Storia di una metropoli: i quadri di Carla Fioravanti raccontano Berlino - La nostra intervista alla pittrice

Carla Fioravanti nel suo appartamento a Berlino - Foto: Emilio Esbardo

di Emilio Esbardo

A fine aprile, in una giornata di caldo eccezionale, sono stato accolto dalla signora Fioravanti, nel suo appartamento all’ultimo piano di un edificio nel cuore della Berlino ovest. L’abitazione è arredata con gusto e le pareti sono composte da grandi vetrate attraverso le quali si possono osservare i camini e i tetti delle costruzioni del quartiere. Qui Carla Fioravanti, oggi considerata una delle pittrici più rappresentative della città, ha anche il suo atelier.



Trasferitasi a Berlino negli anni ’60 ha, da allora, riflesso, nelle sue opere la storia travagliata e piena di sofferenze della metropoli: per questo motivo, molti suoi quadri sono stati acquistati da vari musei tedeschi. Non è un caso, anche, che i suoi temi su Berlino est, sono andati a ruba tra i collezionisti. 

Grazie alla forza dei suoi colori è riuscita a rappresentare una metropoli in continua evoluzione, in continuo cambiamento, che non si ferma mai, sempre in movimento. Nell’insieme della sua opera su Berlino si può ripercorrere la storia della città nelle sue tappe principali: dalla fine della seconda guerra mondiale alla costruzione del Muro, dalla caduta del Muro alla riunificazione. Durante la sua carriera artistica Carla Fioravanti ha affrontato diversi temi: la Commedia dell’arte, lo sport e le nature morte. Nell’intervista abbiamo parlato della sua vita, dell’incontro con Giorgio Morandi e delle sue opere.


Signora Fioravanti, qualche volta l’arte può condurre a degli stati emotivi negativi quando si ha un blocco artistico? Le è mai capitato di andare in cura da uno psicologo?


Sì. Ci sono andata piangendo e gli ho raccontato che non riuscivo più a dipingere. Lui mi ha detto: “Senta signora, di fazzoletti ne può prendere tanti quanti ne vuole. Io, però, non le prescrivo nessuna pillola, perché in lei potrebbe subentrare un’altra persona. Potrebbe non essere più la stessa. Quindi pianga quanto vuole, non ho fretta nel terminare la seduta”. E poi ha aggiunto: “Invece di venire da me a dirmi ciò che vorrebbe realizzare, vada nel suo studio e lo faccia”.

È mai subentrato in lei un senso di insicurezza, quasi di paura mentre dipinge?


Sì, soprattutto all’inizio dell’opera. Mi chiedo cosa posso fare, cosa posso dire, se sto già sbagliando tutto. Appeno metto, però, i primi colori e mi rendo conto di come procede il lavoro, subentra una sensazione di contentezza. Mi dico soddisfatta di essere arrivata fino ad un certo punto.

Infobox Finale di Fioravanti - Foto: Emilio Esbardo

Lei è stata alunna di Giorgio Morandi. Cosa potrebbe raccontarci di questo importante pittore?


Giorgio Morandi era una persona molto brava ma al contempo molto silenziosa e forse non dava tanto all’alunno. Era un pittore che meditava e che ti portava a meditare con le sue opere. Se io, adesso, prendessi un libro su Morandi potrei stare ore a guardare i suoi quadri. Dipinge quelle cose semplici che entrano nell’animo di una persona. Basta chiudere gli occhi e meditare. All’inizio Giorgio non mi aveva preso molto in simpatia, perché io nei miei lavori, mi muovevo in differenti direzioni. Dopo ha compreso che la personalità di una persona, non si può cambiare. Si è quel che si è. I suoi quadri mi piacevano tanto, anche se erano molto lontani dalla mia personalità. Non era la mia maniera di vedere le cose.

Se non sbaglio, per poter frequentare l’Accademia delle Belle Arti si è dovuta imporre contro il volere dei suoi genitori?

Già da ragazzina a scuola mi riusciva molto bene disegnare. Quando ho concluso la terza media, avrei voluto iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti a Bologna. Allora i genitori non erano così aperti come oggi e mi hanno costretto ad andare alle magistrali. Il secondo anno, ho preso la decisione di non frequentare più la scuola a loro insaputa. Un giorno mia madre ha incontrato casualmente la mia insegnante in piazza, alla quale ha detto: “Mi dispiace, che non sono ancora potuta venire ad informarmi come va mia figlia”. La professoressa le ha risposto: “Non fa niente signora, sua figlia ha avuto problemi di salute. Bisogna darle il tempo di riprendersi”. Ritornata a casa, sono stata rimproverata per il mio comportamento dai miei genitori. Io, però, mi sono impuntata ed ho detto: “Io non vado più a scuola se voi non mi mandate all’Accademia”. Così ho fatto le valigie e sono andata a Roma a sostenere l’esame di ammissione, dove ho preso il massimo dei voti. E poi mi sono trasferita a Bologna.

Nei suoi quadri vi sono tracce autobiografiche?


Se un pittore fa un disegno o un quadro è una sua manifestazione e quindi ha sempre qualcosa a che vedere con la sua vita.

Ost-West-Quadriga di Carla Fioravanti - Foto: Emilio Esbardo

Come definirebbe la sua arte?

Dinamica. Io affermo costantemente, che nell’universo, niente è attaccato a qualche cosa di permanente. Tutto gira intorno. Per me tutto quello che si muove, è vita. Ed io amo molto la vita.

Qual’è l’importanza dei colori nei suoi quadri?


I colori sono tutto nella pittura. Il disegno si può anche indovinare ma il colore deve essere giusto, bello e convincente.

Berlino è una grande città e all’inizio è molto difficile ambientarsi e crearsi una cerchia di amici. Lei che esperienza ha avuto?

Io mi sono trasferita da Düsseldorf a Berlino, perché mio marito aveva trovato lavoro qui. La prima cosa che ho fatto è stata quella di iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti a Berlino, come studentessa ospite, dove ho studiato tre anni. Lì ho conosciuto alcuni colleghi, che ti seguono nel tuo sviluppo come persona e come artista. È bellissimo ed utile avere persone con le quali si può discutere. Avevo colleghi che parlavano benissimo italiano perché in tutti loro c’era un forte desiderio di visitare la nostra nazione: per gli artisti è sempre il non pus ultra. Come diceva Goethe tutti hanno bisogno di un po’ d’Italia dentro di sé. Tutti la cercano nell’anima.

Però, poi, se ci vuole affermare come pittori/trici, conviene trasferirsi all’estero. In una città come Berlino il lavoro degli artisti viene ben valutato e promosso dalla società…

Se fossi rimasta a Pesaro, molto Oggi ci si è abituati a vedere le cose in modo totalmente differente. Un pittore che con i suoi quadri aveva narrato la città, si è ritrovato di fronte ad una realtà interamente nuova con la riunificazione di Berlino: alcuni si sono sentiti disorientati ed in difficoltà. In molti, invece, hanno trovato una grande forza e vitalità di fronte ad una situazione e ad un ambiente differente, a cui erano abituati. Attualmente, a Berlino, gli artisti stanno cercando un linguaggio nuovo per esprimersi.

La prima volta che lei ha visitato Berlino, ha trovato una città ancora distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Cosa ha provato?

Quando sono giunta qui la prima volta ero ancora una ragazza. Non ero ancora sposata. Era il 1955 ed ero in gita insieme ad un gruppo di persone. Appena arrivata, ho esclamato: “Qui è tutto rotto. Berlino non risorgerà più”. La città era piena di buche gigantesche scoperte e non c’erano neanche i segnali di avvertenza di pericolo. Ho pensato: “Non si riuscirà mai a riprendere”. Quando mi sono sposata nel 1961, ci siamo sistemati a Düsseldorf e poi, dopo tre anni, ci siamo trasferiti definitivamente a Berlino. Dopo nove anni dalla mia prima visita, ho notato un cambiamento enorme. Mi è piaciuto molto questo desiderio dei berlinesi, che hanno detto: “Eravamo ad un punto zero e adesso abbiamo già creato le basi della rinascita della città. Abbiamo creato posti di lavoro e guardiamo al futuro con serenità”. Questa atmosfera di fiducia ha fatto bene anche a me.

È mai stata nella parte est della città?

Sì certo. Nel 750simo anniversario della fondazione di Berlino abbiamo avuto la possibilità di andare nella DDR. Abbiamo fatto delle fotografie con una macchinetta tascabile, che mi hanno ispirato nella creazione di molti dipinti. Quando c’è stata la mia mostra presso il Senato della Costruzione, ho esposto anche questi quadri. Un giornalista mi ha chiesto perché avessi esposto lavori raffiguranti anche Berlino est. Io ho risposto: “Perché come italiana, Berlino è Berlino. Le vostre strade qui sembrano come tagliate con le forbici”. È stato un periodo interessantissimo. Quando con mio marito andavamo nella zona est eravamo costretti a passare per due entrate differenti. Io, come cittadina italiana e dunque straniera, attraversavo il confine a Checkpoint Charlie. Mio marito, essendo tedesco, a Moritzplatz. Ogni volta, giunti a Berlino est, si percepiva immediatamente la mancanza di assoluta libertà. Si aveva una grande paura della polizia e bisognava convivere con i molti divieti: “questo non lo si può fare! quest’altro no! ed anche quest’altro no!” Non si poteva fotografare ogni cosa! I miei quadri raffiguranti Berlino est, sono andati a ruba in un breve arco di tempo. Tutti hanno voluto comprare i quadri del periodo, perché erano consapevoli che quasi tutto sarebbe scomparso velocemente e che sarebbero rimaste poche tracce del passato. I miei dipinti hanno adesso una valenza storica.

Carla Fioravanti nel suo appartamento a Berlino - Foto: Emilio Esbardo

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