si rende conto di gravi effetti negativi come la sottrazione dei dati personali.

Secondo la scrittrice, Internet è stato creato con secondi fini con lo scopo di delimitare le nostre libertà: i social, che a prima vista sono gratuiti, ci vengono offerti come mezzi di  distrazioni di masse, esattamente come il calcio o come il Colosseo ai tempi dei romani. A distrarre le masse e, addirittura, a diffondere paure tra di esse, sono le notizie che si diffondono celermente in tutto il pianeta. Ad esempio qualsiasi cosa accade in Cina, essa viene percepita a livello globale, facendocela sentire vicina come se fosse una minaccia incombente per tutti. Inconsciamente un senso di paranoia e di paura porta a far emergere il lato irrazionale delle persone, che agiscono così più con la pancia che con la testa.

Di parere opposto a Eva Menasse è Jeanette Hofmann, la quale sostiene che Internet sia una struttura normale, che fa parte delle nostre società e che per apprendere ad utilizzarlo in maniera positiva, bisogna prima imparare a conoscerlo. Dal suo punto di vista, Internet in se non è una tecnologia malvagia bensì è l’uso che se ne fa che può essere malvagio. A risolvere il problema potrebbe essere l’utilizzo di una regolamentazione internazionale: di una legge antitrust ad esempio. I giornalisti hanno un codice etico ben definito; Google e Facebook no.  

A tale affermazione Eva Menasse ha chiesto ad Hofmann, in modo retorico, chi dovrebbe essere incaricato nella formulazione del codice di regolamentazione con codici e leggi valide a livello internazionale. Ed ha aggiunto che è già stato causato un danno irreversibile: negli anni novanta, le persone, ancora all’oscuro del pericolo a cui andavano incontro hanno messo in circolazione i loro dati personali, promuovendo cosi inconsapevolmente il cosiddetto “Capitalismo dei dati”. Le nostre generalità sono oramai state vendute e non abbiamo nessuna idea quali oscuri percorsi esse abbiano fatto. 

Sabato 9 settembre alle ore 15.30 vi è stato un altro importantissimo incontro legato al Congresso internazionale per la Democrazia e la Libertà, intitolato: “La generazione perduta, giovane, dinamica, disoccupata”. 

A moderare il dibattito è stato Vincent-Immanuel Herr, storico, attivista e femminista, che ha dato vita ai progetti “Young European Voices” e “FreeInterrail”.

A discutere sulla situazione delle giovani generazioni in Europa vi erano Patrícia Carreira, portoghese, membro della “Academia Cidadã”, il cui “obiettivo principale è quello di promuovere una cittadinanza attiva e di creare uno sviluppo basato sui forti principi di sostenibilità sociale, economica e ambientale. Ha l’ambizione di rafforzare le persone e le organizzazioni nell’esercizio dell’approfondimento della democrazia”; Saraya Gomis, attivista politica che lotta contro la discriminazione nelle scuole, insegna presso l’istituto Ernst Reuter nel difficile quartiere berlinese di Wedding; Marie Rosenkranz, dirigente del progetto “La democrazia ha bisogno di te” (Demokratie braucht Dich), fondato dalla Think Tank Polis180 per coinvolgere i giovani alla politica attiva.

Come già si evince dal titolo, uno dei maggiori problemi europei è l’alta percentuale di disoccupazione giovanile, che raggiunge il picco del 30%-50% nei Paesi meridionali. La situazione non è gratificante anche per chi ha un lavoro, poiché, in molti casi, è precario e si è privi di diritti.

La prima a prendere la parola è stata Patrícia Carreira, la quale ha descritto l’insoddisfazione in Portogallo, diffusa in quasi tutti gli strati societari e non solo in quello giovanile, proprio a causa del precariato. Dal punto di vista femminile, ad esempio: se una donna rimane incinta, normalmente, viene licenziata. Il movimento di Carreira ha raccolto le firme necessarie per una legge che vieta tale fenomeno e ritiene che se tutti i precari si riunissero, potrebbero risolvere maggiormente e più celermente i loro problemi. 

Marie Rosenkranz ha spiegato che il progetto “La democrazia ha bisogno di te” è stato creato per offrire un canale di diffusione ai giovani che vogliono esprimersi politicamente e che hanno visioni e idee totalmente opposte a quelle dei loro genitori. Rosenkranz ha affermato che i giovani in Germania si sentono oramai più europei che tedeschi. La migrazione non è un tema centrale nelle loro discussioni piuttosto lo è quello della generosità e della solidarietà nei confronti dei Paesi maggiormente colpiti dalla crisi economica. Ecco perché bisogna spronare i giovani a fare politica attiva e a far sentire il peso della loro voce.

Saraya Gomis ha sollevato il problema della discriminazione nelle scuole, dove i giovani delle classi sociali più svantaggiate vengono più avviliti che incoraggiati agli studi. Frasi come “Perché studi? Tanto non ne sei capace”, sono all’ordine del giorno. Secondo Gomis non bisognerebbe parlare di gioventù perduta, bensì di classe politica perduta, che sta conducendo all’abisso generazioni intere a causa del loro disinteresse al problema. L’educazione è fondamentale per rendere coscienti i giovani della loro società, dei loro problemi e farli lavorare su se stessi, rendendoli fiduciosi e capaci ad affrontare così positivamente ogni avversità e magari a ribaltare il sistema attuale. 

Carreira, Gomis e Rosenkranz sono positive per il futuro: vivremo in una società totalmente differente in 10 anni – hanno affermato. 

Valeria Parrella - Foto: Emilio Esbardo

Valeria Parrella - Foto: Emilio Esbardo

Singolare è l’autobiografia dello scrittore islandese Bjarni Bjarnason, nato il 1965 a Reykjavík, poeta underground di successo, che ha iniziato la sua carriera letteraria vendendo le proprie opere in cambio di birra. Trasferitosi a Berlino negli anni ’80, si era specializzato sul Muro: la sua caduta, avvenuta il 9 novembre 1989, è coincisa con il suo compleanno ed ha interrotto di colpo tutti i suoi progetti.

Bjarnason ha presentato il suo nono romanzo “Mannorð” (Reputazione), che racconta la storia dello specialista finanziario Starkaður Leví, il quale gioca un ruolo fondamentale nello scoppio della crisi finanziaria islandese (2008-2011). Il protagonista, non per pentimento, ma per vanità, per migliorare nuovamente la sua oramai cattiva reputazione, si compra una nuova esistenza. Alle persone presenti, l’autore ha confessato che persone come Starkaður Leví ne ha conosciute moltissime, perché sua moglie Katrín Júlíusdóttir, è stata Ministro dell’Economia e delle Finanze (2012 – 2013). Ecco il motivo per cui il protagonista del libro e i dialoghi appaiono genuini: sono simili a quelli delle persone che venivano a cena a casa sua invitati dalla consorte. Bjarnason ha iniziato la sua carriera letteraria a 20 anni, scrivendo un pezzo teatrale. Il suo romanzo “Endurkoma Maríu” (Il ritorno della Vergine Maria) è stato nominato per il Premio di Letteratura islandese nel 1996.

Venerdì 8 settembre vi è stata l’interessante conversazione tra Wolf Biermann e il fondatore del festival Ulrich Schreiber dal titolo Sugli amici e sui nemici della società aperta (Über Freunde und Feinde der offenen Gesellschaft). 

Biermann ha espresso la sua preoccupazione per la democrazia in Germania: “oramai tutti si occupano solo dei fatti propri”, ha detto, “fin quando un giorno sorgerà il sole della dittatura sotto il quale i vigliacchi si adatteranno”.

“Una libertà che si è conquistata”, ha aggiunto, “è una libertà completa al 100%, una libertà ricevuta è libertà solo in parte. Le piccole libertà sono i nemici di una maggiore libertà. La democrazia, che per sua stessa natura è traballante, in condizioni sfavorevoli vacilla pericolosamente. Dalla caduta del Muro ad oggi, le nuove generazioni non sono più traumatizzate della divisione della Germania. Nonostante ciò, dal suo punto di vista, i giovani della parte ovest sono molto più coraggiosi e motivati di quelli della parte est.  

Karl Wolf Biermann, nato ad Amburgo nel 1936, è un personaggio molto controverso perché la sua biografia è molto controversa. Suo padre Dagobert, operaio ebreo, aveva militato nella Resistenza comunista in Germania: sorpreso a sabotare le navi da guerra è stato arrestato dalla Gestapo ed è deceduto nel famigerato campo di concentramento di Auschwitz nel 1943.

Wolf a soli 7 anni, ha rischiato di perdere la vita a causa dei bombardamenti degli Alleati: se è rimasto in vita, lo deve al coraggio della madre, che si gettò con lui nel naviglio Nordkanal, evitando la morte tra le fiamme che divampavano nel quartiere di Hammerbrook.

A differenza dei suoi concittadini che normalmente fuggivano dalla DDR per riparare nella Repubblica Federale, Biermann ha intrapreso il percorso contrario: nel 1953, a 17 anni e con la  maturità in tasca ha chiesto ed ha ottenuto la cittadinanza della Repubblica democratica, dove scrisse e compose le sue prime canzoni e poesie. Le sue opere, non completamente conformi al socialismo, furono vietate nella DDR. Il 13 novembre 1976, avendo criticato aspramente il suo governo durante il suo concerto alla Kölner Sporthalle di Colonia, i dirigenti del partito unico della SED, che detenevano il comando, gli ritirarono la cittadinanza.

Riguardo a questo doloroso episodio della sua vita, il cantautore ha dichiarato di aver dovuto trovare la forza di voltare le spalle al socialismo, definendosi come fedele traditore. Ecco perché ancora oggi ha un conto aperto con il partito Die Linke, visti come i successori della SED. Biermann ha incitato le persone a partecipare più attivamente alla vita politica, per evitare che avvengano altri episodi negativi come la Brexit, causata più dagli astensionisti che dai votanti. Ha raccontato un episodio che racchiude il significato di democrazia: durante un incontro in una scuola, un alunno gli ha chiesto se bisogna spronare al voto anche coloro i quali simpatizzano per i Linke o per l’AfD (estrema destra).

Tale domanda lo ha spiazzato e dopo averci riflettuto un po’ ha risposto “sì”, perché il voto è la base della democrazia, che si fonda sulla tolleranza e sulla pluralità di pensiero. 

Eva Sichelschmidt - Foto: Emilio Esbardo

Tim Parks - Foto: Emilio Esbardo

Flavio Soriga - Foto: Emilio Esbardo

Ingo Niermann - Foto: Emilio Esbardo

Ulrich Woelk - Foto: Emilio Esbardo

Rajeev Balasubramanyam - Foto: Emilio Esbardo

Andrea Canobbio - Foto: Emilio Esbardo

Sabato 9 settembre, vi è stato l’incontro con la scrittrice britannica Catherine Banner, che ha presentato il suo romanzo “La casa sull’isola”: una saga familiare che racconta la storia di una famiglia siciliana di Castellamare nell’arco temporale di 95 anni; complessivamente di tre generazioni. I destini della gente comune vengono inseriti in un contesto più grande, quello della grande storia, tra guerre, crisi economiche e societarie.

Nel libro dell’autrice si percepiscono le influenze di grandi scrittori quali Isabel Allende, Salman Rushdie, ma soprattutto Gabriel García Márquez e del suo volume “Cent’anni di solitudine”. Catherine Banner, classe 1989 di Cambridge, prima di trasferirsi in Italia e prima d’intraprendere la carriera letteraria, ha lavorato come insegnante. La scrittrice vive attualmente a Torino. 

All’evento “Il futuro è donna?” (Ist die Zukunft Weiblich?) del 10 settembre, vi era una foltissima presenza femminile. Al congresso è stata analizzata la situazione delle donne a livello internazionale. Si è giunti alla conclusione che vi è una forte crisi identitaria degli uomini, mentre le donne che stanno al potere sono più un’espressione di antifemminismo che di femminismo: esse rappresentano un modello negativo.

I nomi di Theresa May, Angela Merkel e Beata Szydło non ispirano grandi fiducie e simpatie; rappresentano personalità che hanno abusato del potere che hanno ottenuto. Attualmente le donne di successo – questa è stata la tesi delle partecipanti – diventano spesso difenditrici di una cultura che si sente minacciata; dunque capeggiano partiti conservatori. La maggioranza delle donne semplici, in fasi di crisi, si rifugiano nella religione.

Altro grande problema tra le donne è il conflitto e l’invidia che nasce tra di loro: invece di solidarizzare, di aiutarsi a vicenda, si odiano e si fanno la guerra.

Altri cattivi modelli, sono risultate essere donne superficiali come Paris Hilton e Ivanka Trump, il cui padre è considerato il machista medio da combattere: si prevedono dunque tempi difficili per le donne, soprattutto in molte aree della terra dove si stanno nuovamente rafforzando posizioni reazionarie e scioviniste.

La serata è stata moderata da Stefanie Lohaus, cofondatrice della rivista femminista Missy Magazine. Le sue ospiti erano: Ines Kappert, giornalista e direttrice dell’istituto Gunda-Werner per il femminismo e la democrazia di genere (Gunda-Werner-Institut für Feminismus und Geschlechterdemokratie) della fondazione Heinrich Böll; Laurie Penny, giornalista e scrittrice, divenuta famosa nel 2012 con il libro “Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo”; Sharon Dodua Otoo, vincitrice del prestigioso Ingeborg-Bachmann-Preis nel 2016; Sadaf Saaz, scrittrice, imprenditrice e attivista femminista.    

Domenica 10 settembre, si è tenuta la presentazione del libro di Pola Oloixarac,  “Las teorías salvajes”, il cui protagonista è un giovane hacker. Tradotto in tedesco con il titolo “Kryptozän”, il romanzo viene introdotto cosi dalla casa editrice Wagenbach:

Inizio anni ’80, un’antropologa ed un ingegnere aeronautico divengono confidenti durante la calura estiva subtropicale in Brasile. Il risultato di questa unione di DNA argentino-ebraico e brasiliano è stato Cassio Liberman Brandão da Silva (…) Cresciuto con il videogioco Castle Wolfenstein e con la musica dei Dead Kennedy, Cassio dimostra di essere un bambino prodigio della crittografia, i cui virus vengono considerati delle opere d’arte nell’ambiente degli hacker.  

Pola Oloixarac ha spiegato di aver scritto su questo tema, perché ha avuto molti amici hacker e ne ha sposato uno. Vede la scena degli Hacker di Buenos Aires positivamente, perché ha più una valenza artistica rispetto ad esempio a quella di San Paolo, nella quale le conoscenze informatiche vengono utilizzate per scopi poco nobili come la crittografia dei dati bancari.

Oloixarac, nata il 1977 a Buenos Aires, scrittrice, giornalista e traduttrice, al termine dell’incontro, ha concesso autografi in maniera molto singolare: ponendo il segno delle sue labbra con rossetto rosso sul libro. 

All’incontro con Lize Spit, lunedì 11 settembre, il pubblico si è confrontato con il duro mondo del lavoro da scrittore/trice.  Anche quando si è già conosciuti, si possono avere delle difficoltà economiche: Spit ha raccontato del misero anticipo di 5000 euro valido sei mesi, ricevuto come anticipo per la stesura del suo nuovo libro.  Tale scadenza e il bisogno di soldi, anche a causa di un dente da curare urgentemente, l’ha spronata a mantenere gli impegni presi nel tempo stabilito.

L’autrice, nata il 1988 a Viersel, località nella regione Campine nel nord-est del Belgio, è divenuta famosa con la pubblicazione del romanzo “Het smelt” (“E si scioglie”), paragonato al celeberrimo romanzo “Il giovane Holden” di J.D. Salinger.

Al centro della narrazione vi è una tredicenne trasferitasi nuovamente nel suo paesello natio fiammingo con la sua famiglia, composta da un padre dominante e da una madre fragile. Per i lettori il libro diviene “un viaggio attraverso la crudele innocenza della gioventù”. 

Il romanzo e l’autrice sono stati catapultati immediatamente sotto le luci dei riflettori mediatici e già la società di produzione belga Menuet ha acquisito i diritti cinematografici del romanzo nel 2016.

Per concludere, in breve, altri eventi.

Venerdì 7 settembre.

Arundhati Roy ha presentato il suo romanzo Il ministero della suprema felicità attraverso il quale ci si può fare una buona idea di cosa sia l’India oggi. Nel libro vi è un filo narrativo che lega passato e futuro, è come un ponte tra vecchio e nuovo, rappresentati, ad esempio, dagli “angusti quartieri della vecchia Delhi” e dagli “scintillanti centri commerciali della nuova metropoli”. Leggendolo il lettore avrà l’occasione di apprendere in modo genuino questa immensa nazione dal punto di vista di una nativa e non più di un occidentale.

Arundhati Roy, nata a Shillong, il 24 novembre 1961, è una nota attivista politica, sostenitrice dei diritti umani, della parità di genere e della salvaguardia dell’ambiente. E’ inoltre una convinta antiglobalista. È stata nominata come una delle cento più influenti personalità a livello internazionale da “Time 100”. Ha esordito da scrittrice con il romanzo Il Dio delle piccole cose, che le ha fatto vincere il prestigioso premio Booker nel 1997.

Il suo secondo romanzo Il ministero della suprema felicità è stato dato alle stampe esattamente venti anni dopo.

È autrice di un celebre editoriale sul quotidiano The Guardian, intitolato L’algebra della giustizia infinita (2). In esso vi sono delle forti prese di posizione di Arundhati Roy, che definisce, non certamente in maniera lusinghiera, Tony Blair e George Bush e la loro decisione di attaccare l’Afghanistan: “Il bombardamento dell’Afghanistan non è una vendetta per New York e Washington. E’ un ennesimo atto di terrore contro le popolazioni del mondo”. Nel suo articolo evidenzia la mancanza di coerenza dei due leader: 

Quando ha annunciato gli attacchi aerei, il Presidente George Bush ha detto: ‘Noi siamo una nazione pacifista’. (…) L’ambasciatore preferito dell’America, Tony Blair (che possiede anche il portafoglio di Primo Ministro del Regno Unito) gli ha fatto eco: ‘Noi siamo un popolo pacifista’. Dunque adesso lo sappiamo. I maiali sono cavalli. Le ragazze sono ragazzi. La guerra è pace (…) 

Il suo carattere ribelle l’ha portata a riconsegnare il Premio per la migliore sceneggiatura (“In Which Annie Gives It Those Ones”) al 37th National Film Award (1989), come protesta contro l’intolleranza religiosa e l’avanzata della destra nazionalista in India. L’evento con Arundhati Roy è stato uno dei pochi del festival, dove si è registrato il tutto esaurito.

Martedì 12 settembre.

Valeria Parrella ha presentato il suo nuovo libro Troppa importanza all’amore, che viene cosi descritto ufficialmente:

Otto racconti d’amore e non soltanto, otto storie umane sul trovarsi, sul perdersi e lasciarsi andare. Da Napoli a Liverpool, dal silenzio dei genitori alle parole dei figli, dalla magia inconsapevole della seduzione alle controllate omissioni del tradimento…

Valeria Parrella è nata il 1974 a Torre del Greco. Dopo essersi laureata in Lettere Classiche presso l’Università di Napoli Federico II, ha esordito come scrittrice con la raccolta di sei racconti intitolati Mosca più balena, grazie ai quali ha ricevuto il Premio Campiello Opera Prima. Il suo primo romanzo Lo spazio bianco (2008) è stato adattato al grande schermo con la regia di Francesca Comencini e l’interpretazione di Margherita Buy (2009).

Nel 2014 è stata candidata alle elezioni europee con la lista L’Altra Europa con Tsipras. Attualmente collabora con L’Espresso e la Repubblica.

Mercoledì 13 settembre.

Donna Leon ha discusso del suo nuovo libro della serie del commissario Brunetti Stille Wasser: Commissario Brunettis sechsundzwanzigster Fall, che potrebbe essere tradotto “Acqua silenziosa: il ventiseiesimo caso del Commissario Brunetti”. Le pubblicazioni dell’autrice non sono disponibili nel mercato italiano.

A fine evento, le ho chiesto delucidazioni e mi ha spiegato, che vivendo a Venezia, le disturberebbe il fatto di essere famosa anche in Italia: per lei poter girare indisturbata nel luogo dove risiede, senza essere riconosciuta, è molto importante.

Il ventiseiesimo caso inizia con lo svenimento di Brunetti, il quale, su consiglio del medico, interrompe il lavoro per tre settimane, ritirandosi nella casa di una parente di sua moglie Paola in un’idilliaca isola, non molto distante da Venezia. Fino, più o meno, a metà del libro, tutto rimane tranquillo, acque silenziose, poi però…

La biografia di Donna Leon è molto interessante ed avventurosa: nata nel 1942 a Montclair nel New Jersey, ha studiato negli Stati Uniti e in Italia. Dopo la laurea ha lavorato come accompagnatrice a Roma, come copywriter a Londra ed ha insegnato in scuole americane in Svizzera, Iran, Cina e Arabia Saudita. A causa della rivoluzione islamica nel 1979, è dovuta fuggire ed ha perso i suoi appunti della tesi del dottorato su Jane Austen.

Il primo volume del commissario Brunetti è stato pubblicato nel 1993 con il titolo di Venezianisches Finale (Finale veneziano).

I luoghi dei suoi Romanzi, tradotti in 35 lingue, sono fedeli alla realtà e li si possono tracciare su una mappa interattiva della città.

ARD ha realizzato una serie televisiva di successo del Commissario Brunetti, intitolata Donna Leon, i cui maggiori personaggi, tra gli altri sono:

Guido Brunetti (Uwe Kockisch), sua moglie Paola Brunetti (Julia Jäger), i figli Chiara (Laura-Charlotte Syniawa) e Raffi (Patrick Diemling), il comico e a volte “imbranato” vice questore Patta (Michael Degen), i simpatici sergente Lorenzo Vianello (Karl Fischer) e la signorina Elettra (Annett Renneberg). 

Alla presentazione del libro era presente anche Annett Renneberg.

Giovedì 14 settembre.

Incontro intitolato Marie NDiaye presenta »La chef – romanzo di una cuoca« una nuova forma di antibiografia (Marie NDiaye präsentiert mit »Die Chefin – Roman einer Köchin« eine neue Form der Antibiographie).

Marie NDiaye, nata il 1967 a Pithiviers, un comune francese di circa 9000 anime, da madre francese e da padre senegalese, è considerata un prodigio della letteratura d’oltre Alpe.  Dopo che il padre ha abbandonato la famiglia, Marie è cresciuta nei sobborghi parigini insieme al fratello Pap. La scrittura diventa così sin dall’infanzia la sua compagna di vita. A 17 anni pubblica il suo primo romanzo “Quant au riche avenir” (Il pensiero dei sensi). Successivamente riceve la borsa di studio dell’Accademia di Francia a Villa Medici.

Nel 2001, la pubblicazione del romanzo “Rosie Carpe” la rende famosa e le fa vincere il prestigioso Premio Femina (Prix Femina), assegnato annualmente dal 1904 da una giuria esclusivamente femminile. 

Nel 2007 volta le spalle, insieme al marito, per “incompatibilità col Sarkozismo” alla Francia e si trasferisce a Berlino.

Nel 2009 ottiene il Premio Goncourt – prima volta assegnato ad una donna di colore – per il romanzo Trois femmes puissantes (Tre donne potenti). Il riconoscimento è stato creato a Parigi nel 1896 su volontà dello scrittore Edmond de Goncourt.

La scrittrice nel suo ultimo romanzo “racconta la vita di una cuoca di origini umili, che riesce ad aprire un ristorante a Bordeaux. In tal modo, NDiaye crea una nuova forma di antibiografia, che cela dati personali e lascia molte domande aperte”.

Giovedì 14 settembre.

Incontro intitolato: Tim Parks oscilla tra commedia e tragedia in “Thomas e Mary” (Tim Parks pendelt in »Thomas und Mary« zwischen Komödie und Tragödie).

“Thomas and Mary” è l’ultimo romanzo dello scrittore, nel quale descrive la corrosione di un matrimonio trentennale, che è “come un mosaico, pieno di episodi e ricordi. E con schemi di comportamento nei quali molti lettori probabilmente ci si riconoscono” (Britta Spichiger, SRF). Tim Parks, nato il 1954 a Manchester, cresciuto a Londra, ha studiato a Cambridge e ad Harvard, prima di trasferirsi in Italia, dove insegna Traduzione letteraria e Traduzione tecnico-scientifica all’Università IULM di Milano. 

Oltre ad aver tradotto opere in inglese d’importanti autori come Italo Calvino, Antonio Tabucchi e Alberto Moravia, ha pubblicato 15 romanzi propri, saggi e racconti, ricevendo numerosi riconoscimenti.

Sempre Giovedì 14 settembre vi è stato l’incontro inserito nella sezione “scritture giovani” con Rajeev Balasubramanyam, Ingo Niermann e Flavio Soriga.

Rajeev Balasubramanyam e Ingo Niermann hanno partecipato al programma scritture giovani nel 2002, mentre Flavio Soriga nel 2003.

Tutti e tre si sono di nuovo riuniti in questa edizione del festival di letteratura per presentare le loro opere e per discutere della loro esperienza al progetto “scritture giovani” che si tiene a Berlino, a Hay-on-Wye (Galles) e a Mantova.

Rajeev Balasubramanyam, nato il 1974 a Lancashire, ha studiato a Oxford e a Cambridge Politica, Filosofia ed Economia, prima di pubblicare il suo primo romanzo “In Beautiful Disguises” nel 2000. Per i suoi scritti ha ricevuto differenti riconoscimenti come il Clarissa Luard Award.

Ingo Niermann è uno scrittore molto provocatore e controverso. Classe 1969, dopo aver esordito nel panorama letterario nel 2001 con il romanzo “Der Effekt”, ha pubblicato numerosi libri ed ha vissuto in molte capitali importanti come New York, Londra e Berlino. Collabora con testate prestigiose quali il Süddeutsche Zeitung e il Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung. Dal 2013 insieme a Mathias Gatza, gestisce il progetto editoriale Fiktion.

Flavio Soriga, nato il 1975 a Uta, comune sardo in provincia di Cagliari, è scrittore ed autore televisivo. I suoi testi sono stati tradotti in tedesco, catalano, croato e francese.  È ideatore del programma RAI Per un pugno di libri. Soriga ha fondato il festival artistico-letterario Cabudanne de sos poetas di Seneghe e il festival letterario della Sardegna Sulla terra leggeri.

Venerdì 15 settembre.

Andrea Canobbio ha presentato il suo romanzo Tre anni luci, tradotto in tedesco con il titolo Drei Lichtjahre. In esso si narra il triangolo amoroso tra il timido ed insicuro medico quarantenne Claudio (che vive ancora con sua madre) e le sorelle Cecilia e Silvia.

L’autore, nato il 1962 a Torino, lavora come scrittore e traduttore. Il suo romanzo di debutto Vasi Cinesi, grazie al quale nel 1990 ha ricevuto il Premio Grinzane Cavour e il Premio Mondello, è stato pubblicato nel 1989. Attualmente dirige la sezione Letteratura Internazionale della casa editrice Einaudi.

Sempre venerdì sera vi sono stati altri due interessanti eventi.

Ulrich Woelk ha presentato il suo romanzo “Nacht ohne Engel” nel quale, attraverso la narrazione dei destini di due persone totalmente contrapposte tra di loro, traccia la generazione dei ragazzi cresciuti dopo la caduta del Muro. Una generazione, che nonostante sia cresciuta con più libertà in uno Stato unito e libero, sembra non aver raggiunto molti risultati.

Ulrich Woelk, classe 1960, è nato a Bonn. Ha studiato fisica e filosofia ed ha lavorato come astrofisico. Dal 1995 vive a Berlino, mantenendosi con il lavoro di scrittore. Ha ricevuto parecchie borse di studio. Il suo primo romanzo “Freigang” è stato pubblicato nel 1990. È attivo in ambito teatrale, il suo primo pezzo inscenato presso la Schauspiel Köln s’intitola “Tod Liebe Verklärung” (1993).

“Die letzte Vorstellung” è stato portato sul piccolo schermo dal canale televisivo ZDF nel 2004 con il titolo “Mord am Meer”.

Eva Sichelschmidt e Peter Schneider hanno discusso sulle crisi e sui nuovi inizi di una donna di mezza età e del cambiamento della scena artistica berlinese: tematiche affrontate da Eva nel suo romanzo Die Ruhe weg (Si potrebbe tradurre “Fine della quiete”).

In esso viene descritta la vita di Marlies, la quale dopo un periodo tranquillo ed una esistenza normale con il marito e con i figli a Berlino, inizia a guardare indietro nel tempo e a fare una valutazione della propria vita.

Oramai donna di mezza età si sente insoddisfatta sia della sua relazione sia della città. Delle speranze e delle promesse che la capitale tedesca offriva negli anni ’90 non è rimasto più nulla. Che cosa ne è rimasto della vivacità, della genuinità e dell’originalità della metropoli?

E di suo marito, un tempo un affascinante chitarrista?

Il suo quartiere esattamente come quasi tutti gli altri, si sono imborghesiti, hanno subito il processo di gentrificazione, eliminando il volto caratteristico di Berlino, trasformandola in una città come tutte le altre. Anche suo marito si è imborghesito ed è sprofondato in una sorta di letargia.

Il forte e necessario bisogno di cambiamento, la spingono ad abbandonare tutto e a trasferirsi a Roma. L’Italia nonostante tutto, rimane tra alcuni tedeschi, soprattutto tra gli appartenenti alla generazione d’intellettuali e di artisti della scrittrice, ancora un luogo ideale, dove fuggire dalla monotonia e dal grigiore della Germania.

La biografia di Sichelschmidt, però, non è stata certamente monotona.

Nel 1989 a diciannove anni, con in tasca un apprendistato da sarta, si è trasferita a Berlino, dove ha aperto una sartoria per abiti da sposa e da sera. Dopo essersi fatta un nome, le sono giunti incarichi da costumista per film ed opera. È proprietaria di “Whisky & Cigars” e rappresentante della casa d’asta Grisebach per l’Italia.

Mentre scrivevo le pagine precedenti, riportando le idee e le considerazioni altrui sullo stato della Democrazia, ho iniziato, dapprima inconsciamente, poi, ad alta voce, a chiedermi: ma cos’è la Democrazia? Quando è nato il concetto di Democrazia e come si è sviluppato con il passare dei secoli? Quali sono le alternative ad essa?

Prima di riprendere a raccontare gli eventi del festival, voglio fare un sunto sulle mie ricerche, iniziando con una citazione di Joseph Goebbels (01.03.1945), ministro della propaganda nazista e antidemocratico per eccellenza:

La dea della storia, sarebbe una prostituta se volesse consegnare la palma della vittoria nelle mani dei democratici (Die Götting der Geschichte, wäre ja eine Hure, wenn sie die Palme des Sieges in die Hände der Demokraten legen wollte)

La prima constatazione che mi viene in mente, dopo aver menzionato questa frase, è che la Democrazia non è una forma di governo scontata, che non bisogna mai abbassare la guardia e bisogna difenderla strenuamente. Soprattutto in periodi di crisi economica ed esistenziale, come quella che stiamo vivendo attualmente, la storia ci insegna che basta un momento di distrazione, e senza rendercene conto, con il sorriso sulle labbra, consegniamo il potere a forze populiste e dittatoriali.

La Democrazia ha avuto successo, molto probabilmente, perché è una forma di governo dal volto umano e grazie alla quale lo Stato si prende cura dei suoi cittadini e non li abbandona, per lo meno, in una condizione di povertà assoluta.

Grazie alla Democrazia, all’interno dei confini nazionali, si vive in una società pacifica, dove nessun individuo è condannabile e punibile “per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere”. Nessun individuo è sacrificabile per gli interessi dello stato, rappresentato da un’unica persona al comando, sia esso un dittatore o un imperatore o un re o un capo religioso, ma anche da piccoli gruppi oligarchici: non si concepiscono più bambini da sacrificare alla causa della nazione, com’era valido, ad esempio, nei regimi dittatoriali e militarizzati dei governi fascisti o degli imperi del secolo scorso.

E qui cito un’altra bella frase di Reinhold Niebuhr, che rafforza la mia tesi:

La capacità dell’uomo di essere giusto, rende possibile la democrazia; ma l’inclinazione dell’uomo ad essere ingiusto, rende necessaria la democrazia (Die Fähigkeit des Menschen, gerecht zu sein, macht Demokratie möglich; aber die Neigung des Menschen, ungerecht zu sein, macht Demokratie notwendig)

Le generazioni del dopoguerra del mondo occidentale sono cresciute in stati democratici e non riescono a realizzare quanto siano state più fortunate dei loro nonni, i quali venivano educati sin dalla nascita all’ideale “muori per la patria”.

Soprattutto le ultimissime generazioni stanno gradualmente perdendo i loro diritti e avviandosi a vivere in quelle che potrebbero essere definite “democrazie apparenti”.

Distratti da bombardamenti mediatici, da mezzi di distrazione di massa, giunti a maturità con programmi spazzatura televisiva, quali reality-show; musica che è sempre meno musica e sempre più business, con donne che danzano mezze nude e addirittura cavalcano giganteschi peni; pellicole hollywoodiane degli ultimi tre decenni, sempre più volgari, leggere e senza un reale contenuto; disabituati alla lettura, a disprezzare la formazione scolastica e dunque a privarsi di una coscienza, di un pensiero critico, i giovani non riescono più a comprendere, ad elaborare e a contrapporsi a ciò che sta accadendo intorno a loro. Mai come oggi bisogna lottare per quel tipo di Democrazia (certamente non perfetto), di cui hanno goduto i nostri genitori nell’immediato dopoguerra.

Il Governo deriva dal popolo – Die Regierung geht vom Volk aus.

Con questa frase inizia la Costituzione della Repubblica di Weimar, una delle prime democrazie moderne, che in quanto tale era destinata a fallire. Quando si comincia ad ignorare il volere del popolo o quando il popolo rigetta le regole date a se stesso (ad esempio l’elezione dei nazisti) per il bene comune, si tende a formare uno stato dittatoriale.

Mentre prima questo processo veniva facilitato facendo uso della forza, oggi si spinge la gente  ad accettare inconsapevolmente governi che non rispettano più la costituzione, ossia quelle norme di leggi per il bene comune che garantiscono non solo la libertà e i diritti della maggioranza, ma anche delle minoranze: l’obiettivo si può facilmente raggiungere creando una dittatura di pensiero attraverso i mezzi di comunicazioni massa, in primis la televisione. Questo era il sogno di Goebbels, non ancora praticabile al 100% ai suoi tempi.

Dunque il malumore dei popoli a livello internazionale potrebbe nascere dal fatto che i deputati che debbono servire gli interessi del popolo, curano di più i bisogni della cosiddetta élite: uno sparuto gruppo che possiede nelle sue mani quasi tutta la ricchezza planetaria. Si stima che questa élite rappresenti l’un percento della popolazione mondiale.   

Organo per eccellenza per monitorare che i deputati rispettino la costituzione è la stampa: se essa cessa di fare seriamente il suo lavoro, anche in tal caso si mette a rischio la Democrazia. Tra i compiti dei giornalisti vi è il monitoraggio e la diffusione delle notizie sull’operato del governo. I cittadini ben informati hanno così a fine legislatura la possibilità di non rieleggere i politici incapaci e corrotti.

Altro fattore importante per il mantenimento della Democrazia è la formazione culturale, che sviluppa la capacità critica delle persone, facendoli divenire individui pensanti, con delle proprie opinioni personali, che riescono a prendere in maniera indipendente delle decisioni e analizzano eventi e situazioni autonomamente e non accettano verità di comodo propinate dagli organi ufficiali. Ecco perché i nazisti hanno bruciato platealmente e pubblicamente i libri  considerati scomodi e perché tra le prime misure adottate da qualsiasi dittatore vi è l’umiliazione e la denigrazione della cultura. In generale, si può affermare che la Democrazia è formata da singoli individui, che insieme uniti compongono lo stato, mentre la dittatura è costituita da una massa anonima, che punisce i singoli individui che tentano di emergere da essa.

Una delle tappe fondamentali per la diffusione della Democrazia nel mondo occidentale è stata l’approvazione della Magna Carta, ratificata il 15 giugno 1215 dal re Giovanni d’Inghilterra, che ne ha limitato i suoi poteri assoluti, costringendolo a concedere diritti ai baroni ribelli. Secoli più tardi, il 27 maggio 1679, Carlo II d’Inghilterra ha firmato l’Habeas Corpus Act, che garantiva la libertà individuale dei cittadini, che non potevano più essere incarcerati senza un regolare processo, impedendo così l’azione arbitraria dello stato. Habeas corpus significa letteralmente “che tu abbia il corpo”, in altre parole non si poteva più detenere qualcuno senza concreti elementi di accusa, senza il corpo del reato appunto. Dieci anni più tardi, il 16 dicembre 1689 è stato ratificato il Bill of Rights (letteralmente: progetto di legge sui diritti) da parte di Guglielmo III d’Orange, grazie al quale è nata la prima forma di monarchia parlamentare costituzionale in Europa. Guglielmo, che sarebbe potuto salire al trono previa la firma del documento, succedendo a Giacomo II, fuggito in Francia, concedeva in tal modo al parlamento il governo assoluto del Paese attraverso una costituzione rispettosa dei diritti dei cittadini.

Il termine “Democrazia” proviene dal greco antico che etimologicamente significa “governo del popolo” (δῆμος, démos, “popolo” e κράτος, krátos, “potere”). Esso sta ad indicare una forma di stato retta, direttamente o indirettamente, dal popolo attraverso le votazioni.

Molto tempo prima della nascita di Cristo, le piccole città-stato greche hanno conosciuto tre forme di governo:

1. Monarchia, ossia il potere concentrato nelle mani di una sola persona (ad esempio il re).

2. Aristocrazia, ossia un governo retto dai migliori. Il termine proviene dal greco antico (άριστος, àristos, “Migliore” e κράτος, cràtos, “Potere”), la cui forma negativa è Oligarchia, che indica un gruppo ristretto di persone, che esercita il potere solo nel proprio interesse (oligoi (ὀλίγοι) = pochi e archè (ἀρχή) = potere, comando; cioè “governo di poche persone”).

3. Democrazia, il governo della maggioranza dei cittadini.

I greci hanno conosciuto anche la prima forma di stato totalitario della storia, nel quale si regalavano “bambini” alla propria patria e si “moriva, come ordinava la legge”, anche se essa fosse sbagliata. Nell’introduzione del saggio Sparta del professore tedesco Ernst Baltrusch, che ricostruisce brevemente la vicenda storica, sociale e culturale dell’antica Sparta dal X secolo al 146 a.C., si legge: 

Questa libera città greca viveva secondo il principio che il singolo non contava nulla, mentre la patria e la città erano tutto. Educazione, economia, cultura e religione si inserivano nell’idea dello stato: Sparta fu il primo stato totalitario della storia e divenne dunque un modello anche per i moderni sostenitori di questa ideologia.

La cultura doveva essere asservita allo stato e al lavaggio del cervello sin da bambini. Sempre dal saggio:

La vita a Sparta scorreva idealmente secondo un percorso stabilito in tutto dallo stato. Fanciulle e giovani venivano educati fin dalla nascita al loro ruolo futuro: l’infanzia dunque rispecchiava fedelmente la vita adulta. L’educazione indirizzava i ragazzi alla guerra attraverso la vita in comunità, un duro allenamento fisico, prove di tenacia e competizioni sportive.

Nota rilevante è l’assoluta parità di genere – al contrario di quanto avviene nelle dittature moderne, ma anche come avveniva a Roma e nelle città greche antiche, in aiuto ci viene sempre il saggio di Baltrusch:

Diversamente che a Roma, non erano sottoposte al potere (manus) del marito, perciò il fatto che potessero raggiungere grandi patrimoni e disporne liberamente era ritenuto scontato.

Poi giunge il Cristianesimo che rivoluzionerà tutto. Sarà come un vero e proprio cataclisma.

La rivoluzione del cristianesimo, che è perdurato fino ad oggi, sta nella rivalutazione dell’essere umano, che viene finalmente posto al centro delle società:

Tutti gli uomini sono creature di Dio, uguali di fronte al creatore.

L’individualismo cristiano sosteneva l’uguaglianza tra i singoli, tra i gruppi e tra le classi.

L’individuo come valore, lo sviluppo della propria personalità come obiettivo: è il nuovo messaggio. Tutti giungono al mondo con diritti intrinsechi come il diritto alla vita e alla  libertà, che nessuna forma di stato può privare.

La grande differenza tra le cosiddette società pagane e cristiane è dunque il riconoscimento della dignità e del valore del singolo. 

È grazie a tale dignità, che si è riusciti ad abbattere società gerarchizzate come quelle del medioevo, periodo durante il quale figure come il papa facevano il brutto e il cattivo tempo e la gente rappresentava soltanto un numero alla causa cattolica: sulla punta della piramide dell’istituzioni terrene vi era invece l’imperatore del Sacro Romano Impero. Naturalmente vi sono state delle eccezioni con società strutturate in una forma più o meno democratica come, ad esempio, le piccole città-stato italiane e tedesche.

Seguendo questo ragionamento, si potrebbe affermare che la Democrazia si sviluppa quando se ne ha un forte bisogno. Quando si arriva ad un tale stato di oppressione individuale, che porta poi la gente a ribellarsi; a volte generando periodi di terrore come quello della Rivoluzione francese.

Il Medioevo, come processo storico-sociale, viene fatto coincidere all’incirca a partire dal 476, anno della caduta dell’Impero romano d’Occidente, fino al 1543 con la pubblicazione della teoria eliocentrica di Copernico: queste sono date convenzionali, perché c’è chi afferma, ad esempio, che il Medioevo sia terminato nel 1517 con Lutero e la Riforma protestante, e così via.   

Con l’inizio di una nuova epoca opposta al Medioevo, al cui centro vi erano la dignità e il valore di tutte le persone, il loro connaturato bisogno di libertà e di sete di sapere, nasce la storia degli Stati Uniti d’America, che incorpora in se stessa la storia di una lotta per la libertà e per la Democrazia.

Dobbiamo immaginarci un viaggio di due mesi dei Padri Pellegrini sulla nave Mayflower, dal 6 settembre all’11 novembre 1620 da Plymouth in Inghilterra a Cape Cod negli attuali Stati Uniti. In tutto vi erano102 persone a bordo, comprese donne e bambini.

Dobbiamo immaginarci un viaggio, durante il quale due uomini persero la vita e molti passeggeri si ammalarono di scorbuto, e dobbiamo immaginarci un inverno talmente duro da causare il decesso a causa di stenti di più di 40 persone.

I padri pellegrini, di religione puritana, diedero inizio all’imponente flusso migratorio di genti che fuggirono per motivi religiosi; dunque per avere libertà di professione. Tra i 102 passeggeri del Mayflower, però, non vi erano solo componenti della congregazione, bensì famiglie desiderose di migliorare la loro condizione sociale ed economica. Infatti dietro alle migrazioni di massa vi erano anche persecuzioni di carattere politico e di tragici conflitti sociali.

Dopo i padri pellegrini migrarono i quaccheri, i cui membri avevano formato un movimento cristiano del calvinismo puritano, sostenitore del pacifismo e contro il giuramento di fedeltà al re. La loro fuga fu favorita da William Penn, al quale Carlo II d’Inghilterra concesse nel 1681 l’autorizzazione di colonizzare una regione che corrisponde all’odierna Pennsylvania.

William Penn la utilizzò per dare asilo ai suoi correligionari; sempre nel 1681 fondò Filadelfia, termine che deriva dal greco antico, che significa amore fraterno ed indicava i suoi principi di libertà e di tolleranza religiosa.

Poi ci furono gli Ugonotti, protestanti francesi di confessione calvinista, che, a causa della revoca dell’Editto di Nantes nel 1685 da parte di Luigi XIV e con la ratifica dell’editto di Fontainebleau, furono costretti a fuggire via.

L’Editto di Nantes, per volere di Enrico IV nel 1598, aveva posto fine alle guerre di religione, concedendo agli ugonotti libertà di culto e diritti territoriali, politici e militari.

Gli ugonotti divennero una comunità importante soprattutto in Carolina del Sud.

Tutti questi pionieri sono divenuti un emblema, un esempio da imitare per la tenacia e per la perseveranza nella conquista della libertà e della Democrazia: le hanno ottenute da soli, non gli è stato regalato niente.

Un grande ruolo l’hanno giocato gli inglesi sbarcati oltre oceano, in quella che allora era una terra sconosciuta. Essi, abituati al concetto di democrazia e di libertà in patria (come descritto in precedenza) e consapevoli di avere il diritto di compartecipazione alla redazione delle loro leggi, avevano fondato già il 30 luglio 1619 l’Assemblea Generale della Virginia (The Virginia General Assembly), il più antico corpo legislativo del Nuovo Mondo. Il 14 maggio 1607, in Virginia era stato edificato Jamestown, il primo insediamento stabile inglese in America, con il nome iniziale di James Fort.

In Virginia e in tutti gli altri Stati (che man mano si costituivano), le società si formavano sin dall’inizio su strutture democratiche: la libertà, il diritto allo sviluppo della propria personalità per divenire entità pensanti, intellettualmente indipendenti grazie al diritto all’istruzione. Nel periodo pionieristico, non importava molto se si era figli di pastori o di  genitori benestanti, tutti avevano lo stesso diritto di affermarsi. Ad ognuno si doveva offrire la possibilità di fare del proprio meglio, di accrescere le proprie capacità.   

Il 4 luglio 1776, le tredici colonie, fondate tra il 1607 (Virginia) ed il 1732 (Georgia), erano pronte da tempo a proclamare la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America dall’Impero britannico.

Il testo della dichiarazione è un vero e proprio sunto di tutto ciò che ho descritto finora. Da citare è soprattutto questo passaggio fondamentale:

Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità. 

Per raggiungere la loro effettiva indipendenza dalla madre patria, i cittadini sono dovuti scendere in guerra. Hanno dovuto lottare per i loro diritti, che in nessun caso, gli sarebbero stati dati in omaggio. Il conflitto durò fino al 3 settembre 1783 con la definitiva sconfitta del Regno di Gran Bretagna.

In una maniera ancora più chiara e più dettagliata, i diritti dei singoli individui sono stati esplicati nei primi dieci emendamenti della Costituzione degli Stati Uniti d’America (entrata in vigore nel 1789), noti come Dichiarazione dei diritti (Bill of Rights). I primi dieci emendamenti sono stati aggiunti dopo due anni all’interno del testo della costituzione.

Quello che perora la nostra causa è il quinto, che si ispira ai diritti naturali dell’individuo enunciati da John Locke:

(…) Nessuno potrà essere privato della vita, della libertà o dei beni, senza un giusto processo; e nessuna proprietà privata potrà essere destinata a uso pubblico, senza equo indennizzo (…) 

Il primo emendamento, poi, cita le fondamenta sui cui si basa la democrazia, ossia “libertà di opinione, stampa e religione”.

Proprio nel 1789 (anno della costituzione americana), il 26 agosto in Francia è stata emanata la Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino), testo giuridico elaborato durante la rivoluzione, che prendeva spunto e ribadiva i diritti fondamentali dell’individuo e del cittadino della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti.

In essa si evince tutto ciò che oggi a noi appare scontato ma per cui i popoli hanno dovuto lottare per secoli prima di ottenere – almeno sulla carta; ossia che gli “uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti” e che nessuno può essere discriminato “per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”.

La rivoluzione francese (14 luglio 1789 – 9 novembre 1799) è scoppiata per formare il “governo del popolo, dal popolo e per il popolo”.

Nella costituzione francese si legge però un’eccezione alla sovranità popolare:

Con riserva di reciprocità, la Francia acconsente alle limitazioni di sovranità necessarie all’organizzazione ed alla difesa della pace. 

Essa anticipa di secoli la disponibilità odierna delle singole nazioni a cedere parte di sovranità a favore dell’Unione europea.

Sia in Germania che in Italia non vi è stata una forte tradizione democratica come nei succitati Paesi. Fino alle loro unificazioni, i loro territori sono rimasti divisi in numerosi stati, indipendenti uno dall’altro. Non vi è stato un centro di potere statale concentrato prevalentemente nella capitale come Londra e Parigi. Le rivoluzioni francesi, inglesi e americane sono giunti come deboli echi. L’unificazione italiana è avvenuta soltanto nel 1861, quella tedesca nel 1871.

Suprema lex regis voluntas (La volontà del re è la legge suprema – in tedesco: Oberstes Gesetz ist der Wille des Königs”)

è l’espressione scritta dall’imperatore di Germania e re di Prussia Guglielmo II nel libro d’oro della città di Monaco di Baviera il 7 settembre 1891. In essa si riassume sia la situazione tedesca sia quella italiana: bisognerà aspettare a lungo – anche moltissimo tempo dopo l’unificazione –, affinché i principi e gli ideali di “libertà, uguaglianza e fratellanza” della rivoluzione francese, possano essere percepiti.

Persino nella stessa Francia la figura di una persona con poteri assoluti al comando, si riaffermerà dopo la rivoluzione per un altro arco di tempo a partire dalla presa al potere di Napoleone Bonaparte.

In Italia e in Germania vi sono stati soltanto casi di singoli individui, d’intellettuali, che si sono riconosciuti negli ideali di libertà e di democrazia, ma che nulla hanno potuto in società fortemente gerarchizzate nelle quali le persone sono cresciute con l’abitudine di eseguire ordini piuttosto che pensare con la propria testa.

Gli intellettuali hanno utilizzato sotterfugi sottili per enunciare i principi di democrazia e di libertà.  Ad esempio nel libro “Don Carlos” (1787) di Schiller vi è la richiesta di un suddito: “Altezza, concedeteci la libertà d’espressione” – frase inaudita addirittura all’incirca a 140 anni dalla sua pubblicazione per Goebbels, che lo ha vietato.

La cultura, i libri, gli intellettuali sono sempre stati un problema per i dittatori e per la classe dirigente di un governo illiberale. Ad esempio Hitler non ha mai citato il nome di Goethe, un gigante della letteratura tedesca.

A proposito di Goethe, un aneddoto divertente che però potrebbe portarci a riflettere meglio sull’argomento: quando sono scoppiate le Guerre di Liberazione nel 1814 contro il dominio napoleonico, si è autoescluso dalla vita pubblica ed ha iniziato a studiare cinese.

La maggioranza degli intellettuali tedeschi e italiani sapeva benissimo cosa fosse la democrazia e cosa fosse successo durante le rivoluzioni francesi e americane: essi, però, si sono lasciati corrompere in cambio di una carriera universitaria o di futili riconoscimenti o hanno tenuto un atteggiamento passivo al riguardo come Goethe.

Lo stato trainante per l’unificazione tedesca è stata la Prussia. Per capire quanto si era indietro con la storia: il re ha concesso la costituzione soltanto il 31 gennaio 1850. La prima forma di costituzione moderna della Germania è stata sancita nel 1814 nello Stato di Nassau.

Nel 1815, durante il Congresso di Vienna, dopo la sconfitta di Napoleone, è stata formata la Confederazione germanica, associazione di 39 stati di lingua tedesca, i cui confini corrispondevano a quelli del Sacro Romano Impero.

Il 18 maggio 1848 scoppia la seconda grande rivoluzione in Francia e il 4 maggio viene proclamata la Seconda Repubblica.

Una reazione a tali eventi vi è stata nei territori della Germania meridionale, vicini alla Francia: a Francoforte sul Meno (città sud-occidentale) si tenta di scrivere una costituzione valida per tutti gli stati della Confederazione germanica. All’interno della Paulskirche si riunisce il cosiddetto Preparlamento, assemblea costituente di 574 uomini. Tra i membri vi sono intellettuali quali Jakob Grimm, Heinrich von Gagern, Ignaz Döllinger, Friedrich Christoph Dahlmann e Ludwig Uhland. 

Il 18 maggio 1848 vengono annunciati i “diritti fondamentali del popolo tedesco” (Grundrechte des deutschen Volkes).

Il progetto fallisce definitivamente il 30 maggio 1849 a causa di Prussia ed Austria, che vi si oppongono. La maggioranza degli Stati della Confederazione diventeranno parte dell’Impero tedesco nel 1871: il processo di unificazione è iniziato proprio a partire dalla guerra tra Prussia ed Austria, scoppiata nel 1866.

L’impero tedesco nato sotto la guida della Prussia, basato sulla militarizzazione e su una società gerarchizzata, tenne lontano gli ideali democratici della rivoluzione francese e americana dal suolo tedesco.

Anche se era stata ratificata una costituzione scritta da Hugo Preuß, Bismarck costruirà un modello di società nella quale i cittadini resteranno dei sudditi, proprio come suggerisce l’omonimo e famosissimo romanzo di Heinrich Mann “Der Untertan”.

Il Cancelliere Otto von Bismarck e l’imperatore credevano in un mondo a trazione tedesca, che si può riassumere nella frase Am deutschen Wesen mag die Welt genesen (dall’indole tedesca -natura/carattere tedesca- si potrebbe risanare il mondo) della poesia di Emanuel Geibel Deutschlands Beruf (la professione/compito della Germania) del 1861.

Fino al termine della prima guerra mondiale e alla formazione della Repubblica di Weimar nel 1919 (da dove ho iniziato la mia breve dissertazione sulla democrazia), sul carro dei vincitori rimarranno i rappresentanti di un mondo destinato a scomparire per sempre in Europa: l’esercito, l’aristocrazia terriera, spazzati via per sempre al termine del secondo conflitto bellico.

Dalle macerie della seconda guerra mondiale nasceranno nei Paesi dell’Europa occidentale le democrazie moderne rette da una costituzione che ne garantisce la durata e che assicura la volontà popolare delegata nelle mani dei deputati, che ci rappresentano nel Parlamento. 

L’appuntamento per la nuova edizione del Festival Internazionale di Letteratura è per settembre 2018.

Il team del festival di Letteratura - Foto: Emilio Esbardo

NOTE 

(1) Da Wikipedia: TED (conferenza) – Technology Entertainment Design (TED) è un marchio di conferenze statunitensi, gestite dall’organizzazione privata senza scopo di lucro The Sapling Foundation. 

(2) https://www.outlookindia.com/magazine/story/the-algebra-of-infinite-justice/213371.

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